LUCIO ZINNA, Le ore salvate, Thule – collezione aurea – poesia, Palermo, 2020
Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
Scorre la nostra vita nel tempo. Un tempo composto di ore ma incommensurabile. Non ha principio
né fine. L’uomo nel tempo si dilata e disperde il suo vivere. Ma basta salvare
anche un’ora sola avuta in dono o da noi donata per dar rilievo alla vita. È
una poesia forte ma pacata; poesia di contrasti: ciò che lasci e ciò che porti
– esaltazione e paura. Paura per un dopo, un altrove che ignoriamo. Alba e
tramonti, ma siamo consapevoli che qualcosa ci attende. Non è incertus l’an ma il quomodo. Siamo: è una realtà. Da dove ha inizio il nostro percorso?
Dal paese nido, luogo o anche braccia che ci hanno accolto. L’uomo vive la sua
vita per poi ritornare al nido e lì rifugiarsi.
Poesia – parola che si dipana nel tempo.
Tic tac, tic tac. Noi uomini crediamo di esserne arbitri e di usarlo secondo il
nostro volere ma è il tempo che inverte la corsa ed è lui a decidere della
nostra fine. I pensieri si susseguono e prendono corpo i ricordi, anche i più
lontani ma che ci hanno tracciati. Il ricordo di una bicicletta, regalo nello
stretto dopoguerra. Lucio, ragazzo che, non mantenendo l’equilibrio cerca di
“mantenere/ negli anni in altre circostanze/ tra cadute e risalite/ tirando
avanti se mi capitava di sbattere…”. Tenerezza per Manù e il suo asilo. Più si
va avanti negli anni e più aumenta in noi la tenerezza. L’asilo, le ore
trascorse, i giochi ma anche la voglia di nuovo, di incontri, di sorprese. Ogni
uomo, ma in questo caso il poeta, cerca un equilibrio non solo fisico ma
soprattutto mentale. Corriamo nella nostra giovinezza col vento tra i capelli.
Compagna, sempre la parola. Talvolta il suono può ingannare. Occorre allora
meditare e usare il suono per dire cose essenziali e non disperderci.
La vita ha un suo percorso già tracciato.
Nei vecchi la paura; il tempo a
venire
è ristretto. I giovani, invece, si disperdono tra precarietà e ricerche
ignorandone spesso il valore. Intorno a noi “Folla silenziosa e tumultuante”…,
cronache di violenza per nulla moventi e gratuite verso la vastità degli
indifesi. Quante le brutture nel mondo e noi ne siamo la causa. Siamo tutti
responsabili, ma, al tempo stesso, occorre perdonare per essere perdonati.
L’essere insicuri ci conduce a un punto morto. Molte le strade da seguire, come
le nuvole in cielo e le onde del mare. Le nostre impronte e i nostri errori sono
indelebili. Noi viviamo nel mondo, ma, al di là del nostro mondo, altri spazi e
un altrove che è parte dell’uomo.
Noi restiamo nell’ambito dello spazio e lo
spazio è una sfera infinita. È l’extramoenia
dove opera la poesia al di fuori di ogni contesto. Potrebbe la poesia
considerarsi uno spazio siderale che parte dal poeta ma poi vaga tra luce e
ombre che non possono quantificarsi. Poesia intesa come parola, sensazione,
visione, che nasce dalla filosofia e prende corpo nel suo vagare. Importante l’emozione
che scaturisce da lontani silenzi. La magia del verso che fruga l’anima e migra
insaziabile per strade e piazze in realtà “di fiumi, gallerie, altopiani.
S’impigliano nei canneti prima di smarrirsi/ in celesti contrade”. Il poeta va
e penetra ovunque come il vento. Se volessi dare un nome al vento lo definirei
Harmattan (vento del deserto). Più scorre la vita e più il poeta pensa a coloro
che più non sono e si chiede: “sotto quale vela navigate, per quali onde
galattiche chi vi impedisce/ di lanciare un amo e di agganciarlo oltre le
nebbie/ del ricordo se ancora in voi albergano ricordi”. Forte il bisogno di
sapere del dopo; di udire voci amate, di squarciare il velo…
“Siete compagni silenti e smarriti in
astrali spazialità…/ in quale solitudine stellare procedete/ alla ricerca di un
punto luminoso che nessuno/ sa dove sia neanche nel vostro altrove dove sia”.
Ci coinvolge e accomuna questo bisogno di risentire e sapere dei morti. Il
poeta ricerca Dio che forse lo sfuggiva (lui lo credeva, ma tutto narra di lui:
le chiese, le bidonvilles, i nosocomi). Quel Dio presente ovunque anche se
permane il dubbio che ognuno di noi si pone: (Ci sei nelle camere di tortura/
nei laboratori di vivisezione?) Dio è dentro di noi e prima o poi il poeta lo
scorgerà “e un sorriso leggerò nei tuoi occhi/ ora che si appannano i miei.”
Alla fine della vita si fa più intenso il bisogno di Dio. Ricerca. Di fede,
presenza, amore. Nel silenzio di una cosciente maturità, il pensiero va alla
memoria della nonna Giuseppina, alla sua natura di bambino. Il bacio sul freddo
del volto dà coscienza della crudezza della morte. Il corpo è ormai freddo ma
l’amore che c’è stato scalderà il ricordo. Si ravvisa la speranza di un dove e
un quando che farà nuovamente incontrare Lucio e nonna Giuseppina “in parallela
età”. Così anche gli amici felini: Raf, Flint, Leo e Clotilde; presenze oltre
il credibile nel sogno e nelle allucinazioni. Credere e sperare in un incontro
nell’oltre, fuga la paura della morte. In Lucio ora, stanchezza “succo di anni
nebulizzati/ quasi emersione dai giorni/ per il resto dei giorni”. Quale l’uso
del tempo che resta? Per l’imprevisto basta un attimo ma “tu solitario ti fai
forte di indivisibili/ forze a petto dell’imponderabile/ contro il negativo/
che scavalca/ transenne anche metafisiche”. Alla fine del suo percorso, il
poeta tiene annodato al dito “quel filo sfuggito come aquilone/ nel turbine
adolescenziale./ Ardua impresa e tarda a riprenderlo/ a incalcolabili lune
metafisiche…/ (Eppure tante volte mi hai mandato/ un angelo in missione
segreta).”
Sempre più pressante il bisogno di Dio.
Quel filo è importante; lo tiene fermo il poeta. Aspetta. L’invecchiare ha i
suoi pregi. Ti dà consapevolezza e trattiene vivi i ricordi. Le certezze
cercate nelle fughe di anni ora possono trovare conferma. S’intravede una luce.
Dio è consapevole della fallacità dell’uomo che è preda del male. L’uomo è solo
nel suo viaggio ma, nella sua ricerca, ha trovato Dio. Un Dio che ascolta
l’uomo che parla in silenzio.
Siamo dinanzi a un testo che finemente
collega tre percorsi: Misure – Stramenia – A incalcolabili lune. Percorsi tesi
ad ottenere “più aiuto che perdono”.
Scivola il tempo come le parole verso la
conclusione di un viaggio teso con umiltà verso la luce.
Anna Vincitorio
28 gennaio 2021 – Firenze
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