venerdì 1 dicembre 2017

N. PARDINI LEGGE: "PIETRA E FARFALLA" DI PAOLO MAZZOCCHINI

Paolo Mazzocchini. Pietra e farfalla. Giuliano Ladolfi Editore. Borgomanero, (NO). Pagg. 80. € 10,00



Pietra e farfalla

Pietra patisco il peso della mia
longevità, quasi perenne intesa
d’atomi coesi in una stretta potente
più di qualsiasi centrifuga contesa. Si posa
la farfalla su di me, ignara che il suo giorno sta
per sfogliarsi in un applauso d’ali, crollare
in un battito sospeso; ma mi fu luce
e festivo il caro suo riposo
fuggitivo più che la mia
pésa ed ottusa quasi eternità.

Questa la poesia eponima che ci permette di entrare fin da subito nel complesso meccanismo empatico-riflessivo del poeta: “peso-longevità, la farfalla, battito sospeso, riposo fuggitivo, pésa quasi eternità”. Arte, fuga dal materialismo verso la spiritualità, raffronto fra la durezza della pietra e la leggerezza della farfalla: brama di staccarsi da terra per accedere alla luce dei misteri, anche per un attimo, quanto un volo dell’esile volatile. Tutta l’opera di Paolo Mazzocchini gioca su questo ossimorico   e quanto mai metaforico quadro: dubbi, incertezze, resistenza della materia, paralisi del peso; luce, volo, spirito, anima, riposo leggiadro della poesia.   
Trama intensa, onesta, ampia, di epigrammatico scavo esistenziale, dove il verbo, con allunghi di sinestetica allusione, e di metaforica inclusione, cerca di agguantare i voli di una mente tutta volta a dare spiegazioni impossibili; a raggiungere traguardi di difficile approdo. Il verso si snoda su percorsi ora di effetto contrattivo, secco anche, ora di effetto estensivo, dove il dettato poetico sembra abbandonarsi ad una forma di narrazione prosastica, tanta è la sostanza umana, che, bisognosa di spazio, dal di dentro vorrebbe uscire per dimostrare l’irrequietezza del fatto di esistere. Pietra e farfalla, il titolo duale di questa plaquette che con audaci impatti vicissitudinali si porta dietro la ricerca affannata di un uomo, di un pensatore, che non si accontenta di leggere il mondo così come appare nella sua icasticità; vuole andare a fondo della questione, del vivere, dell’esserci, di thanatos e eros, di tutto ciò che comporta questo nostro esistere. E lo fa con un linguismo acuto, articolato, denso, che tanto richiama la verbalità dei nostri avi latini; di una classicità che non sembra affatto in disuso ma rivive con perizia sotto la penna di un autore che fa del suo mondo umanistico, delle sue conoscenze culturali, il piano d’appoggio per slanci spesso disumani per la loro intensità speculativa; per il loro azzardo nel tradursi in un essere che non si accontenta di vivere hic et nunc senza travagli; senza inquietudine per la sua precarietà di individuo soggetto al tempo e alla caducità del terreno; alla futilità di un soggiorno; vorrebbe toccare il cielo, elevarsi al di là degli orizzonti per scoprire, conoscere, individuare, sciogliere il bandolo della matassa; districare il nodo che tiene il mistero della vita. Ma il fatto sta che l’uomo è zeppo di terrenità; i suoi piedi affondano nel terriccio del piano, dei colli, o nelle acque  dei fiumi e dei mari; il cielo è là in alto che ci guarda quasi con distacco. Eccoli i dubbi, le incertezze, le tante domande senza soluzione, i tanti interrogativi che il poeta si pone, cosciente della loro insoluzione. Una vita di poesia una poesia di vita quella di Mazzocchini. E la vita comporta la triste e quanto mai dolorosa sequenza dei giorni: il pensiero di un tempo prestato dalla morte. Il poeta sembra reagire a tale condizione, rifugiandosi nel sarcasmo, nell’ironia, non come semplice reazione di stampo fedriano, ma come risultato di una condizione umana di fronte all’imperscrutabilità dell’evolversi del tutto. E’ in questa filosofia di vita la poetica del Nostro; in questo gioco di fonosimbolismi che si allunga e si scorcia, che si inalbera e si piega per star dietro ad un succedersi di stati d’animo che tanto ci parlano di condizioni umane in sospeso. Per dirla alla Hugo  “La gioia di essere tristi”. Se di gioia si può parlare nel mondo tanto problematico di Mazzocchini: quello in cui l’unico essere vivente dotato del pensiero della morte, e del dilemma del rien e tout, è proprio l’uomo. In alcuni momenti ci sembra di scoprire una certa adesione del poeta alla riforma prosastica del verso che ha egemonizzato la poesia italiana del tardo 900 e dei nostri giorni. Ma in tale sperimentazione, dove il correlativo oggettivo di stampo eliotiano la fa da padrone, non collocherei di sicuro questo poema: qui la meditazione, il pensiero, la riflessione, il sentimento si traducono in immagini fortemente soggettive da assumere stampo di liricità nei momenti di maggiore ispirazione, a dimostrazione che ogni argomento, anche filosofico, una volta filtrato da un’anima cotta a puntino, può farsi poesia. E poesia è questa di Mazzocchini, con tutti gli ingredienti che la contraddistinguono; con quella limpidezza formale e libertà della versificazione, dove persino l’emistichio fa la sua apparizione nella divisione del verso in a maiore e a minore: sosta e ripartenza verso gli intricati percorsi della vita. Il fatto sta che in questi momenti espressivi, in questa Plurima noctis imago, o In magistri memoriam, In veritate amicitia, o Motu alieno…, in questi brevi e apodittici messaggi, dove l’ossimorico gioco del fatto di esistere si concretizza in una simbolica quanto mai visiva intrusione naturale (notte, Urano, tamerici, terra, nuvola, monte, cielo, luce, neve, pietre…), scopriamo un poeta nuovo,  foriero di contenuti di una verticalità trainante:

La notte non è sempre la tenda
stellata di Urano che ci avvolge, mite
sovrano, noi – tamerici di serra puntate
l’una contro l’altra, strette e straniere –
sul pube della Terra. La notte è pure
nuvola che dilaga imprevista
per la ferita del monte, getto
d'inchiostro che spande sul foglio
del cielo cruentato da un bisturi
di luce, nevo che dirama nella cute
immacolata, o rotto che si slabbra
nel mantello di neve residuo sulle pietre
-un nulla che dilata, impuro per la carne
tenera del bianco. Notte è pupilla
nera che cresce atterrita nella sclera (Plurima noctis imago).

Un poeta che sa di esistere, ne è cosciente, è cosciente del fatto di esserci; e per questo gioca tutte le carte di cui è in possesso: non gli importa di vivere all’ombra, preferisce, a questo punto, abbandonarsi alla volubilità del vento: chissà che non lo porti sull’isola agognata; quella della verità; sulle sponde della rivelazione:

Di vivere una vita
impropria proprio
non mi consolo: che i vènti
non le ali segnino
la direzione
del volo (Motu alieno).

Nazario Pardini


7 commenti:

  1. Non saprei giudicare né dalla recensione (pur ricca) né dalle poche citazioni testuali. Trovo altrove altre poesie di questo autore (per es. https://lombradelleparole.wordpress.com/2015/09/11/dieci-poesie-di-paolo-mazzocchini-dalla-antologia-pietra-e-farfalla-con-un-commento-di-giorgio-linguaglossa-scrivere-la-contingenza/#comments), dove avverto alti e bassi ma anche passaggi interessanti.
    Riccardo

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  2. Cara Luisa, c'è di peggio. Tuttavia un plauso a te che hai osato esprimere un giudizio negativo. Nazario, nella sua immensa generosità, pubblica spesso contributi che non mi sembrano in linea con il blog stesso sommergendo, in tal modo, cose assai più valide che passano quasi inosservate. Il male è che chi è stato in vetrina una volta crede di essere uno scrittore di vaglia e ne approfitta inviando qualsiasi cosa lo riguardi. Presentazioni, piccole recensioni, locandine, reading svolti a Roccacannuccia, vengono esibiti in una smania di protagonismo davvero sconcertante. Se queste persone si accorgessero che il non ricevere alcun commento è già segno di disapprovazione limiterebbero molto il bombardamento dei loro scritti.

    Carla Baroni

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    1. A parte Luisa o chi che sia di turno, mi sento in dovere di intervenire dopo la lettura dei commenti esternati sulla poesia di Paolo Mazzocchini. Per prima cosa credo che per esprimere pensieri o quant'altro su un libro, di poesia, o di prosa..., sia estremamente fondamentale impossessarsi dei suoi contenuti, dello suo stile, della sua forma. Di sicuro non si può giungere a conclusioni basandoci su pochi versi citati; si rischia di fare una figuraccia. Ha fatto bene sta' Luisa a uscire dalla scena con un intelligente ripensamento. Io non posso altro che confermare, dopo la lettura attenta e meticolosa della plaquette di Mazzochini, la mia più che positiva opinione sulla sua intensa e vissuta storia poetica: una poesia, la sua, che è frutto di cultura e di validissima ricerca verbale; di una simbiotica fusione fra dire e sentire che reifica sentimenti di urgente ed esistenziale fattura umana. Ce ne fossero poeti del genere!!!
      Quanto alla generosità affermava Hume: "Tutti i propositi negativi di un essere; ogni suo tentativo espressivo mal riuscito, possono redimersi in una cultura di generosa comprensione umana".

      Pace a tutti: verba volant, affectus animi manent.

      Nazario

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    2. "... E poesia è questa di Mazzocchini, con tutti gli ingredienti che la contraddistinguono; con quella limpidezza formale e libertà della versificazione, dove persino l’emistichio fa la sua apparizione nella divisione del verso in a maiore e a minore: sosta e ripartenza verso gli intricati percorsi della vita. Il fatto sta che in questi momenti espressivi, in questa Plurima noctis imago, o In magistri memoriam, In veritate amicitia, o Motu alieno…, in questi brevi e apodittici messaggi, dove l’ossimorico gioco del fatto di esistere si concretizza in una simbolica quanto mai visiva intrusione naturale (notte, Urano, tamerici, terra, nuvola, monte, cielo, luce, neve, pietre…), scopriamo un poeta nuovo, foriero di contenuti di una verticalità trainante..."

      Questa non è generosità, ma frutto di un filologico e attento lavoro...
      Se poi intendete farmi il più grande complimento definitemi un lavoratore generoso: il mio metodo è quello di scoprire il buono che è n ciascuno di noi piuttosto che condannare il cattivo...

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  3. Come mai il commento di Luisa è sparito? Un ripensamento forse? Peccato, perché il troppo buonismo fa male. Se tutti noi esprimessimo con onestà - ossia senza invidie, senza ripicche, senza il desiderio di nuocere - le proprie opinioni penso che il mondo, non solo quello piccolissimo della letteratura - sarebbe un po' migliore.

    Carla Baroni

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  4. Sono d'accordo con Nazario a proposito della poesia di Paolo Mazzocchini. Gliel'ho detto per telefono e lo confermo qui: le poche citazioni testuali che si coagulano in un gruzzolo di una trentina di versi mi sono bastate per farmi un'idea positiva di questa poesia e di questo poeta. Certo, non esaustiva né definitiva per ovvie ragioni. Tuttavia i segni mi paiono chiari, inequivocabili. Per me c'è la poesia, c'è il poeta.
    Pasquale Balestriere

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  5. Concordo anch'io con Nazario e Pasquale in merito al valore di questa poesia. Probabilmente chi si è espresso in modi dispregiativi conosce meglio di noi il lavoro di Mazzocchini, ma stando ai versi qui riportati il plauso non può che essere sincero e senza esitazione alcuna. Vorrei inoltre spezzare una lancia in favore del nostro infaticabile e lungimirante nocchiero, qui ingiustamente accusato di permissivismo. Va invece encomiata la sua generosità nell'imbarcare sul vascello, alla volta di Lèucade, quante più voci possibili, con esclusione s'intende degli analfabeti e degli illetterati (come pure, lodevolmente, dei livorosi). E' questione di democrazia. Che senso avrebbe un blog riservato ai soli eletti, dove se non sei Dante, Leopardi, o Manzoni non ti è consentito di apparire? Il vanto di questo blog sta qui. Non sono pagine concepite come una vetrina, come una passerella atta alla ruota di pavone, bensì come un crocevia, un'agorà dove una comunità si dà appuntamento per condividere esperienze e riflessioni. Una palestra, insomma, una scuola dove ognuno dà e riceve nello stesso tempo, e tutti insieme - piccoli e grandi - si cresce in armonia. Non si può, da un lato, invitare ad esprimere "con onestà - ossia senza invidie, senza ripicche, senza il desiderio di nuocere - le proprie opinioni", e dall'altro indurre ad astenersi dal dibattito nella speranza che i meno dotati si accorgano che "il non ricevere alcun commento è segno di disapprovazione". Partecipare sia dunque il nostro motto. Ma non voglio dire con questo che bisogna intervenire nei dibattiti a tutti i costi. Non sono i commenti la cartina di tornasole. La vera comunicazione è fine a se stessa e prescinde da ogni altro fine. A me capita spesso di postare nel blog locandine e recensioni, informazioni, note e notizie riguardanti manifestazioni che mi coinvolgono (alcune delle quali svolte realmente a Roccacannuccia) con il solo desiderio di condividere in famiglia qualche modesta gioia e qualche riflessione. E quando mi accorgo che anche altri lo fanno, non ne sono infastidito.
    Franco Campegiani

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