domenica 1 luglio 2018

MARCO DEI FERRARI: "ABITI MEDIEVALI, PARTE PRIMA"


ABITI MEDIEVALI
(parte prima: a Corte)

Marco dei Ferrari,
collaboratore diLèucade

Il Medioevo si caratterizza per una stratificazione sociale codificata in comportamenti e abbigliamenti specifici tramandati con ampia documentazione da una normativa finalizzata alla definizione del potere.
Comunque necessario è distinguere l'ambiente “cortese” da quello dei lavori campestri e urbani.
Iniziamo dalla Corte: nell'ambiente “cortese” l'ostentazione era il fine di personaggi e famiglie o gruppi aventi accesso al sovrano; abito e comportamento dovevano poi corrispondersi e trasferirsi in regole esteriori identificabili.
Ad esempio le livree abitualmente usate a Corte differivano secondo il grado e l'importanza del dipendente e variavano di colore dal nero (corte aragonese) al tricolore (Corte di Borso d'Este: berrette rosse, ziponi di pignolato bianco, giornee verdi con calze). Matrimoni e feste erano poi occasioni particolari di sfoggio d'abiti per impressionare i presenti.
Le cronache dell'epoca (come quelle del cronista Bernardino Zambotti ) tramandano notizie di cortei eccezionali per le nozze tra Alfonso d'Este e Lucrezia Borgia a Ferrara nel 1502. L'abbigliamento era ovviamente adeguato alla circostanza: il duca Alfonso era vestito con “veste signorile” accompagnato da 3 squadre di balestrieri vestiti con divisa bianca e rossa.
Lucrezia indossava una gamurra (ampia e lunga veste) di raso cremisino con un mantelletto di raso, in capo aveva una cuffia d'oro lavorata con perle e al collo una collana di grosse perle.
A “Corte” dunque si praticava in talune circostanze un gran lusso, ma nel quotidiano si viveva anche con moderazione.
Alla corte di Nicolò III° (prima metà del XV secolo) la seconda moglie, Parisina, indossava vesti semplici di pignolato (fustagno) e d'inverno di panno foderato di vaio (animale simile allo scoiattolo). Le sue donzelle usavano vesti di seta e velluto ma anche guarnello (stoffa di bambagia e cotone) e cotta (ampia tunica) di pignolato verde o rosso con maniche di stoffa nera. I paggi portavano giornee (sopravveste) e ziponi con magliette d'argento e le gonghe (alamari) di seta, ma dormivano sulla paglia.
Altri esempi di sfarzosità d'abbigliamento troviamo in Violante, figlia di Galeazzo II°, che nel 1368 sposò Lionello figlio del re d'Inghilterra. La sua dote comprendeva 5 ricchissime cottardite (giustacuori): una di panno scarlatto tempestato di perle, un'altra ricamata con “motti” incorniciati da foglie e fiorellini, un'altra ancora di velluto cremisi lavorata al collo e maniche. In simili eventi l'oro abbondava nelle vesti più importanti (XIV – XV secolo) , mentre a partire dalla metà del XV secolo si diffusero la seta e i broccati d'oro e argento: solo a fine '400 a Milano si avviò una produzione di panni serici che crebbe in pochi anni per divenire la fabbrica principale della città. Non dimentichiamo anche che la “corte” era “scena” di esibizione di vesti e apparati sontuosi: artisti di fama (v. Leonardo da Vinci) erano al servizio delle esigenze signorili e nobiliari (es. per il matrimonio di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona o per quello di Sante Bentivoglio con Ginevra Sforza).
Nel 1487, in occasione poi del matrimonio tra Annibale Bentivoglio con Lucrezia d'Este, le strade di Bologna vennero addobbate con “de pani d'araza e de gilande e de frasche” (come riferisce il cronachista Gaspare Nadi) e l'accompagnamento musicale fu assicurato da 100 trombettieri, 50 pifferi e tromboni con corni e flauti e da un corteo di 180 giovani vestiti di seta.
In “corti” più importanti si avevano ovviamente sfoggi di maggior magnificenza: come per le nozze di Cosimo I° de Medici ed Eleonora di Toledo che entrò in Firenze in splendide vesti spagnole. I partecipanti al corteo nuziale erano vestiti “ciascuno secondo il suo grado” nel rispetto della rigida distinzione vigente all'interno della corte. I paggi indossavano livree più ricche rispetto agli altri cortigiani. Nel 1567 la divisa dei paggi era composta da un saio di velluto  turchino con berretto turchino, ma con fondo di taffettà (seta leggera) verde. Nel 1566 le calze di rascia (panno di lana) turchina, erano intere per i paggi e spezzate per staffieri e cocchieri che le portavano foderate di taffettà verde con ginocchielli di raso verde.
A “corte” vigeva l'uso di donare capi di abbigliamento come salario e come segno di riconoscenza per qualche favore ricevuto: il dono poteva anche essere una manifestazione del rapporto che legava il ricevente alla corte il cui emblema o il cui motto potevano figurare sul capo donato.
Esempi ricordati furono il vero dono di un paio di calze di velluto ornate d'argento che Cosimo I de Medici diede a Giovanni, buffone tedesco, per aver recitato bene e il dono di Federico Gonzaga a Pietro Aretino consistente in una “roba” di velluto nero, con cordoni d'oro e fodera di tela che gli apparteneva.
Non solo il signore faceva dono ai cortigiani; si verificavano scambi anche tra tutti i membri della corte ed erano atti che esprimevano e rinsaldavano i legami reciproci di appartenenza.
Con le cerimonie nuziali spesso si tendeva a mascherare problemi reali alimentando una psicologia del consenso (es. alla Corte di Milano tra le più splendide d'Italia) come al matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona, figlia del re di Napoli (nel 1490).
Tali nozze furono spettacolari e dovevano contribuire a celare l'usurpazione del potere da parte di Ludovico il Moro, zio di Gian Galeazzo. La festa fu ideata da Leonardo da Vinci e fu occasione di sfoggio di ricchezza e fantasia nelle vesti (v. relazione dell'ambasciatore estense Giacomo Trotti). Gian Galeazzo era vestito di broccato d'oro in campo rosso cremisi, Isabella era vestita “alla spagnola” con un mantello di seta bianco sopra alla giubba di broccato d'oro in campo bianco con perle e gioielli in quantità.
Il cerimoniale della festa prevedeva altresì un alternarsi di balli e felicitazioni da parte dei sovrani di altri paesi che avevano inviato messi vestiti con adeguata pompa.
Con la formula “alla spagnola” l'ambasciatore Trotti alludeva alla contrapposizione netta tra la parte superiore della veste (attillata) e quella inferiore molto ampia.
Anche per le apparenze il Ducato di Milano era un centro di influenza di idee e informazioni provenienti dal Nord Europa, ma anche dalla Spagna: era una sorta di laboratorio di sperimentazione e una vetrina di esposizione per ricchezza e invenzioni.
E' da notarsi per l'epoca il ruolo molto importante nel campo delle vesti e ornamenti di Beatrice d'Este moglie di Ludovico il Moro e la parte che ebbero artisti illustri (da Leonardo al Pisanello, da Bramante ad Ambrogio de Predis) nel rappresentare e nell'esprimere la potenza della Corte.
L'abito non è piccolo argomento della fantasia di chi lo porta” sosteneva Baldasar Castiglione e questo vale non solo per il suo tempo e non solo per l'ambiente di corte.
Le vesti descrivono non solo una persona, ma anche un'epoca e una civiltà e affermano molte cose anche sul potere e sulle relazioni di appartenenza o di esclusione, da esso attratte.
Si tratta di un potere non utopistico, bensì ridotto alle sue componenti quali regole, individui e relazioni tra loro.
Vesti e ornamenti possono essere così impiegati per una storia che non è “minore”, ma che ha in vista le svariate forme di esposizione di ruoli conosciute dalla società occidentale nel suo svolgimento secolare.
Si discute anche sulla tesi che sostiene l'ambiente di Corte quale fonte principale della “civilitas” e se si sceglie come osservatorio il campo dell'espressività e della disciplina nell'abbigliamento si arricchisce il dibattito.
Si conviene peraltro che la città del Duecento è comunque il crogiolo della “civilitas” occidentale nel suo divenire intrecciato con l'ambiente di Corte.
La città infatti a partire dal XIII secolo è stata luogo e occasione di protagonismo attraverso le vesti, di manifestazione d'identità e anche di scontri tra chi, detenendo il potere, dettava le regole e chi ad esse si opponeva. Le norme estetiche ed etiche che nacquero poi nell'ambito di questi scontri, furono valide per chi abitava in città e per chi lavorava in campagna.      

Marco dei Ferrari        

2 commenti:

  1. Dalla poesia al saggio: Marco dei Ferrari riesce a sorprenderci con la sua poliedricità e i suoi molteplici interessi.
    In questo caso è il Medioevo ad affascinare l'Autore, che analizza un elemento - il vestiario - spesso trascurato e che invece merita attenzione in quanto, come ben dimostra il testo, descrive non solo la persona ma anche la gerarchia dei rapporti di potere all'interno di una società.
    Marco dei Ferrari si muove evidentemente nel solco della grande storiografia degli Annales inaugurata dagli studiosi francesi Marc Bloch e Lucien Febvre che allargarono il concetto di storia fino a comprendere gli usi e costumi dei popoli e tutti i temi e le problematiche che possono farci meglio comprendere le varie epoche storiche.
    Lo studio di Marco dei Ferrari è analitico ma non pedante e attraverso la descrizone delle vesti ci permette di capire meglio il funzionamento di una società lontana da noi, ma che ancora suscita interesse e in cui affondano le nostre radici perchè in essa è "il crogiolo della “civilitas” occidentale".
    Infine, dunque, l'Autore ci ricorda che ogni storia è storia contemporanea.

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  2. Marco dei Ferrari è presente oggi con un'altra delle sue passioni: la Storia. Nel suo animo di poeta vive un particolare amore per il Medioevo e il Rinascimento, come ha stupendamente dimostrato in alcune opere in versi di qualche anno fa.
    In questo breve saggio l'Autore entra subito " in medias res" come si conviene nella trattazione di un argomento di natura storica, ma alle precise notizie di cronaca del periodo unisce curiosità e particolari di gradevole lettura, con cui evidenzia la sua bravura di scrittore e la sua fantasia di poeta. Infatti Marco dei Ferrari, pur confessandosi cultore di Storia, è e resta il poeta originale e fascinoso che conosciamo.
    Nella descrizione degli abiti di corte nel Medioevo troviamo la cura del particolare ma anche una interessante visione d'insieme, dove ben si inseriscono personaggi e artisti di fama, come Leonardo da Vinci, invitato a corte per le sue note qualità di pittore ed esteta tout-court. Notevole l'abilità di Marco nel dipingere l'atmosfera di un'epoca che da sempre lo attrae; descrive feste sfarzose, strade addobbate, cortei nuziali con paggi e musicanti e personaggi di corte, tutti splendidamente distinti secondo il loro grado e la loro importanza.
    E' questo soprattutto il centro d'interesse del saggio; le differenze tra i moltissimi personaggi di corte, differenze dichiarate proprio dalla foggia e dal colore degli abiti indossati. Su questo e su altri particolari del vestiario e della vita privata insiste la penna dello storico-poeta che, senza dimenticare l'aspetto strettamente cronachistico lascia intendere al lettore un significato più profondo per una riflessione di carattere umano e sociale.
    In sostanza ancora una volta Marco dei Ferrari invia sulle spiagge di Leucade un suo messaggio per chi ama soffermarsi su qualcosa che non sia banale.
    E' una lettura piacevole che promette altresì una continuazione.
    Edda Conte

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