lunedì 4 marzo 2019

NAZARIO LEGGE: "POETI SATIRICI LATINI" DI LUCIANO DOMENIGHINI


DALLA METRICA QUANTITATIVA ALLA PROSA POETICA DI LUCIANO DOMENIGHINI

 
Luciano Domenighini. Poeti satirici latini.
TraccePerLaMeta. 2019
Satira, satura, satur, pieno, sazio. Dice Quintiliano “Satura quidem tota nostra est”. La satira è completamente nostra, in mano ad attori Historiones, che si esibiscono in un genere di musica danza e recitazione.
Luciano Domenighini, non nuovo in  queste imprese (basterebbe affacciarsi al suo Poemi didascalici latini), ci offre un quadro rappresentativo di un genere letterario, come afferma Quintiliano, prettamente latino; un  genere che  a differenza di altri, non ha risentito di contaminazioni. Quello che ci appare è una traduzione personale, non proprio alla lettera, dei versi di Autori Satirici. Tutto è reso in una prosa fluente, armonicamente suasiva, dove la sapienza verbale si prende a carico tanta emotività; tante sfaccettature di pagine scritturali scelte a “pallino”, dacché rispecchiano coi loro contenuti le latebre di una società  (la nostra) tanto simile a quella di una romanità in crisi; soggetta ad essere bersaglio di una attenzione mordace alla Giovenale. Qui la novità del testo; tutta nel rendere una metrica classicamente quantitativa in una prosa attuale, per spirito  e contenuto. Cosa non facile modernizzare il dire dei latini, renderlo attuale, e consonante ad una narrazione che è viva nelle corde dello scrittore. E tradurre significa interpretare, far nostro, rielaborare e partorire. Significa studiare, gettarsi a capofitto nell’ambito culturale dei singoli Autori che lo connotano, far nostro un dizionario, una maniera di intendere e di vivere. Domenighini ha fatto sua questa cultura, ne ha studiato gli input, le caratteristiche, e con grande fattività energetica, con generosa intuizione verbale, con vasta competenza classica, e creativa, ci offre una Antologia di rara fattura filologica. Leggerne le traduzioni significa scoprire le malizie tecniche e soprattutto la sua passione per i classici latini. D’altronde già altre volte l’Autore si era misurato con imprese del genere.  E già aveva rivelato tutta la sua perizia epigrammatica. Sì, dacché è strettamente personale una scelta; significa preferenza, equazione fra l’oggetto da tradurre e il soggetto che anima di sé  una pagina; che ricorre a tocchi personali, a strategie che lo distinguono. Il libro riporta in esergo i versi 33-39 di LA SERA DEL DI’ DI FESTA di G. Leopardi, in cui il recanatese si lamenta che tutto il mondo sia in silenzio e non ragioni più delle opere dei classici: “... Tutto è pace e silenzio, e tutto posa/ il mondo, e più di lor non si ragiona”. Si procede con la premessa dell’autore: “Alla satira di ogni tempo attiene il compito di narrare le vicende del consorzio umano come scontro perpetuo tra istinto e ragione e, in definitiva, come infinita contesa, nell’animo e nei comportamenti umani, fra i sette peccati capitali.... e le sette virtù....”. Segue la Prefazione attenta e esaustiva di Chiara Filippini, che ci introduce nella focus della satira romana: “... La satira, genere letterario eminentemente latino, accompagna lo scorrere della storia romana da Lucilio, vissuto nel III secolo a. C., a Giovenale, poeta del II secolo d.C., e si distingue per alcune caratteristiche proprie...”. Cinque gli autori esaminati: Gaio Lucilio, Quinto Orazio Flacco, Aulo Persio Flacco, Decimo Giunio Giovenale, Marco Valerio Marziale. Seguono: Appendice: Ars poetica, Postfazione a cura di Niccolò Dell’Erba,  Nota critica a cura di Ilaria Celestini,... e nota biografica.
Si inizia, quindi, con Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), con le sue satire Contro l’ingordigia dell’accumulare, la solitudine dell’avaro, L’avaro si rende odioso e resta solo, La giusta misura..., La satira origina dallo spirito della commedia, Cronaca di un viaggio fino a Poesie... Emerge soprattutto dalle satire (bonaria quella di Orazio, sferzante quella di Giovenale) quanto sia vario il mondo del quale il poeta finemente si burla, ma anche  che la sua satira è prevalentemente letterario-filosofica. L’altro sentimento spesso cantato è l’amicizia; ma c’è differenza tra l’amicizia intesa da Catullo, gelosa e violenta, e l’amicizia oraziana, fatta tutta di calma, di un effetto tranquillo. Si passa a Aulo Persio Flacco (34-62 d.C.): V, 151-153, Prologo (Ci si guardi dai poeti prezzolati!), Satira IV, V (Dixeris haec inter varicosos centurioines/ continuo crassum ridet Pulfenius ingens/ et centum Graecos curto centusse licetur-  Se dirai queste cose in mezzo a centurioni varicosi, / immediatamente un nerboruto Pulfenio riderà di gusto/ e per cento Greci offrirà neppure cento assi). Linguaggio difficile, non troppo comprensibile, e privo di legami logici fra le diverse serie per la loro frammentarietà. Il poeta trova modo di burlarsi nello stesso tempo dei tanti pseudo poeti che allora infestavano le sale di recitazione. Molto attuale se si pensa alla babilonica confusione di poeti e poetucoli di oggigiorno. Seguono le pagine deicate a Decimo Giunio Giovenale: Satura I (Sono stufo di ascoltare poesie, belle o brutte che siano, ma lontane dalla realtà, attualissima (I, 87-95, 147-150: Oggi a Roma si è toccato il fondo: “... Niente di peggiore la posterità  potrà aggiungere ai nostri costumi...”. L’osservazione del poeta portata all’estremo scopre il suo vero temperamento, di un osservatore crucciato agli occhi del quale la vita in tutte le sue manifestazioni non è che vizio: l’indignazione lo spinge a far versi (facit indignatio versum – I 79). Nella sua satira c’è un malcelato rancore contro un mondo che se la gode, lasciando la virtù ai poveri e agli ultimi (probitas laudatur et alget – I 74). A lungo il suo periodo diventa complesso, perché a lui non sempre basta la parola d’effetto, dal  momento che non vuole né divertire né meravigliare, ma sferzare a sangue. Si prendono in considerazione le satire fino alla XI (Interea Megalesiacae spectacula mappae/ Idaeum solemne colunt, similisque triunpho/ praeda caballorum praetor sedet ac, mihi pace/ inmensae nimiaeque licet si dicere plebis,/ totam hodie Romam circus capit, et fragor aurem/ perculit, eventum viridis quo colligo panni... Frattanto, mentre noi ceniamo, gli spettatori delle corse equestri Megalesi celebrano la festa della Dea Madre Cibele e il pretore siede sul carro trionfale in balia dei suoi cavalli: in ragione della folla immensa e smisurata, se mi è concesso dirlo, oggi il Circo contiene tutta Roma, e un’ovazione fragorosa mi colpisce le orecchie, da cui deduco che la vittoria è andata ai verdi...). Marco Valerio Marziale (40-104 d.C.) è l’ultimo poeta  preso in esame. Così lo presenta Domenighini nella sua nota introduttiva. “Marziale, dei satirici latini, è il più moderno. Non ostenta grandi principi morali e il suo cinismo, residuale e, quasi suo malgrado, talora si affianca alla gretta meschinità del “cliens” di professione che fa i conti precisi di quanto debba essere corrisposto al proprio servilismo e che protesta e ironizza quando il corrispettivo non è adeguato... Saltuariamente, in certe aperture descrittive o in qualche ripiegamento elegiaco (per la piccola Erotion, V- 34, 37) si rinviene una vena lirica intensa sostenuta da un’invenzione metaforica di qualità superiore. Di seguito tre versi inziali  di I poti contemporanei: ignoranti, vanesi e ridicoli:  Nunc satis est dixisse: “Ego mira poemata pango;/  occupet extremum scabies; mihi turpe relinqui est/ et, quod non didici, asane nescire fateri – Oggigiorno basta dire: “io faccio poesie meravigliose: prenda la rogna chi arriva ultimo! Non sopporto di essere lasciato indietro e di ammettere di non sapere affatto quello che non ho imparato”.
Il libro, di ben 320 pagine, evidenzia una particolare versatilità dell’autore, che spazia da brano a brano con una sagacia interpretativa di acuta valenza. E quello che più colpisce è l’attualità degli scrittori scelti che in gran parte delle loro composizioni rivelano contenuti di moderna sagacia critica. Un libro che potrebbe essere di grande utilità didattica se impiegato in licei o anche in indirizzi classici universitari.

Nazario Pardini

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