martedì 1 novembre 2016

MARIA GRAZIA FERRARIS: "NOVEMBRE-LA FESTA DEI MORTI"


Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade


Novembre- La festa dei morti







La lettura del bellissimo romanzo di Gianna Manzini, Ritratto in piedi, dedicato al padre, mi conduce ad un diverso giardino abbandonato, pieno di erbacce, il cimitero di Cutigliano, sull’Appennino pistoiese, dove è sepolto il padre, anarchico e perseguitato dal fascismo.
Gianna lo guarda questo umile cimitero, guarda quella tomba coperta da erbacce, e si mette pietosamente a fare un po’ d’ordine.  Ma in quest’operazione, d’amore filiale, le pare di sentire la voce del padre che la contrasta, e che le dà il suo ultimo insegnamento.
“Adagio strappavo ciuffi di erba... Una tomba in questo stato! Mi tirai un poco su, come per un colpo leggero alle reni, appena barcollando.
Di molte piante, lui avrebbe saputo il nome; e non gli sarebbe piaciuto che si dicesse “erbacce”. “Erbacce, perché non servono a te? Perché non ti piacciono? perché t’intralciano?”
Sicuro che me lo sussurrava all’orecchio. Ma io non potevo fare diversamente. Almeno ripulire, diamine. Alcune si aggruppavano in una famiglia ispida: sdegno o difesa, sembravano costringerle a una vicinanza serrata. Contro quelle mi accanivo, scalzando attorno con le dita…E lui, il babbo, amorosamente contrastandomi: “Erbacce perché non rientrano in un certo schema?”
 Forse mi burlava; e questo avrebbe potuto offendermi…
Più basso, più penetrante e tuttavia appena ironico, lui.
“ Erbacce perché l’uso vuole che si distruggano? Nascono condannate, le erbacce”.
 Ero soltanto in grado di ascoltare.
“Perché ti umilia quest’eccesso gratuito d’impulso vitale?” Gratuito: voleva alludere al fatto che, fra gente meschina come “noi”, è apprezzabile solo ciò che costa? Insisteva dolcemente.
“Esuberanza povera povera” (Qui la voce si faceva struggente: appena un soffio di un caldo fraseggiare proteggendo).
“Povera: e per ciò, vedi come pietoso questo far gruppo, questo avvincere…” Infine una segreta, fioca esclamazione: “ è vita, Gianna, è vita!” L’avrebbe detto, lo sapevo, con quel suo sorriso breve, modesto, che attenua e quasi mette in disparte.
Finalmente, mi pareva di percepire la rivolta di una strana verde congerie che aveva un respiro tutto particolare: di umidità, di amaro; qualcosa di doloroso e di forte: odore e colore costituivano il loro bene, la loro tenacia,la loro forza.”
La scrittrice, attenta e sensibile,  coglie l'affinità esistenziale tra noi, la nostra condizione di vita, la società così diversificata e infelice, e le erbacce, coglie  quel comune spirito di adattamento e quell'istinto di sopravvivenza che dovrebbero indurci a riconoscere in loro- le erbacce-  delle compagne di vita da amare, dal destino saldamente intrecciato al nostro.


 Maria Grazia Ferraris

5 commenti:

  1. Grande insegnamento, quello del padre di Gianna Manzini. Morto? E' solo con i vivi che si può conversare, perché conversare è un atto vitale, ovvero un atto intelligente. La vita, anche quella delle "erbacce", è tutta intelligente. Ma attenzione: "intelligere" significa "leggere dentro", e chi è intelligente sa che non esistono barriere tra la vita e la morte. "Ero soltanto in grado di ascoltare" scrive la Manzini, e in quell'ascolto c'è l'invito ad avere rispetto per tutto ciò che vive e respira intorno a noi, anche delle cosiddette "erbacce", perché ogni filo d'erba è VIVO, semplicemente "vivo", e dunque intelligente. Per questo tutto ci somiglia e noi somigliamo al tutto, se ovviamente riusciamo a fare buon uso dell'intelligenza. Ringrazio la Ferraris per aver ricordato tutto ciò nel cosiddetto "Giorno dei Morti".
    Franco Campegiani

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  2. Analisi elegante, fine di un romanzo che ho avuto il piacere, l'immenso piacere si leggere. Ed ecco che la Ferraris mette in evidenza, con acuta perspicacia intellettiva, quelli che sono gli aspetti didascalico-allegorico-poetici di un memoriale di alto spessore etico. Un pallido novembre che invita a riflettere e a leggere...

    Prof. Angelo Bozzi

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  3. Interessante, davvero interessante il nuovo intervento di M. G. Ferraris. Stimolante e decisamente insolito rispetto alla letteratura del distacco. Già, perché da quanto riportato si evince che "Ritratto in piedi" non dipinge il solito e abusato ricordo del padre ma quello di chi - nonostante il trapasso - non ha perso la voglia di ribellarsi allo stereotipato e abulico modo di concepire le cose.
    Invece, ci si reca ai cimiteri così, quasi come fosse un dovere, credendo cioè che estirpando le "erbacce" e facendo pulizia si procuri chissà quale genere di sollievo ("Erbacce, perché non servono a te? Perché non ti piacciono? perché t’intralciano?...“Erbacce perché non rientrano in un certo schema?...Perché ti umilia quest’eccesso gratuito...è vita, Gianna, è vita!"). E finalmente la rivolta arriva ai sensi della scrittrice: un odore forte entra nelle sue narici.
    Mi complimento con la Ferraris, che fa benissimo a rimarcare le affinità tra la nostra condizione e quella delle erbacce infestanti; lo spirito di sopravvivenza che dovrebbe indurci - come quelle - a resistere agli strappi di una società infelice e malata.

    Sandro Angelucci

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  4. Molto bello questo intervento che ci invita a riflettere. L'esuberanza gratuita, la forza disordinata, il crescere anarchico delle erbacce è vita tanto quanto il petulante imporsi di un tulipano in un vivaio. Par la Natura il valore è lo stesso e dà la stessa forza agli uni che all'altro, ma per noi il tulipano è come il cane mentre le erbacce sono come il lupo. Il cane ci lecca le mani e ci fa le feste, le case son piene di cani, mentre il lupo ci fa paura ed è quasi estinto, estirpato dalla sua natura. Eppure che differenza c'è tra un cane e un lupo? La libertà? Spingendoci oltre, che dire dell'uomo? Quando gli spagnoli conquistarono le americhe, in soli 50 anni di guerre di conquista si calcola che abbiano fatto 25 milioni di vittime, tutti indigeni scuri di pelle, tutti nudi, ignoranti perché non parlavano spagnolo, in una parola: selvaggi (come le erbacce, come il lupo). Ecco cos'è l'incontro con il diverso, cos'è la civilizzazione: stabilire l'ordine che a noi più garba, e non importa se così facendo si falcidia la vita. A noi piace così, il resto è elemento di disturbo. E poi ci stupiamo se qualcuno ci riserva trattamenti simili.
    Concludo citando un amico: la pianta, quella piccola e insignificante che cresce sul ciglio della strada, quella che pianta le sue radici tra le crepe dell'asfalto, quella che cerca acqua e alimento nell'aridità della città, quella che respira l'aria mefitica degli scappamenti, quella che con uno sforzo indicibile si manifesta in un fiore... quanto ha faticato per quell'attimo di fioritura? E perché lo fa?
    Perché questa è la vita!
    Claudio Fiorentini

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  5. Ringrazio Nazario Pardini che nell’accettare il mio contributo ha scritto:
    “bel romanzo; la vita, la morte, il ricordo, l'abbandono, il verde, e l'erba....: "Adagio strappavo ciuffi di erba... Una tomba in questo stato! Mi tirai un poco su, come per un colpo leggero alle reni, appena barcollando. Di molte piante, lui avrebbe saputo il nome; e non gli sarebbe piaciuto che si dicesse “erbacce”. “Erbacce, perché non servono a te? Perché non ti piacciono? perché t’intralciano?”.
    Una pagina di poesia, di narrativa poetica che ti abbraccia e ti fa pensare... Che ti riporta a memoria volti e immagini rimasti lì a covare, nell’attesa di essere ripescati per vivere”
    E ringrazio Franco Campegiani che sa commentare i testi più diversi alla luce della sua intelligenza filosofica, la quale unifica e rigorosamente interpreta senza sentimentalismi inappropriati, riflettendo sul tema dell’intelligenza, così come il prof. Bozzi che giustamente sottolinea nel romanzo della Manzini “il memoriale di alto spessore etico”, invitandoci alla lettura. Condivido l’interpretazione di S. Angelucci che rimarca le affinità tra la nostra condizione e quella delle erbacce infestanti, “lo spirito di sopravvivenza che dovrebbe indurci - come quelle - a resistere agli strappi di una società infelice e malata”, ma soprattutto segnala la necessità di cambiare il nostro punto di vista conformistico, sempre utilitaristico e meschino. Ed un grazie particolare a Claudio Fiorentini, alla sua riflessione sul “diverso”, e la “vita” attraverso la storia della “civilizzazione” americana e al suo splendido poetico esempio delle piante infestanti che sanno crescere perfino nelle crepe dell’asfalto.

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