Ines Marone
L’INCANTO DELLA MEMORIA
Recensione di Enzo Concardi
Queste
prime considerazioni generali trovano riscontro in taluni passaggi critici
dedicati alla poesia di Ines Marone. Così Nazario Pardini, nella prefazione del libro,
parla di “... una poesia fortemente intimistica, un vero melologo, dove parola
e sentimento si amalgamano per dare fiato al canto, a quella parte che nasconde
gli anfratti più segreti di un’anima...”. E Ninnj Di Stefano Busà
sottolinea: “... Ci troviamo di fronte ad un murmure d’anima privilegiato, ad
una mente fervida e lucida che sa predisporre le giuste coordinate per il gioco
allusivo delle risonanze...” (Dalla prefazione a Nella culla della notte, 1999).
E Maria
Grazia Ferraris puntualizza: “Nella sintassi chiara e pulita,
volutamente rigorosa e sobria, c’è la forza di una profonda riflessione
ontologica: il senso della vita, il disagio che spesso sconfina nel
disorientamento, ma anche in momenti di gioia interiore, intima, di luce che
sconfina nel sogno, la luce dell’amore – terrestre e divino – religioso.” (Da Contributi
per la Storia della Letteratura Italiana, IV volume, 2020).
Di
questa poetessa mi pare siano apprezzabili in modo particolare le
ambientazioni, le atmosfere che sa creare con maestria, coinvolgendo il lettore
nel suo mondo, toccando le corde della nostalgia e dell’emotività. Se visitiamo
alcuni testi ciò balza subito in evidenza, e qui procediamo per
esemplificazioni. Vi è il piacere di ritrovare nella propria borsetta un
biglietto, ricordo di una serata a teatro o di una festa, trascorrendo alcune
ore serene in amicizia (La presenza delle piccole cose); vi sono Le
piccole gioie che, come un sassolino gettato nell’acqua, creano un cerchio
crescente, sempre più grande; vi è la descrizione di una notte d’inverno, dopo
la pioggia, quando “le vecchie case taciturne / avvolte dal silenzio / sembrano
avere un’anima” e la poetessa osserva dalla finestra dove forse anche lui fece
altrettanto guardando le strade deserte (Notte d’inverno); la rievocazione di un’atmosfera
novembrina dominata dal vento che sbatte i rami del platano, del noce e dell’acacia
in giardino, ma poi si placa nella luce del mattino, e qui tocchi di natura s’innestano
ad arricchire il paesaggio (San Martino); i ricordi dell’adolescenza
tumultuano nella suggestiva Le scalinate di Blevio, dove la
poetessa canta il suo paese, la chiesa in riva al lago, gli abitanti “forti e
schivi”, i pescatori, le barche e le gite, e “le discese in centinaia di
gradini / percorsi in fretta per raggiungere il pontile / e non perdere l’ultimo
battello”; anche una Balaustra sul lago è occasione di rimembranze: i
particolari diventano immagini quasi sonore, come i pini, la ghiaia, le
colonnine ad anfora, i gerani rossi… e lui che rideva e parlava; la sorpresa di
un giardino nascosto tra i palazzi della città, risentendo voci di amici
lontani, la madre che cantava: ricordi che vuole scacciare perché pungenti, ora
che vive tra asfalto e cemento (Giardino a Milano); la città si ferma: “s’acquieta
il brulichio / fa sosta nei locali / e nei caffè delle tovaglie a fiori”, poi
lo sguardo volge a settentrione dove le Alpi imbiancate scintillano altre
nostalgie (Primavera
a Porta Venezia); giunge il tempo de La fiera campionaria a
Milano e la madre prepara con cura la casa per gli ospiti che dovranno
arrivare, e sono “il merletto di Bruges” o “la bianca tovaglia di tulle” o gli argenti
e le tende al centro della poesia d’ambiente.
… Vi è dunque la ricomparsa di un “piccolo mondo antico” che va
tramontando, ma che rimane abbarbicato, tenace come un’edera, nella memoria,
nell’anima, nel cuore della poetessa.
Le meditazioni sul tempo albergano
ovunque, anche se talvolta sottese. E’ un tempo, come abbiamo detto, che fugge:
un tempo perduto, doloroso, che punge come ago sottile (Ciò che si perde); un
tempo di vita che ha l’inevitabile scadenza, della quale non sempre abbiamo coscienza:
nella tenerissima lirica Avevo un gatto, ella ci racconta
che la sua perdita le fece capire come la morte giunge spesso senza preavviso,
ed oggi: “Quando torno a casa ancora cerco / la sua piccola figura nera / in
cima alle scale / e i suoi occhi ansiosi / che mi rimproverano / per la mia
assenza”; anche le Rose scarlatte diventano immagine
simbolica del tempo, poiché alcune sfioriscono prima ed altre più tardi, e noi
“possiamo soltanto guardare e accettare / la misura del tempo a ognuno concessa
/ per fiorire e sfiorire”; ma ci fu anche il tempo dell’amore, quando “In un
angolo di tempo / nella penombra del giorno / mi hai aperto il tuo cuore”,
anche se ora tutto ciò è fluito nel “riserbo del silenzio” (La breccia).
Forse la lirica più simbolica e onirica riguardante la visione esistenziale
dell’autrice è Il cappotto rosso, il cui messaggio
ultimo sembra essere quello di un navigare difficile e tumultuoso nella
parabola terrestre, da cui ci si può difendere solo con l’amore: “Io avevo un
cappotto rosso / … / la mia mano nella tua / nel nido caldo / della tua tasca”.
Il navigare arduo è reso con belle immagini: “... la bruma della sera / si
insinuava delle strade”, “vele senza meta ... con passi vagabondi / nel
labirinto dei vicoli senza nome” e con il tempo sempre pressante (“L’inverno
alitava … / sui nostri baci rubati al tempo”).
Il mistero e l’ignoto ci avvolgono come un mantello nella notte.
Dunque anche per Ines Marone - come per tanti poeti contemporanei - la condizione umana vive le sue contraddizioni fra desiderio d’infinito e fralezza umana: “... il mio cuore è già in alto: / è volato a toccare le stelle / e paura non ha d’incendiarsi” (Notte di stelle); e poi scrive quello che possiamo ritenere il suo testamento spirituale: “Così lontano dalla perfezione / davanti a Te dispiego la mia debolezza / e non cerco pretesti per assoluzioni / mentre compilo la mia lista / di sbagli e inadempienze. / Solo un po’ di stupore nel constatare / come di giorno in giorno / di anno in anno / nuovi orizzonti / modifichino le nostre certezze, / a quanti errori possano portare / opinioni tanto sicure / e senza fondamento” (Lontano dalla perfezione). Infine, quindi, accogliamo il suo canto come un inno alla vita, all’amore per la vita: un fiore che se anche dovrà appassire, resterà per sempre nel giardino dell’Eden.
Enzo Concardi
Ines Marone, L’incanto della memoria, pref. Nazario Pardini, Guido Miano
Editore, Milano 2021, pp. 72, isbn 978-88-31497-47-3; mianoposta@gmail.com.
Nessun commento:
Posta un commento