martedì 13 aprile 2021

ENZO CONCARDI LEGGE: "L'INCANTO DELLA MEMORIA" DI INES MARONE



Ines Marone 

L’INCANTO DELLA MEMORIA

Recensione di Enzo Concardi

      

                                          

Leggendo il libro di Ines Marone – appena pubblicato in questo mese di aprile 2021 – dal titolo L’incanto della memoria, mi sono sorti quasi immediatamente tre accostamenti letterari che, a mio modo di vedere, ne definiscono l’ambito culturale e lo sviluppo tematico: nella sua poetica vi sono elementi del Panta Rei attribuibile al pensiero di Eraclito, traducibile con il “tutto scorre”, “tutto passa”, per indicare che la realtà è in eterno divenire, nulla esiste di fisso ed immobile e ciò nei testi poetici della silloge si traduce in una dipendenza dell’uomo dal tempo - dimensione indefinibile - in cui è possibile tuttavia rivedere sé stessi e la propria vicenda storica nel viaggio a ritroso di tipo  memoriale, serbatoio lirico di tante meditazioni; qui, l’aggancio in epoca moderna, avviene inevitabilmente attraverso la Ricerca del tempo perduto di origine proustiana, quell’affascinante navigazione totale ed infinita nel passato, nella rievocazione malinconica del ritrovamento archeologico della propria identità, ora mutata, e che quindi può ricostruirsi solo guardando alle azioni compiute e, ricordandole, come nei versi della poetessa, le persone, il tempo, le cose rivivono pur essendo già state vissute, ma in modo diverso, con un tentativo della mente di vincere l’oblio e la scomparsa; e la tematica memoriale trova affinità in lei con alcuni modi del Crepuscolarismo novecentesco, amante della poesia delle piccole e semplici cose legate al vivere quotidiano, ricercando rifugio in quieti angoli di mondo, in pieghe intime dell’anima da cui trarre anche le proprie piccole gioie esistenziali, mediante un linguaggio non ricercato - anche se talvolta simbolico - dal verso libero, strada intrapresa anche dalla poetessa. A tutto ciò occorre annettere l’ispirazione proveniente – oltre che dall’incanto della memoria - anche dall’incanto della natura, dove scompaiono tanti affanni e si può vivere il sogno di voli pindarici.

Queste prime considerazioni generali trovano riscontro in taluni passaggi critici dedicati alla poesia di Ines Marone. Così Nazario Pardini, nella prefazione del libro, parla di “... una poesia fortemente intimistica, un vero melologo, dove parola e sentimento si amalgamano per dare fiato al canto, a quella parte che nasconde gli anfratti più segreti di un’anima...”. E Ninnj Di Stefano Busà sottolinea: “... Ci troviamo di fronte ad un murmure d’anima privilegiato, ad una mente fervida e lucida che sa predisporre le giuste coordinate per il gioco allusivo delle risonanze...” (Dalla prefazione a Nella culla della notte, 1999). E Maria Grazia Ferraris puntualizza: “Nella sintassi chiara e pulita, volutamente rigorosa e sobria, c’è la forza di una profonda riflessione ontologica: il senso della vita, il disagio che spesso sconfina nel disorientamento, ma anche in momenti di gioia interiore, intima, di luce che sconfina nel sogno, la luce dell’amore – terrestre e divino – religioso.” (Da Contributi per la Storia della Letteratura Italiana, IV volume, 2020).

Di questa poetessa mi pare siano apprezzabili in modo particolare le ambientazioni, le atmosfere che sa creare con maestria, coinvolgendo il lettore nel suo mondo, toccando le corde della nostalgia e dell’emotività. Se visitiamo alcuni testi ciò balza subito in evidenza, e qui procediamo per esemplificazioni. Vi è il piacere di ritrovare nella propria borsetta un biglietto, ricordo di una serata a teatro o di una festa, trascorrendo alcune ore serene in amicizia (La presenza delle piccole cose); vi sono Le piccole gioie che, come un sassolino gettato nell’acqua, creano un cerchio crescente, sempre più grande; vi è la descrizione di una notte d’inverno, dopo la pioggia, quando “le vecchie case taciturne / avvolte dal silenzio / sembrano avere un’anima” e la poetessa osserva dalla finestra dove forse anche lui fece altrettanto guardando le strade deserte (Notte d’inverno); la rievocazione di un’atmosfera novembrina dominata dal vento che sbatte i rami del platano, del noce e dell’acacia in giardino, ma poi si placa nella luce del mattino, e qui tocchi di natura s’innestano ad arricchire il paesaggio (San Martino); i ricordi dell’adolescenza tumultuano nella suggestiva Le scalinate di Blevio, dove la poetessa canta il suo paese, la chiesa in riva al lago, gli abitanti “forti e schivi”, i pescatori, le barche e le gite, e “le discese in centinaia di gradini / percorsi in fretta per raggiungere il pontile / e non perdere l’ultimo battello”; anche una Balaustra sul lago è occasione di rimembranze: i particolari diventano immagini quasi sonore, come i pini, la ghiaia, le colonnine ad anfora, i gerani rossi… e lui che rideva e parlava; la sorpresa di un giardino nascosto tra i palazzi della città, risentendo voci di amici lontani, la madre che cantava: ricordi che vuole scacciare perché pungenti, ora che vive tra asfalto e cemento (Giardino a Milano); la città si ferma: “s’acquieta il brulichio / fa sosta nei locali / e nei caffè delle tovaglie a fiori”, poi lo sguardo volge a settentrione dove le Alpi imbiancate scintillano altre nostalgie (Primavera a Porta Venezia); giunge il tempo de La fiera campionaria a Milano e la madre prepara con cura la casa per gli ospiti che dovranno arrivare, e sono “il merletto di Bruges” o “la bianca tovaglia di tulle” o gli argenti e le tende al centro della poesia d’ambiente.  … Vi è dunque la ricomparsa di un “piccolo mondo antico” che va tramontando, ma che rimane abbarbicato, tenace come un’edera, nella memoria, nell’anima, nel cuore della poetessa.

      Le meditazioni sul tempo albergano ovunque, anche se talvolta sottese. E’ un tempo, come abbiamo detto, che fugge: un tempo perduto, doloroso, che punge come ago sottile (Ciò che si perde); un tempo di vita che ha l’inevitabile scadenza, della quale non sempre abbiamo coscienza: nella tenerissima lirica Avevo un gatto, ella ci racconta che la sua perdita le fece capire come la morte giunge spesso senza preavviso, ed oggi: “Quando torno a casa ancora cerco / la sua piccola figura nera / in cima alle scale / e i suoi occhi ansiosi / che mi rimproverano / per la mia assenza”; anche le Rose scarlatte diventano immagine simbolica del tempo, poiché alcune sfioriscono prima ed altre più tardi, e noi “possiamo soltanto guardare e accettare / la misura del tempo a ognuno concessa / per fiorire e sfiorire”; ma ci fu anche il tempo dell’amore, quando “In un angolo di tempo / nella penombra del giorno / mi hai aperto il tuo cuore”, anche se ora tutto ciò è fluito nel “riserbo del silenzio” (La breccia). Forse la lirica più simbolica e onirica riguardante la visione esistenziale dell’autrice è Il cappotto rosso, il cui messaggio ultimo sembra essere quello di un navigare difficile e tumultuoso nella parabola terrestre, da cui ci si può difendere solo con l’amore: “Io avevo un cappotto rosso / … / la mia mano nella tua / nel nido caldo / della tua tasca”. Il navigare arduo è reso con belle immagini: “... la bruma della sera / si insinuava delle strade”, “vele senza meta ... con passi vagabondi / nel labirinto dei vicoli senza nome” e con il tempo sempre pressante (“L’inverno alitava … / sui nostri baci rubati al tempo”).  Il mistero e l’ignoto ci avvolgono come un mantello nella notte.

Dunque anche per Ines Marone - come per tanti poeti contemporanei - la condizione umana vive le sue contraddizioni fra desiderio d’infinito e  fralezza umana: “... il mio cuore è già in alto: / è volato a toccare le stelle / e paura non ha d’incendiarsi” (Notte di stelle); e poi scrive quello che possiamo ritenere il suo testamento spirituale: “Così lontano dalla perfezione / davanti a Te dispiego la mia debolezza / e non cerco pretesti per assoluzioni / mentre compilo la mia lista / di sbagli e inadempienze. / Solo un po’ di stupore nel constatare / come di giorno in giorno / di anno in anno / nuovi orizzonti / modifichino le nostre certezze, / a quanti errori possano portare / opinioni tanto sicure / e senza fondamento” (Lontano dalla perfezione). Infine, quindi, accogliamo il suo canto come un inno alla vita, all’amore per la vita: un fiore che se anche dovrà appassire, resterà per sempre nel giardino dell’Eden.

Enzo Concardi

 

Ines Marone, L’incanto della memoria, pref. Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 72, isbn 978-88-31497-47-3; mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

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