teneri di verde/i prati/salgono ai Casoni,…”; ai Castagni: “A voi ritorno, amici miei castagni,/in questo afoso giorno dell'estate./La nostalgia d'un tempo mi sospinge/alla magica terra dell'infanzia…”; DAL VINO DELLE CINQUE TERRE: “C’è tutto il sole/di Liguria/in questo vino,/la trasparenza/dell’aria sconfinata/e l’asciutta forza/della pietra….”; da ALLA MAMMA: “Dammi/il tuo sorriso,/mamma,/splendido raggio/d'un giorno sereno…”; fino all’ultimo canto di JOBHEL, una preghiera di luce e di speranza che raggiunge livelli alti di lirismo in cui in cui il poeta ci dona il meglio di se stesso: “Il suono di jobhel/ancora annuncia/l'avvento del tuo tempo,/ Signore./ Riposi la terra/ e i suoi frutti doni/ad ogni uomo,/adesso che Tu proclami al mondo/ancora la tua liberazione/nell'anno del riscatto./Torna tra noi, Signore!/Chinati sulle nostre miserie/con la pietà/del buon Samaritano:/lava/cura/risana le ferite,/da' luce ai nostri occhi/e speranza al cuore/ nell'indulgenza del perdono./Signore, indica la via/a questo disorientato/pellegrino del Duemila/che s'arresta al bivio/e ancora non sa decidersi:/guida il suo passo/sulla via di Emmaus/e accompagna il suo cammino…”
Una silloge plurale, polisemica, dove il poeta
parla dell’uomo, di tutte le sue debolezze, di ogni suo tentativo di perseguire
il Cielo, partendo dalle piccole cose, dalle aporie del quotidiano che con la
sua poesia si fanno esplosioni di cuore
e di armonie
Nazario Pardini
Due parole al lettore
Perché questa raccolta di poesie? Come è nata e,
soprattutto, il perché dell’inconsueto titolo “Dalla a alla j”. Questa nuova
raccolta intende fare una panoramica della mia poesia. Le composizioni presentate
sono tratte dal mio archivio informatico in ordine alfabetico (ecco spiegato il
titolo del libro) e spaziano in un arco di tempo molto ampio: si può dire
dall’inizio del mio percorso poetico (vedi “Inquietudine”) alla più recente
(“Fortunato...”). Diverse sono già state pubblicate, altre sono ancora inedite.
Tra quelle pubblicate alcune sono state premiate in concorsi nazionali.
Come
presentazione, ho voluto riprendere alcuni cenni critici dedicati alla mia
poesia da un caro amico, il prof. Giuseppe Sciarrone da Messina, una delle voci
poetiche più limpide del recente passato. Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente
Sciarrone (nel 1978), quando fu premiato in un concorso di poesia di cui io ero
membro di giuria. Da allora, tra noi si è stabilita e consolidata negli anni
una profonda amicizia, testimoniata dal costante rapporto epistolare intercorso
(custodisco religiosamente tutte le sue lettere dal 1978 al 2000, anno della
sua scomparsa). I suoi scritti sono vere e proprie pagine di altissimo valore
letterario, da cui ho appreso molto. Sì, Sciarrone è divenuto virtualmente il
mio maestro e la sua amicizia è stata per me il più bel premio.
Prefazione di Giuseppe Sciarrone
Sono gocce
di luce che sgorgano da un’anima innamorata e malinconica, anelante alla bontà,
alla pietà, alla calda sincera comunicazione umana, ma, al tempo stesso, pudica
e dignitosa nella forza della concentrazione emotiva anche quando s’inoltra in
un terreno dove è facile scivolare nel languido sentimentalismo.
Sono gocce
di luce che s’intridono dell’azzurro del cielo e del mare, del verde respiro
delle selve, del romito richiamo di campane lontane, del profumo antico di un
passato che sale dalla memoria come l’eco di un singhiozzo a stento trattenuto.
Sono gocce
di luce che scendono lentamente nel cuore del lettore, lo coinvolgono, lo
conquidono, lo dispongono, in modo affabilmente suasivo, alla bontà e
all’amore.
Mai come in questi versi si avverte l’amara presa di
coscienza della rapina del tempo e dell’inesorabile caducità della vita. Il suo
battito veloce è trepidante scandito dal cuore. Però è difficile sottrarsi
all’impressione della sua, per così dire, circolarità. Sentiamo un tempo che si
sprofonda nel passato fino ad annullarsi per riemergere poi nel presente con un
invito alla speranza.
Un tempo che
ha una sua gravitazione concentrica perché il brivido conturbante del suo
allontanarsi non si perde lungo la tangente nelle “sconfinate pianure
dell’anima”, ma ritorna nel nostro esistere ed operare, specie nelle poesie che
affrontano temi di scottante attualità.
Il
linguaggio di queste liriche è assolutamente schivo di lenocini letterari, di
funambolismo verbali e di vortici metaforici. Ammirevole è la semplicità sempre
controllata e calibrata come quella di pochi rari poeti capaci di trasferire
con immediatezza nei loro versi il canto dell’anima.
La parola lenta, cadenzata, assorta, ed intensamente
evocativa scende diritta al cuore e suscita mille sensazioni dimenticate come
la musica del mare quando è calmo nelle ore del tramonto.
AI CASONI
Dalla pineta ombrosa,
teneri di verde
i prati
salgono ai Casoni,
verso crinali aperti
ai monti di Liguria
e di Toscana.
Dal Coppigliolo
al Civolaro,
nascono fragili nubi
e si disfanno
nell'azzurro terso;
scendono freschi silenzi
nell'estate chiara,
rotti solo, di tanto in tanto,
dal suono di campani
di greggi al pascolo
e di mucche
e di cavalli bradi
stagliati nel cielo.
Una bianca croce,
un piccolo santuario
di pietra,
una baita degli Alpini,
la fattoria
al limitar dei prati
segnano l'antica civiltà
della natura.
Ormai lontani
sono i rumori,
le vie
convulse,
le ciminiere cupe:
adesso, in questa pace,
è facile sognare.
Così, ampio si fa il respiro,
e nel profumo
di montagna
serena l'anima rinasce.
AI CASTAGNI
A voi ritorno, amici miei castagni,
in questo afoso giorno dell'estate.
La nostalgia d'un tempo mi sospinge
alla magica terra dell'infanzia.
Allora voi placaste la mia fame.
S'aprivano le ricce come scrigni:
generose e lucenti le castagne
furono il nostro pane quotidiano.
Non ho più fame, ma solo sete adesso.
Con le foglie preparerò il bicchiere,
ché l'acqua pura dell'antica fonte
possa spegnermi in cuore quest'arsura.
Ho tanta sete d'alba e di rugiada.
Voi solo ormai serbate di quegli anni
liete stagioni e giorni spensierati,
dolcezza di profumi e di memorie.
Datemi ancora un poco di quel tempo!
E quando stanco poserò il mio passo,
non cercherò ombra cupa di cipressi
ma il vostro fresco, tenero di verde.
AL COMPUTER
Io, uomo dell’altro secolo,
per te sentivo un’avversione innata:
quel tuo linguaggio strano
alimentava il pregiudizio.
Poi, un giorno, entrasti in casa.
A poco a poco (e con fatica)
ho cercato di capirti.
Ora non sei più estraneo:
mi sei diventato amico.
Docile segui i miei disegni,
dai accoglienza ai pensieri,
alla parola elegante forma,
e se talvolta m’accade
di cadere in qualche svista
discreto m’avverti e dai consiglio.
Di giorno in giorno
la tua memoria s’è arricchita
e adesso è un patrimonio vero
prezioso che tu devi custodire.
Ma anche tu, come l’uomo,
sei incerta fragile creatura
ignara del futuro e del destino.
Anche tu un giorno
potresti smarrire la memoria
e tornare al nulla.
Non ti suoni allora offesa la parola
se adesso si fa invito
a salvare i pensieri anche sulla
carta.
AL FOCOLARE
Non mi spaventa
l’inverno
se acceso
è il focolare.
“Olivo benedetto
brucia verde e secco”
...e quando crepita
la fiamma
mi sento in compagnia.
Al suo tepore
il capo mio abbandono,
al suo profumo
s’adagiano i pensieri…
E non ricordo più.
AL VINO DELLE CINQUE TERRE
C’è tutto il sole
di Liguria
in questo vino,
la trasparenza
dell’aria sconfinata
e l’asciutta forza
della pietra.
C’è la vita paziente
solitaria
dura:
fatica strenua
e amore inesausto
di millenni.
C’è la nobiltà dei tralci
e della terra
nell’abbraccio
mitico
d’un rito;
c’è la gloria
in questo vino antico
celebrato
dal canto
dei poeti.
ALLA CASALINGA
Silenziosa
instancabile
custodisci
Saggia
governi
Sposa
madre
maestra
Donna sulle donne
erede d'antichi doni
tu sei la più gentile
delle divinità.
ALLA COMETA
Dimmi,
sei tu la cometa che a Natale
appendevo ai miei sogni di bambino?
Avevi una gran chioma allora
ma questa notte in cielo
tra mille e mille stelle
fatico a ritrovarti.
Lo so che vieni da lontano
e nel cammino di millenni
s'è forse perduto
un po' del tuo splendore.
Eppure tu conosci a memoria
galassie e nebulose
ove non giunge sguardo umano,
e inviolati segreti
ancora custodisci.
Vai e puntuale torni nei secoli
come il nascere e il morire
di stagioni.
Non c'è in te presagio infausto
comodo alibi per l'uomo
che addebita alle stelle
l'ombra del suo male.
Non sei tu forse un palpito di luce
nel perfetto disegno del creato?
E la luce non è da sempre
simbolo di vita?
Perché allora taluno ancor s'ostina
a farti profeta di sventura?
Io so che tu non porti male alcuno
oltre quello che l'uomo
cagiona di sua mano.
Tu sei soltanto un astro pellegrino
docile alle regole del cielo.
Semmai, nel ricordo sereno dell'attesa,
per me rimani
l'immutata cometa di stagnola
sul mio lontano presepe dell'infanzia.
ALLA FORMICA
Tu, sempre
prima della classe!
Esempio da imitare.
Prendi
tutto quel che trovi
e porti via.
Tu, non canti
perché non sai cantare,
non doni
perché non sai donare.
Da un giudice di parte
hai fatto condannare
la cicala in canto
come vagabonda.
In un mondo
dove tutti prendono
chi dona
è guardato con sospetto:
insano seguace dell’assurdo
o, peggio, subdolo avversario
che tende a sovvertire
le regole del gioco.
ALLA MAGRA
Mio fiume,
bello tu sei ancora
di giovinezza a primavera:
specchi nell'acque chiare
boschi di castagni,
pini e pioppi sulle rive,
antichi paesi e castelli
sopra colline tenere d'olivi.
Mio fiume,
buono tu sei ancora:
disseti greggi e terre,
città e villaggi;
concedi ore serene.
Io pure, seduto sulle ghiare,
m'incanto alla tua voce
come nei remoti tempi
quando donne inginocchiate,
accomunate in canto,
battevano i panni sulla pietra.
Mio fiume,
socchiusi gli occhi
al tuo splendore,
strascico regale
che lento va
solenne al mare,
in te ritrovo il sogno
d'un mondo ancora salvo;
una sopita gioia
dischiusa nel respiro,
e nella luce del mattino
l'intatto amore
per questo mio paese.
ALLA MAMMA
Dammi
il tuo sorriso,
mamma,
splendido raggio
d'un giorno sereno.
La tua voce
armoniosa
fammi sentire,
il canto più bello
di tutto il creato.
La tua mano
porgimi
e non avrò paura.
Io,
con tutto l'amore
ti dono
il mio piccolo cuore
di bimbo.
ALLA
MIA PATRIA
La mia patria è qui
in questa terra
aperta sulla valle
nel verde di pini
d'olivi
e di castagni;
qui dove a giugno
immense macchie di ginestre
s'accendono di sole
e lontani profumi
il vento leggero
del meriggio
esala;
qui dove ancora
il cuculo scandisce
e alterna il suo richiamo
a lunghe pause di silenzi.
La mia patria è qui
tra questa gente antica
ormai sempre più rada
semplice nei gesti
e nobile nel cuore
gente indomita
tenace
alla terra legata
e alla parola:
umile gente
dignitosa.
La mia patria è qui
dove libertà e legge
non hanno bisogno di custodi
perché sono parte dell'uomo
della terra;
qui dove le case
non hanno cancelli
reti o muri intorno
ma l'uscio sempre aperto;
dove il nascere
il vivere
il morire d'ognuno
è per tutti
un grande evento.
ALLA MIA TERRA
Amo questa mia terra aspra e ferrigna,
ove l'olivo il sasso dilavato
adombra, e di piano in piano la vigna
grada giù verso il mare ricamato
dalla brezza, che fremiti leggeri,
profumati di sale e d'erba secca,
innalza dolcemente nei sentieri,
tra muretti di sasso e terre cinte.
Amo i pini pascenti sui crinali
aperti allo scirocco e al maestrale,
i solitari e placidi casali
scoloriti dal sole e dal salmastro,
il fico curvo e la palma gigante
ad ombreggiar la tavola disposti,
l'agave e l'eucalipto biondeggiante
aggrappati alla terra sull'abisso.
Amo questo mio mare scintillante
nei tiepidi meriggi dell'inverno,
e nelle sere il cielo rutilante
ancora messaggero di speranza:
speranza che s'arresti il braccio
all'empio
che già, con mascherati intendimenti,
tanto ferì la terra e fece scempio
di cieli puliti e di mari limpidi;
speranza ch'io, sì anch'io, possa trovare
in questa terra di sole, di pietre
e di silenzi, innanzi a questo mare,
e per sempre, rifugio ai miei pensieri.
ALLA QUERCIA
Ancora mi susciti
profumo di banchi
e tenerezza di memorie.
Freschi scorrono i versi,
limpide acque
dell'antico rivo
ove eterno si specchia
il volto del Poeta.
Tu sei l'albero
che m'accendesti in cuore
la prima pietà:
pietà per la tua morte,
per la capinera
orfana di nido;
pietà divenuta amore.
Sì, la poesia ti ha fatto amare.
E, tu,
amare mi hai fatto la poesia.
ALLA REGINA DEI GATTI
Forse non conoscevano
il tuo nome,
eppure con miagolii festosi
puntuali
ti chiamavano ogni giorno,
e quando apparivi
di corsa ti venivano incontro
intorno
come a una regina.
Per te
era quell'esprimersi d'affetti
un raggio tiepido di sole
che dissolve silenzi di brina
caduti nella notte
sopra
il cuore.
Nessun uomo mostrò mai
tanta gioia di vederti,
nessuno
il dolore di non vederti più.
Niuno s'accorge
quando muore un fiore
o una farfalla.
Chissà...forse soltanto il fiore
rimpiange
la farfalla che più non viene
e, la farfalla,
il fiore che non ritrova più.
ALLA SORGENTE DELLA LUCE
(A Rino Ferrari)
Siamo tornati oggi
in un giorno di festa
su questi colli ridenti
aperti sulla Magra.
Siamo tornati come allora
per restare insieme.
Ancora il passo
s’addentrerà nel verde
e l’anima leggera s’innalzerà
in nome dell’amicizia vera
che vive oltre le stagioni.
Ancora la tua voce,
il tuo sorriso ci saranno accanto,
la dignità della tua vita
maestra di vera nobiltà.
“Tutto l’esistere è un cammino,
l’uomo un marciatore
-così ci disse un giorno Dionisio,
il nostro amato frate cappuccino-
l’essenziale è giungere alla meta”.
E tu, con lui sei giunto
alla sorgente della luce.
ALLA VITA CHE NASCE
S'apre alla vita
tenero il germoglio,
respira l'azzurro;
s'inebria di luce
e di rugiada.
3 ottobre: giorno d'autunno?
No, oggi è primavera.
ALL'OLIVO
Non cerco
alberi solenni
che non lasciano
filtrare il sole,
ma alla tua ombra lieve,
umile olivo,
lieto mi adagio
e finalmente quieto.
Seguo la tua vita
ricurva e saggia
vestita d'anni
e di licheni,
i tuoi rami:
braccia protese e mani
nell'offerta al cielo
di minute stelle
tenere d'argento.
Benedetto sei, mio olivo,
tu che perenne
all'autunno sopravvivi
e nell'inverno
concedi doni;
tu che proclami
il bene della pace
e, di olio purissimo,
mistico ravvivi
la fiamma di Francesco,
e ogni giorno segni
la fronte della vita
che nasce
e che rinasce.
ALL'ONDA RADIO
Mistero
e fascino t'avvolge
onda invisibile
silente.
Fulmineo impulso
come luce
oltre vallate e fiumi
montagne e mari,
oltre nuvole e confini
libera t'espandi.
Vinci deserti
e oppressioni di silenzi,
notte e giorno
agli antipodi
congiungi.
Eco profonda del pensiero
in spazi eterei
incontro all'infinito
t'abbandoni.
Colmata ogni distanza,
simile a un palpito di stella,
vivo
fai sentire l'universo
e l'uomo
parte della stessa storia.
AUGURI A NATALE
Buon Natale a tutti, ad ognuno:
alla città, ai paesi,
ai bambini, agli anziani,
a chi nella serenità raccolta
adagia il suo desiderio di pace
e a chi, anche oggi, è costretto al
lavoro.
Buon Natale a chi è nell'ombra,
piegato dal dolore
e avvilito dalla solitudine:
non suoni come vuota parola,
sia, invece, l'augurio d'una speranza.
Buon Natale a te, che negli anni
hai perduto l'entusiasmo d'un tempo;
a te, che oltre l'albero e il vischio,
ricerchi il vero valore alla festa.
-Andiamo incontro alla solitudine;
aggiungiamo un piatto e una sedia;
lasciamo socchiuso l'uscio.
Nessuno sia solo a Natale!-
E tu, e noi, finalmente,
dalle note d'un canto di bimbi,
sentiremo nell'animo infusa
quella pace profonda d'un tempo;
nello splendido sguardo innocente,
troveremo riflessa la stella:
la luce dell'antico Natale.
Buon Natale a tutti, ad ognuno.
AUTODIDATTA
Questa sera
nel silenzio
il pensiero richiama
lontane veglie d'inverno
davanti alla lucerna:
un libro aperto
e il tuo desiderio adulto
d'imparare.
Ricordo
la tua lettura stentata
e la grafia incerta.
Quanto mi è cara
adesso
la tua voce lontana
e l'indurita mano,
ora che il vento ha disperso
la polvere del giorno
e frammenti di nuvole
ha dissolto
nel cielo consumato
della sera.
Per te,
non fu facile l'esistere,
né la libertà un dono
ma una conquista
pagata col sangue
e col sudore
giorno dopo giorno.
Per te, mio vecchio,
sento stringermi nel cuore
questa sera
pensieri d'amore e dolore;
per te che sei rimasto un simbolo:
la dignità
della mia antica gente contadina
che non ebbe maestri
ma che insegnò
e ancora insegna
la più alta lezione della vita.
AUTUNNO
Illumini d'oro il bosco,
di fuoco la vigna,
di bianchi croci la collina.
Disperdi le voci nel vento
e già le prime brume innalzi
sulla serena luce.
Nella terra adagi
il seme della vita
e nel cuore riponi
la speranza del risveglio.
BANDIERA BLU
Vorrei innalzarla
sul mio cuore
e a piedi nudi
camminare
in trasparenze d'acque
sulle ghiare
come allora.
Vorrei sentire
il fresco fremito dell'onda,
pèndulo sommesso
di voci innocenti
e placidi pensieri,
per cogliere
frammenti di sole
e di sereno.
Vorrei innalzarmi
col profumo del mare
sull'ale del vento
e intatta
la mia terra ritrovare
oltre l'orizzonte estremo.
BOTTAGNA
Forse
c'è ancora
quel pesco...
forse continua a fiorire.
C'è ancora la strada
che lega il villaggio
i pioppi
i platani
i tigli
all'argine verde
del Vara.
Immutati
la chiesa
il sagrato
l'antica campana.
C'è ancora una festa
di tempi lontani
che lega la gente
ai ricordi.
C'è ancora l'azzurro del cielo
e del fiume,
la vigna sul poggio,
la quieta campagna:
c'è ancora Bottagna.
BRICIOLE
Seminava di briciole
il balcone
e il passero, puntuale,
tornava nel mattino
saltando qua e là
guardingo.
Poi col tempo
non ebbe più timore:
giungeva perfino al davanzale
sbirciando
all'interno della stanza.
Quel vecchio
non gli faceva più paura.
Così tra i due s'era creata
una segreta intesa,
uno scambiarsi di doni
e d'attenzioni:
briciole di pane
in briciole di vita.
CAMMINARE INSIEME
Varcata la soglia
del millennio
innanzi a te,
pellegrino del Duemila,
si apre
una nuova via.
Nessuno sa
il suo percorso
né dove giungerà.
Col tuo passo percorrila.
Non farla diventare
esasperata corsa
e affanno
per distaccare gli altri.
Semmai -qualche volta-
aspetta chi è rimasto indietro.
Camminare insieme
per la stessa strada
verso la stessa meta:
questo l'augurio
e la certezza
d'una nuova età.
CANADAIR
Dove corri
nube pellegrina?
Fermati.
Getta uno scroscio
sull'anima che brucia.
Risveglia
un fresco alito di vento
e profumo di terra
su questa lunga estate
di sole
di polvere
e di pinete in fiamme.
CARABINIERE
Simbolo
e custode della legge.
Figlio della mia patria
della mia gente
dalla città
al paese più sperduto
alto ne porti onore
e dignità.
Fedele nei secoli
di te anch'io mi fido.
CASSA INTEGRAZIONE
Pollice dritto
o pollice verso?
Anch’io questa sera
sono in attesa
davanti alla porta
d’un albergo
a cinque stelle.
Ancora un’attesa!
La mia vita
è fatta d’attese:
è la vita del povero.
E il povero
è sempre imputato
per la sua povertà.
Non importa ai giudici
se è innocente
o colpevole
purché si rimetta
alla clemenza della Corte.
CERCO IL TUO VOLTO
Cerco
il tuo volto sconosciuto
nel volto d'ogni uomo,
la tua voce
nel vento leggero
che semina sull'erba
i fiori dei ciliegi,
la tua mano sul mio capo
come carezza
del sole
a primavera.
Cerco
il tuo cuore
nel riflesso
tremulo
d'un borro,
i tuoi pensieri
oltre sussurri d'olivi
nell'azzurro.
Cerco
in questa terra un segno
che stagli nell'alba
il tuo profilo:
l'orma d'un passo
sulle riarse zolle
o l'intreccio
del salice sui tralci
d'una pergola cadente,
l'innesto d'un mandorlo fiorito
o un muro a secco
nel paziente mosaico
delle pietre.
Cerco
la tua anima:
la cerco nel fremito
lucente
di rugiada
sopra un fiore,
nell'incantato mondo
dei poeti.
CERCO LA VITA
Qui
non ha fretta il tempo
né alcun senso
l'illusione d'essere.
Per tutti c'è un pigiama
-disadorna divisa del malato-
e gli esitanti pensieri
dell'attesa.
Incertezze e speranze
speranze e incertezze
richiamano
i lontani tempi della scuola
ora
che l'esisto d'altri esami
attendo.
Ancora promosso o respinto?
Ma allora
il respinto perdeva
soltanto un anno.
Cerca il cuore
-desolatamente solo-
di rompere
l'assedio dei pensieri.
Cerco una finestra
che lasci intravedere
un frammento di sereno,
una mano da stringere,
una parola amica.
Cerco la vita
e la forza
per lottare ancora.
CIMITERO DI PAESE
Pagine raccolte
di uno stesso libro,
foglie cadute
dallo stesso albero,
volti e nomi noti
di una medesima storia.
Mosaico:
incompleto,
ancora per poco.
CINQUE TERRE
Luminosa terra
di Liguria
aspra di rupi
a picco sul mare
e gentile di vigneti
squadrati a scala
pietra su pietra
verso altezze serene;
solitaria
selvaggia di lame
e di garìghe fiorite
esposte
all'abbraccio dei venti;
ridente
di borghi
annidati a valle
o innalzati al cielo
tra rocce
e marine trasparenti
consumate dai millenni.
Cinque Terre
nel tuo silenzio m'adagio
per riscoprire
il suono d'una voce
nel canto antico
d'un germoglio.
CIVITAS SPEDIA
Quando il primo uomo,
lasciati i simulacri
-arcane stele di pietra-
e attraversato il fiume
e le colline,
s'affacciò sul Golfo,
comprese d'essere giunto
alla terra attesa.
A poco a poco, in silenzio
nascesti, mia città.
Forse non vanti la gloria
di nobiltà passate,
d'eventi e di splendori
segnati dalla storia:
non puoi fregiarti
serenissima, superba,
dotta o eterna,
eppure per ogni figlio
che ti lascia
tu rimani nostalgia d'un sogno
nell'ardente attesa del ritorno.
Tu sei, e resterai per sempre,
la terra sua promessa.
COLOSSEUM
(Un volo in mongolfiera)
Dal mare
oggi
leggero il vento
la mia vela
a te sospinge
mitica terra
di pietre
di sole
e di silenzi.
E con il vento
l’anima s’eleva
oltre le vigne
verso irreali
sconfinati approdi:
oltre paesi ridenti
annidati
tra le rocce e il mare
coste dirupate
dimora di gabbiani
e di sperduti fiori
oltre l’alta via dei monti
aperta sui crinali.
Da serene altezze
a oriente
lo sguardo si dischiude
s’allarga
e dai monti giù dilaga
tra il verde dei pini
dei lecci
degli olivi
tra palme
pittospori
eucalipti
incontro alla città
a borghi antichi
al mare ricamato
nell’incantato Golfo dei Poeti.
COME IL LIBECCIO
Un orologio fermo
come il polso
che più non segna
i battiti del cuore;
una borsa
con il pane
e con il vino
portati da casa
come sempre;
un portafoglio vuoto:
povera custodia
per le foto
d'una donna
e d'un bambino,
d'uno sbiadito santino
con il Cristo Crocefisso.
Altro non resta
tra lamiere rose
di ruggine
e di sangue,
su questa nave
venuta da lontano
e sospinta
dal vento ignoto
del destino.
Altro non resta:
ora che il silenzio
è sceso sui moli
e deserta
s'è fatta la sera...
Ma nel mio cuore,
con l'urlo del libeccio
che di spuma
flagella la scogliera
e le palme
e i pini
tormenta
e piega,
s'abbatte ancora
il disperato grido
del tuo addio.
COME UNA STELLA
Mi sei apparsa in sogno questa notte.
Venivi innanzi sorridente
tra i fiori del giardino nella luce.
Piena di vita era la tua voce,
la tua figura vera.
Incredulo
confuso
ti guardavo.
Ma non sei stata una visione,
nostalgia di chi non si rassegna:
hai preso la mia mano,
l'hai stretta nella tua!
Poi
come una stella all'alba sei svanita.
Eppure
non sei passata come un sogno:
anche se adesso non ti vedo
io so che esisti ancora!
M'aiuta
il tuo immutato amore alla speranza.
Sì,
quando la sera avrà riposto il giorno
dietro le montagne,
tu, come un astro,
m'apparirai di nuovo
per sempre
oltre le fragili
nuvole del tempo.
COMMIATO
Nella piazza
tornavano con l'eco
le parole
riflesse dalle pietre:
bisbigli sul sagrato
tra la gente
che non ha trovato posto
nella chiesa.
Sono rimasto fuori
anch'io:
tra foglie ingiallite
e il grigio
d'una sera d'autunno,
in silenzio
a guardare una città lontana
quasi svanita nel vuoto.
Immobile
e triste
ho atteso il canto dei morti.
Ma, d'un tratto,
tu mi sei venuto incontro
sorridente,
ancora parlando
di questa terra di Liguria
e della gente tua
e dell'inesausto impegno
di vita
e di speranza.
Così hai voluto
restare fedele
anche nell'ultimo saluto.
Confuso,
senza più parole,
ti ho risposto allora
con l'addio commosso
d'un
applauso.
CON TE ALLA MADONNA IN GAGGIO
Ho ancora viva negli occhi
l'immagine del treno:
quel breve viaggio tanto atteso
nel sole lontano dell'infanzia.
Oltre il fiume al santuario antico
salivamo pellegrini
tra verde d'acacie e di castagni.
Io so perché più forte adesso,
o Madre, si fa la nostalgia,
il desiderio di tornare.
nel giorno limpido d'agosto.
Ho sete di quell'acqua fresca
che spegneva la mia arsura.
Prendimi per mano ancora,
cantami l'antica storia...
di quelle lacrime di neve.
Ancora nel profumo di fiori,
d'incenso e cera
la Madonna col Bambino
dà pace al cuore.
E quando si fa sera,
se il mio passo è stanco
tu, o Madre,
figlia della Madonna in Gaggio,
prendimi ancora in braccio,
in braccio come allora.
CUCCIOLI
Bambini e cuccioli
s'inseguono
in giardino.
Grida gioconde
e festosi abbai
corrono nel vento
e si perdono
tra i pini.
I cuccioli o i bambini?
Non so
chi si diverte
di più.
DALLE GROTTE DI TOIRANO
La vita
e la pietra
a smisurato
confronto
nell'universo.
Un'impronta...
e il primo uomo,
stalagmite
nascente,
già sognava
le stelle.
DAVANTI A UNA XILOGRAFIA DI EMILIO
MANTELLI
Sull'ingiallito foglio, impresso in
nero,
il venditore di tacchini appare
avvolto entro quel suo mantello austero:
pensieroso...seduto ad aspettare...
Con quanta fedeltà cogliesti vivo
l'aspetto più sincero della gente,
dei poveri, del mondo tuo nativo:
quieto ma, spesso, pure sofferente.
Con cuore palpitante, caldo, umano,
ti legasti per sempre alla tua terra.
Con l'esperta, nervosa agile mano,
insuperato fosti ad intagliar.
Nell'arte, che al mortal perpetua il
giorno,
l'anima tua sensibile traspar.
DAVANTI AL PRESEPE
Non dimora regale
d'oro e di seta
ha scelto il Signore,
ma un giaciglio di paglia;
non l'aquila
non il leone
non il drago
ha eletto
come suo emblema,
ma l'agnello;
non lo scettro
non il sigillo
non la spada
ha voluto
come annuncio della sua venuta,
ma un segno del cielo:
una stella.
E la sua luce
fu sopra la terra
perché ogni uomo
uscisse dalle tenebre.
Davanti
al mio presepe
di gesso
questa sera m'inchino,
come i pastori
innanzi alla grotta.
Ma io, che porto al Signore?
Le mie mani sono vuote...
e il mio cuore
ha soltanto parole:
le foglie della mia nullità.
Non l'aquila
non il leone
non il drago...
ma neppure le foglie
come emblema
insegua il mio cuore.
DESIDERIO
Tu, che nella città tumultuosa
hai costruito il tuo regno
e fors'anche la tua prigione,
quando il peso dell'aria t'opprime
e l'affanno si fa più gravoso,
improvviso il pensiero usciti
a desideri di quiete
e a lontane speranze
d'una terra rimasta incorrotta.
E già sogni liberi spazi
di verde e d'azzurro,
ove il sole non è malato
e l'acque sono pure:
ove la tua voce
non più soffocata
da rumori tirannici,
finalmente libera,
corre, s'allarga, s'espande,
sfumando leggero il sonito
in profumati silenzi.
DIETRO IL CANCELLO
Dietro il cancello
volti gravi
di uomini in tuta.
Occhi tristi
che sognano un paese
ove il lavoro
non sia un regalo
ma un diritto.
Voci amare
di chi nulla può
contro disegni
e logiche fredde.
Mani consumate
incapaci di implorare
elemosine.
Anime ferite...
rosse di rabbia.
DIETRO L'ALBERO DI PIETRA
Fiorito è il pittosporo
vicino all'albero di pietra,
e nell'aria finalmente chiara
di questa tarda primavera
l'intenso suo profumo espande.
Ma tu non lo potrai sentire.
Il tuo nome, lì appeso
come in croce
sul palo freddo della morte,
è venuto a portare
l'ultimo saluto:
l'addio alla tua gente.
Senza clamori,
in punta di piedi,
col silenzio dignitoso
del tuo stile,
docile sei passato
sulla via rupestre
che porta all'orizzonte.
Ormai più non ti distinguo
ove s'annulla ogni distacco
fra terra ed infinito;
più non odo la voce tua
nel sordo rumore di conchiglia.
Ora si apre il vuoto
innanzi all'albero di pietra;
eterno d'ombre e di tristezza.
Cadono i giorni
uno dopo l'altro.
S'aggiunge nome a nome.
Torna ogni volta
l'insoluto perché.
DIGNITA'
Tu, senza colpa,
nascondesti
le ferite del cuore
come colpe.
Segreto fu il tuo pianto
represso il lamento.
Per te il dolore
era inviolabile
sacrario dell'anima.
Così nessuno s'accorse
nel tuo silenzio
della tua dignità.
All'indifferenza
non hai voluto lasciare
neppure un rimorso.
DONNE AL LAVORO
In ginocchio, curve,
come in una via crucis,
con le mani raggrinzite dal freddo,
setacciano l'erba dei campi;
ad una ad una, raccolgono le olive:
stanno sgranando veloci
gli acini d'un infinito rosario.
DOPO LA PIOGGIA ANTICA
Il secchio colmo
sotto la grondaia
il rivo gorgogliante
nella strada
il profumo della terra
e del bosco.
Nel botro il sereno.
Nel cuore
una freschezza antica.
DOVE VAI, SIGNORE?
Dove vai, Signore?
Forse nei ghetti
di baracche squallidi,
oltre cancelli chiusi
su bimbi e vecchi soli,
dietro barriere
di vetri bianchi
e muraglie dalle tristi grate?
Dove vai, Signore?
Forse nella strada
ove è inaridita l'erba
sotto passi d'inutili attese,
chino sotto il sole infocato
o l'algore tagliente,
tra rumori inumani,
fumo che nasconde il cielo,
colline arse di ceneri,
prati divenuti deserto,
fiumi rantolanti di bava
e case cinte di filo spinato?
Dove vai, Signore?
-A raccogliere sangue
e lacrime innocenti-
Per chi non ti conobbe
o T'ha dimenticato,
per me, uomo di sole parole,
nella via dolorosa torni,
forse a morire ancora.
DOV'ERAVATE, AMICI?
Dov'eravate, amici,
quella tarda sera
di vigilia?
Seduti a tavole imbandite
innanzi a donne
lucenti d'oro
e preziose bottiglie
poste in vasi d'argento?
Dov'eravate, amici?
A far baldoria
in qualche veglia,
tra musiche assordanti
e impazzite luci?
Dov'eravate, amici?
A seguire fiaccolate
su campi innevati
di paesi famosi?
Dov'eravate, amici?
A fare spari festosi
e squarci nella notte
con razzi
e frizzanti fuochi?
Eravate alla Chiappa
nella casa degli anziani
che non hanno più casa,
a dividere con loro
un panettone,
una bottiglia
e il vostro cuore buono di poeti.
San Silvestro,
tra tanto rumore inutile
c'è ancora qualcosa...
qualcuno che ama...
che crede...
che spera...
Nasce da loro
l'augurio più bello
per l'anno che viene.
E DI LUCE...
(a don Giuseppe Storti)
Non ho da offrirti
il delicato pensiero
d'un ricordo
come la tua gente antica
di Vezzano,
eppure
la tua immagine
-da semplici racconti-
è fiorita nel mio cuore
come una leggenda.
In questa terra
di sole
d'olivi e vigne,
di borghi silenziosi
d'aspre vie lastricate
e di terrazze aperte
a spazi sconfinati,
ancora non s'è spenta
l'eco del tuo passo;
ancora la tua vita
profuma di bontà.
Di luce
si nutre il girasole
e di luce
fa dono a tutti
come il sole.
E
I GRILLI CANTERANNO ANCORA
Ancora ti rivedo
lassù nella tua vigna
solitario
chino sugli acini dorati
dei filari
incantato
acceso d'amore.
Ti rivedo
ora alzare i pampini
dai grappoli lucenti
con la carezza lieve
d'un ragazzo,
ora con le cesoie in mano
o mentre sfili
di cintura il vinco
per fissare i tralci,
ora con la macchina del verderame
sulle spalle
nell'ansito di passi
salire la collina,
ora volgere lo sguardo impensierito
al cielo livido di nembi.
Ti rivedo come allora
in questa sera di settembre;
nel profilo d'ombra
inciso
dal tenue fuoco
dell'ultimo chiarore.
Ti prego! non svanire con il giorno.
Rimani con noi
in questa notte di vigilia.
Sulla tua vigna
presto sorgerà la luna
e i grilli canteranno ancora.
E SPERO ANCH'IO
Anch'io -sai-
correvo sui prati
contro il vento
per fare innalzare
il mio fragile aquilone;
anch'io m'arrampicavo sugli alberi
e sul muro tagliente
per strappare alla mimosa
una sua chioma d'oro.
Non corro più adesso,
né mi arrampico sui muri.
Eppure attendo
che rifiorisca la mimosa
e che s'innalzi ancora
un candido
aquilone.
Spera la terra ancora nella vita.
E spero anch'io
finché vedrò fiorire una mimosa
e volare un aquilone.
E TU SARAI ANCORA
Quando le ombre
della sera
saranno scese
sui tuoi passi
non tutto
andrà disperso.
In altri cuori
pulserà il tuo sangue
e un petalo
dell'anima tua
intatto
profumerà d'aurora.
Con nuovi occhi
vedrai l'azzurro fremito
della primavera
e nel suo canto
riscoprirai
giorni innocenti.
In altre membra
sentirai
al tiepido sole
l'abbraccio della vita
e per incanto
oltre il buio
tu sarai ancora.
Nelle mani
logore del tempo
troverai sbocciato
un fiore:
il dono del tuo sangue.
ECLISSI
Sole che a poco a poco
perde il suo splendore,
cielo senza nubi
diventato opaco,
mezzogiorno
e quasi si fa sera...
Arcano senso di paura
riesuma secoli e millenni.
Eppure altro non è
se non innocua striscia d'ombra
che rapida si posa e passa
sul volto della terra.
Ah, se la notte
fosse così breve!
e potesse la vita
con pari rapidità
spezzare le catene
del buio che l'opprime.
ED ECCO LA STELLA
Rigida, tacita notte
lo sguardo alzerò
a immensi silenzi
e dell'antica stella
invocherò il cammino.
Per tratturi e piani andrò
con le genti d'ogni paese.
Sarchierò l'anima
e dalla terra rinata
prenderà linfa il sarmento
della nuova stagione.
Ed ecco la stessa poserà
con ali di bianca colomba,
sul giorno che regge i secoli,
il suo canto di pace;
nel cuore acceso di sole
la grande speranza.
EPILOGO
Allora non compresi
quel tuo accresciuto timore
dell'attesa;
l'incertezza che segnava
ormai il tuo giorno:
-Non arriverò a Natale- dicevi
e l'incubo di trovarti un giorno
immobile, recluso,
larva del tuo io,
inutile affanno dei tuoi cari.
Non compresi allora
la segreta preghiera
del tuo cuore
ché quando fosse giunta l'ora
la falce
pietosa
recidesse rapida lo stelo.
Pensavo al tramonto
come all'ora quieta
che scende al mio paese
tra gli olivi e le vigne della costa,
al profumo dell'erba tagliata
nella luce di fuoco
che tinge le nubi di speranza.
Pensavo che la candela
si rassegnasse al suo finire
quasi paga della sua intera vita;
che il fiore
sereno
reclinasse a sera
la sua corolla stanca;
che la foglia
dolcemente
si lasciasse andare
al vento del destino.
Ma oggi scopro
che più la radice rimane senza terra
più s'abbarbica alla roccia.
Nello specchio degli anni
il mio volto
sempre più
somiglia al tuo.
EQUINOZIO DI MARZO
Ora
che l'incanto della fiaba
a poco a poco si dirada
e il mondo si contorna
di strade e di pareti
-ora
che s'apre la tua mente
e più forte
il cuore batte d'impazienza-
ora
voglio parlarti
come si parla a un uomo.
Prima di te
ho percorso la tua strada
e, credimi, più facile non era.
Anch'io
ho conosciuto a primavera
timori e desideri
impeti e speranze.
Anch'io
ho innalzato voli
incontro ai sogni del mattino.
Sì, certo, la vita
-rincorrersi d'attese-
è spesso gravida d'affanni:
alterno gioco
di nubi e di sereno;
a volte più di nubi che sereno.
Ma tu ricorda sempre
che oltre l'ammasso grigio
delle nubi
esiste il sole.
Nessuna oscurità
resiste
alla potenza della luce;
nessuna terra
alla forza d'un germoglio.
ETERNITA'
Nell'eco solenne
di questi canti immutati
e immutabili
nelle note possenti
dell'organo
fremiti d'antiche volte
e di vetrate
nella luce
di mille candele
innanzi
alla Madonna del Buon Consiglio
le voci
dei miei cari risorgono.
Così adesso si colma
il vuoto del tempo:
passato e presente
non hanno più confini
nell'eternità.
FAMIGLIA
Radice profonda
dell'albero più alto
più verde.
Pietra essenziale
della casa.
Gioia d'essere insieme
per dividere ogni cosa:
donare e ricevere
ricevere e donare.
Uniti,
il giorno di sole
appare più splendente
e la nebbia meno grigia.
Il freddo meno freddo
quando la mano
stringendo l'altra mano
trova
il calore tenero
del cuore.
Famiglia:
comunione oltre il tempo
e il vincolo del sangue.
Ed ogni sacrificio
ha un senso.
FERRAGOSTO IMMOBILE
(omaggio a Montale)
Adagiarsi nell'aia
d'un antico casale;
seduto per terra,
col capo appoggiato ad un sacco,
ascoltare nei caldi silenzi,
tutto d'intorno
nella campagna deserta,
frinir di cicale;
respirare profumo di rustico
e di terra assolata;
lasciare i pensieri
vagare nel cielo,
incontro a cumuli bianchi
venuti da monti lontani;
aspettare, nella calma d'estate,
il brontolìo sperduto d'un tuono.
FESTA AI CAVANON
Panche e tavoli di legno
sullo spiazzo erboso
all'ombra dei castagni.
Nell'aria fresca
il bosco porta
i suoi profumi,
il fuoco
antichi sapori di cucina.
Riscoprono le voci
serenità lontane
e il piacere di stare insieme.
FINCHE’
Finché vedrò
sbocciare un fiore
finché vedrò
volare una farfalla
finché vedrò splendere
il sorriso d’un bambino
io continuerò a sperare.
FOGLIE
Hanno fatto
mucchi di foglie
secche
e acceso fuochi.
Nel vento
dell’autunno
le fiamme crepitano
e un tenue fumo
s’innalza nell’aria
e si disperde.
Lontano
è il rancido mondo
dei motori.
In un fuoco
di foglie secche
ho ritrovato
il vecchio cuore
della mia città.
FORTUNATO…
Fortunato chi ha un lavoro
che dà speranza al suo futuro:
un lavoro stabile
sicuro.
Fortunato chi non deve
lasciare la sua terra,
andare lontano
pellegrino come profugo
in cerca di pietà.
Fortunato chi vede
dischiudere il germoglio
del seme gettato
e
fiorire
il sogno dell’attesa;
chi nel lavoro sente realizzata
la sua dignità di uomo
e finalmente libero
può farsi una famiglia,
avere una casa,
giungere all’autunno
con la giovinezza in cuore.
GIOVEDI' DELL'ASCENSIONE
Era gran festa
un tempo:
come Natale
e Pasqua.
Diceva mia madre:
"Neppure le rondini
oggi vanno in cerca,
né le api
di fiore in fiore.
Si fermano le nubi
e il rosignolo tace.
Benedetto
è questo giorno
di silenzi
e di preghiere".
Ancora vedo
il santuario antico
nascosto tra i castagni,
e nel sagrato erboso
i pellegrini
venuti da lontano.
Ancora sento,
nello stormir di fronde,
un semplice
suono di campana
perdersi nell'aria
splendida d'azzurro
e tenera d'incensi.
Era il giovedì
dell'Ascensione:
un giorno di festa
che non esiste più.
GIOVINEZZA IMMORTALE
Federica,
non ti conobbi,
eppure ti conosco:
negli occhi lucidi
di tutto un popolo
ho visto specchiarsi
la tua immagine,
Grazia radiosa del mattino
entro mille cristalli
di rugiada.
Federica,
non ti conobbi,
eppure ti conosco:
tra la mimosa delicata
e i bianchi ciliegi in fiore
di questa ridente primavera,
io ti vedo leggiadra
sfiorare la terra,
come un alito di vento;
e nella luce che sorge
t'innalzi, giovinezza immortale.
I MIEI ALBERI
Cari alberi, amici dell'infanzia,
con un fraterno abbraccio
tutti insieme vorrei stringervi.
Tu, olivo, ricurvo e saggio
vestito d'anni e di licheni
sacro a civiltà di popoli
e caro al cuore della pace.
Tu, castagno, che generoso
ti spogliasti d'ogni avere
per farti pane consacrato
e placare la mia fame.
Tu, pino,
che profumasti
d'incenso e canti il mio Natale
e ancor anelito m'infondi
di quella serenità lontana.
O alberi miei cari!
sempre vi chiamerò per nome
come fratelli uniti
nell'armonia della famiglia;
oggi che l'uomo scorda
spesso i suoi natali
e per un pugno di nulla
tradisce valori eterni:
perfino l'amicizia.
Mai, mai s'è udito
che un albero tradisse!
Mai, che fosse d'offesa al cielo
e di dolore all'uomo.
.
I NUOVI PADRONI
Devo gratitudine ai numeri,
perché essi mi danno
di che vivere;
però non posso dire d'amarli.
Non li amo
perché sono essi
i nuovi padroni:
aridi, freddi,
rigidi, inflessibili;
non sanno la fatica,
né la sofferenza,
né la pietà:
non hanno cuore;
forse sono potenti per questo.
Numeri, ancora numeri,
sempre numeri.
I grattacieli
sono fatti di numeri,
le autostrade sono fatte di numeri,
il successo
è fatto di numeri,
il potere
è fatto di numeri.
Sono entrati prepotenti,
con l'albagia del comando,
a dettar legge,
a giudicare:
assolvono, condannano;
sovente spogliano l'uomo
del suo nome:
lo fanno numero anch'esso
sperduto tra tanti;
così chi è piccolo
si sente più piccolo;
chi povero, più povero;
chi solo, più solo.
"Eppure tu ci devi..."
Mi rinfacciano i numeri
la mia povertà.
IL BAMBINO AMMALATO
Non era in attesa
per corrermi incontro.
Rosso di febbre,
sopito,
fatica un sorriso.
Vuota è la casa stasera.
Più vuoto il mio cuore.
IL BASTONE DEL VECCHIO
Nella povera casa, or così grande,
delicati ricordi rinverdisce
giovinezza lontana.
Sono immagini morbide di volti,
freschi suoni di voci tanto care
che raccontano gli attimi più belli
di semplici storie:
quiete storie nel cuore custodite
con mistico amore,
come l'unico vincolo al passato:
testimoni d'una vita che fu.
Gli anni pesano e più la solitudine;
s'appoggia stanco il vecchio al suo bastone
fatto di ricordi.
IL CIMITERO DI CARLO
E' un fazzoletto di terra
tra campi ancora lavorati
e coste lucenti di ginestre
aperte alle creste dei monti
il cimitero di Carlo.
Ha un cancello antico
che s'apre senza chiavi
e non conosce orari.
Non ha alberi cupi
ma un tenero roseto,
una pianta di mimosa
e l'erba verde d'un prato.
Ha sempre un fiore
su ogni tomba
e come custode un pettirosso
il cimitero di Carlo.
Qui i morti si conoscono tutti
e non sono dissepolti
dopo dieci anni:
la loro dimora è eterna
come la pace
delle mie cime apuane.
IL DONO DEL SANGUE
Benedetto è l'olio,
che nuovo splendore dona
alla fiamma vacillante
della lucerna;
e tale è la pioggia,
fresca e generosa,
che rinvigorisce la linfa
nello stelo implorante
sull'arida terra;
eppure, come pallide stelle,
annullate dal giorno,
svaniscono al cospetto del sangue;
di quello che, soffio, di vita,
ridona forza al palpito
e al volto emaciato
il sorriso della speranza.
Fu, ed è, il dono del sangue,
almo sigillo d'amore;
luce vivida e possente
che squarcia le nubi
e fende la nebbia;
è un segno che unisce
oltre ogni frontiera.
IL DONO DI PADRE DIONISIO
Ho ritrovato nella mente
la tua immagine lontana:
fresca
delicata
come il cuore d'un bambino.
Commosso
oggi ti rivedo come allora
davanti al cancello
in quel freddo giorno
di novembre:
gli occhi vivi
la lunga barba bianca;
chino
avvolto
nel tuo mantello
di povero frate pellegrino
tenevi tra le mani
la cassetta delle offerte.
I tuoi bimbi erano innanzi
ad ogni tuo pensiero;
ma per ogni bimbo
avevi
un sorriso
una carezza
un dono.
E dono
per tutti
è stata la tua vita.
IL DONO
Non ti posso donare
il cuore, fratello,
perché troppo
è malato
e dolente di ferite.
Ma gli occhi sì!
Sono intatti
lucenti
dilavati:
il pianto li ha purificati.
A te li offro
come il più prezioso dono
che rompe le tenebre
e di luce
la vita inonda
e di speranza.
Gioisci, fratello,
nel sole
e nell'azzurro;
e io sarò con te
felice.
Non temere!
Dove io vado
non sarò cieco:
nel tuo nome
nuove pupille avrò.
IL FIORE DELL'ADDIO
Ogni compagno
ha portato un fiore
sul tornio fermo
divenuto altare.
Un fischio grave
sui volti scava
la tristezza:
così diversa, umana,
rauca di pianto
la sirena chiama
al ricordo.
Ogni voce tace
e ogni rumore:
tutto giace
nel freddo silenzio.
Solo il battito
del cuore odo
e la preghiera
nata dal dolore.
Ancòra...
un altro uomo
è caduto sul lavoro.
IL GABBIANO DI PORTOVENERE
Il tuo grido
nella risacca adagi,
candido gabbiano,
e nell'aria incerta
ali spiegate innalzi
al sorriso della luce.
Scolpito sulla pietra,
nelle solitudini
di chiare scogliere
al vento confidi
una tenera storia d'amore.
IL GIALLO DEI LIMONI
Ora che hai disbrogliato
il filo della verità
e l’antico male si è dissolto
nell’infinito azzurro senza venti,
torni come allora
alle tue assolate vacanze
dell’infanzia.
Qui il mare
il sole
i fiori
le pietre
hanno innalzato il tuo santuario.
Esala l’anima l’antico profumo
e nel silenzio
si fa immortale la tua voce.
Ma basta un cenno giallo di limoni
per ricondurmi a te.
IL GIORNO DEL DOLORE
Sono passati gli anni;
il tempo ha sepolto
nell'oblio tante glorie
e tante sofferenze nella pace;
ma non quel giorno, oh madre!
Di tanto in tanto,
si fa strada con forza:
torna a doler come una ferita
che non vuol rimarginare.
Rivedo il tuo sguardo immobile:
vuoto d'ogni pensiero.
Venne la Morte; entrò senza bussare,
d'un tratto, fredda e fuggitiva;
neppure un attimo volle concedere,
per una parola, un segno d'addio!
Così, più greve fu l'angoscia
e il vuoto più vuoto.
Ero bimbo allora;
venne il dolore,
e di colpo fui uomo.
IL GIRASOLE
Alla tua luce
mi volgo
come il girasole:
seguo nel cielo
il tuo cammino
e da Te
sugge linfa di vita
la corolla del mio cuore.
Ero nell'ombra ancora
e già sentivo
il tuo palpito d'amore.
Sei
la forza del germoglio,
l'aria che respiro...
profumo d'infinito;
sei
incendio di cieli a sera
nella speranza d'azzurro
che s'apre
all'indomani;
sei
l'alfa e l'omega,
Signore del tempo
e della vita.
Quando mi chiamerà
la terra
non chiederò
la pietà d'alberi intristiti
e d'afflitti fiori,
ma soltanto il girasole
che mi porti
alla tua luce:
IL LIBRO COSTRUITO
Lettera per lettera,
sillaba per
sillaba,
parola per parola,
pagina per pagina:
è bello costruirsi un libro
con le proprie mani,
come farsi una casa
mattone su mattone.
Il libro costruito
un po’ ti fa scoprire
la gioia della maternità.
Sì, il tuo libro è vivo
e, anche se non ha il sigillo
di un casato signorile,
non si sente affatto orfano
o figlio di nessuno.
Anzi, come e più d’un figlio vero,
ti rifonderà d’amore
e mai ti scorderà.
A te si abbraccerà,
come un bambino
al collo della mamma,
perché sei tu l’autore
che gli hai dato in dono
un volto e l’anima.
IL MURO DEL CUORE
Sono caduti i muri di pietra
ma resta il muro del cuore:
ogni giorno s’accresce
di vetri taglienti e filo spinato.
Subdola la sua voce
come il serpente del deserto
s’insinua, tenta, insidia:
“Io sono il muro della pietà
innalzato per nasconderti
miserie e lamenti
che tu non puoi lenire;
per difendere la tua pace.
Perché vuoi angustiarti invano!
Da sempre così va il mondo.
Né tu lo potrai cambiare:
non puoi moltiplicare i pani
placare le tempeste
resuscitare i morti”.
Dio della potenza e della gloria!
Squarcia il grigio muro del cuore
come il velo del tempio!
Ribalta il macigno del sepolcro!
perché sulle tenebre del vuoto
trionfi il Tuo regno di luce.
IL NASTRO RITROVATO
Ho ritrovato un vecchio nastro
questa sera:
un nastro audio
perduto
nella remota piega dei ricordi:
gioiosa immagine sonora
di voci
di musiche
e di canti;
moneta antica
riemersa
nel solco abbrunito della terra;
strappata pagina di diario
naufragata nell’angolo più buio.
L’ho ritrovato ora
che disfo la valigia
e sfuggirmi ogni cosa sento
nelle ombre mute della sera.
E pure non s’arrende il cuore.
non vuole ammainare la sua vela;
vuole vivere…lottare ancora
contro il vento;
scrostare la terra dal metallo;
stirare con le mani
il foglio accartocciato;
spirare sulla polvere
il fresco anelito di vita.
No, non voglio ascoltare
il canto malinconico dei grilli
questa sera;
né guardare
il tremulo chiarore delle stelle;
non voglio inseguire
voli notturni di farfalle insonni.
Voglio spalancare
l’uscio e le finestre!
ed alzare al massimo
il volume dello stereo!
Di luce voglio empire
e di voci
e di musiche
e di canti
la desolata via del mio paese.
Senza fretta aspetterò sull’uscio.
Ad uno ad uno
gli amici torneranno.
Sì, tutti torneranno!
Faremo festa ancora:
una grande festa insieme
e come allora
innalzeremo
il tintinnante brindisi alla vita.
IL PANE DEL PERDONO
Uomo,
apri il tuo cuore alla pace.
Lo so,
non è facile abbattere
confini di secoli,
rancori di millenni;
colmare abissi di sospetti.
Non è facile
porgere l'altra guancia
a chi t'ha percosso,
innalzare l'olivo
e fraterni canti
sulla terra ancora bagnata
di lacrime e di sangue.
Ma tu, uomo,
apri alla luce la tua mente
e il tuo cuore a pensieri di pace.
Raccogli il pane del perdono
e dividilo
perché ognuno ne abbia.
Non chiederti perché
devi essere tu primo a donarlo;
né come sarà possibile
con un solo pane
sfamare tanta gente.
IL PAPPAGALLO SMARRITO
Un foglio di quaderno,
una scritta a pennarello,
un malinconico messaggio:
“E’ stato smarrito
un pappagallo:
grigio…con la coda rossa…”
Chissà dov’è finito,
forse sognando
l’incanto d’una terra
mai dimenticata,
il fremito d’un volo
libero nel cielo.
Inverso profugo,
ignaro del viaggio,
dell’insidia e del dolore,
solo nell’immensità
con le sue ali
di speranza.
IL PASTORE
Al tuo apparire
rivivono memorie
di secoli e millenni,
leggende e storie
di civiltà lontane.
Rinnovi il sapore
l'armonia
d'una vita legata
alla natura,
il desiderio
di fare un tuffo
in un mondo aperto
fresco di colori
e di silenzi.
Sul vecchio astuccio
dei pastelli
Giotto giovinetto
ricompare
mentre dipinge
l'agnello su una pietra.
Nel mio cuore
io affresco il pastore
e il magico tempo
dell'infanzia.
IL POTERE
Non t'illudere!
Passato il cancello
sarai dimenticato.
Non saranno valsi
piedistalli di marmo
né inchini servili
a farti sopravvivere.
Più in alto fosti
più solo sarai.
IL SANGUE DI ABELE
Ditemi voi, Martiri di Vinca,
l’allucinato sguardo che non crede,
il grido atroce di chi cade,
il calore del sangue nelle mani,
il rantolo straziante dei morenti.
Ditemi, dell’odio acceso
negli occhi delle belve,
degli artigli feroci
vili
sull’inerme agnello.
Ditemi,
se il tempo debba velare la memoria,
se esiste una pietà
che possa coprire tanta infamia
nel più difficile perdono.
Ditemi,
ditemi ancora le speranze
di quel lontano venticinque aprile.
Ditemi, o Martiri,
se hanno preso forma i vostri sogni,
se libertà e giustizia
sono fiorite come nelle attese.
Ma i Martiri non parlano.
Parlano i loro nomi
scolpiti sulla pietra del Sacrario,
grido e monito perenne
perché la terra,
il cielo e l’universo
mai più conoscano
l’infamia della bestia.
Mai più, mai più in eterno.
IL TEMPIO DELLA VITA
Il mio cuore di ragazzo avrebbe voluto
innalzarti un tempio, o Madre,
solenne di marmi e di parole scolpite
per gridare al vento,
al cielo, all'universo,
tutto il mio amore.
Ma ai poveri tocca soltanto
un metro di terra e una croce di legno.
Per loro anche la morte
è provvisoria come la vita.
Non hanno requie i poveri
neppure nell'ultima dimora.
Allora per te, o Madre,
ho innalzato nel mio cuore
il tempio eterno del ricordo,
più bello, più grande,
più sacro d'un santuario.
Qui perenne brilla
la fiamma del mio amore;
l'intreccio candido di rose
contorna di luce e di profumo
la grazia del tuo volto.
Qui non regna il velo gelido dei marmi
né il silenzio desolato della morte;
non trovano dimora crisantemi recisi,
opachi vasi e fiori di plastica,
parole annerite dallo smog.
Qui ancora pulsa l'anello della vita;
mi parla la tua voce,
m'allieta il tuo sorriso.
Ecco la tua casa, o Madre, la mia casa:
il nostro tempio della vita.
IL VENTO DELL'ADDIO
Scesa è la sera
e la notte imminente
s'annuncia chiara
sui tuoi campi:
la luna piena brilla
e tremano le stelle,
cantano i grilli...
Ma un vento ignoto
agita gli olivi.
Sull'erba,
al pallido chiarore,
disperse
ritrovo le tue cose:
l'erpice e l'aratro,
la falce e il vecchio carro,
povere cose
consumate dal lavoro,
ancora segnate
di terra
d'erbe
e di sudore.
...E sibila sempre
senza posa il vento
e senza meta;
e dalla vecchia torre
lente rintoccano le ore.
Ma questa notte non ho sonno.
Non voglio dormire!
Voglio restare ancora
a farti compagnia.
Domani
sarai portato via
nell'ultima dimora.
Come sarà triste
la tua terra sola
e vuoto il cuore!
Canta agli olivi,
oh vento, la tua pena questa notte!
la mia pena!
Dal volto chiuso tra le mani
rapisci
il mio dolore
e portalo lontano.
Non vedo più le stelle...
più non sento i grilli...
Sono rimasto solo...
solo, col sapore amaro
di queste lacrime d'addio.
IL
VOLO DEL RITORNO
( A Helmut Rottner)
Allora
che
fiorita
sarà
di
sole la mimosa
e la vigna
piangerà
di gioia
al
nuovo cielo,
ed elicriso e timo
dalle
rupi innanzi al mare
odore
di terra
e
di pietra
spargeranno
ai
miti venti,
io triste sarò
nel
cuore.
Non alzerò
lo
sguardo
per
cercare
il
tuo ritorno,
ma andrò
nei
borghi quieti
incontro
alla tua gente.
Ai bimbi
e
ai vecchi
chiederò
di te.
E già, come leggenda,
sorgerà
il tuo ricordo
di
rondine buona
venuta
dal nord.
In fresche visioni
di
paesi
di
fanciulli
e
d'uomini e di barche,
di
mare splendido
e
d'aspre terre,
ancora
ti sentirò
vicino.
Allora
salirò
l'erto
sentiero
che
porta
tra
i cipressi,
odorosi
di sale,
alla
tua casa
aperta
al mare
e
al cielo:
al tuo nido bianco
ove,
posate l'ale,
tu
attendi paziente
il
volo del ritorno.
IMMAGINI DISSOLTE
Di tanto in tanto,
senza ragioni torno
e furtivo cerco
le immagini dissolte.
Nell'ombra della sera
spio la via deserta
nella ricerca vana;
soltanto i muri rugosi
delle vecchie case in fila
serbano qualche segno:
una scritta incerta,
un nome listato in nero:
"lo conosco, lo
conoscevo..."
Indugia l'anima mia
e l'ignoto fremito
lo sguardo piega
alla finestra antica;
ma impenetrabile
è diventato il vetro.
Ed io penso. "Chissà...
forse un giorno busserò".
Torno di tanto in tanto,
ma la vecchia Chiappa,
la mia Chiappa
non esiste più.
IN MORTE DI UN FRATELLO NON CREDENTE
Tu solo, oh Signore,
leggi i pensieri
e conosci
i segreti del cuore.
Tu solo
sai chi ti cerca
o ti nega,
chi t'accoglie
o respinge.
Tu solo
vedi oltre il muro
delle parole.
Ricordi?
Dicesti
che dal frutto
la pianta si riconosce:
se il frutto è buono
l'albero è buono.
Sia così per quest''uomo:
i suoi occhi forse
non t'hanno veduto,
ma il suo cuore,
senza saperlo,
s'è fatto
guidare
da Te.
IN MORTE DI UNA RACCOGLITRICE
La tua raccolta è finita.
Sei caduta sul campo
sotto la spietata croce
d'un sole implacabile.
Non hai trovato
la pietà del buon Samaritano
né l'aiuto del Cireneo.
L'età del Cristo avevi
e in cuore
l'angoscia del Calvario;
forse più,
al pensiero dei bimbi che lasci.
La tua morte
-olocausto dell'altra Italia-
non interessa ai media,
soltanto due righe:
notizia stentata, stonata,
da rimuovere in fretta
per non turbare
questo tempo frizzante
di spiagge festanti
e di luci psichedeliche:
questa passerella di vacanze
per reginette in concorso.
INQUIETUDINE
Nella notte tranquilla, quando il
cielo,
tremolante di stelle e senza cirri,
avvolge la campagna col suo velo
di silenzi profondi e di sospiri,
quando ultimi si spengono i pensieri
e la vita nel sonno s’abbandona,
quando i sogni discendono i sentieri
irreali dell’inconscio a far corona
con le gioie e coi timori addormentati,
quando del giorno nulla più rimane
e pur gli affanni sembrano placati,
almeno fino al prossimo dimane,
un fascino sublime aleggia intorno,
ma un inquieto pensare prepotente,
sconosciuto nell’animo del giorno,
mi turba il cuor e m’agita la mente.
Io vo’ cercando verso il cosmo ignoto,
tra le pallide stelle silenziose
sparse nell’infinito spazio vôto,
tra i mondi e le galassie nebulose,
una risposta a quest’uman cammino:
al bene, al male, all’uomo, alla sua
sorte.
Quant’è caduco e oscuro il mio destino:
dietro la vita è l’ombra della morte.
Ma tu, oh infinito, tu che sei immortale
e non conosci le miserie umane,
tu che sei puro ed incorrotto al male,
quest’ansie mie ti sembreranno vane.
Oh infinito, parola senza senso,
nascosto nel buio ignoto del mistero,
io ti cerco, ma più m’affanno e penso,
più s’oscura e si perde il mio
pensiero.
Una cosa capisco: quant’è grande
e immenso di potenza e perfezione
Colui che fece tanto e che s’espande
sopra i mondi, la vita e la ragione.
INTRECCIO
Ragazzo,
davanti agli occhi spenti
di tuo padre,
al suo volto
immobile per sempre,
ora t'investe
tutto lo sgomento
di chi si perde nel buio
d'una notte senza stelle.
Soltanto ora
rimpiangi la dolcezza
del passato:
mattini di festa
e suoni di campane,
prati verdi
e voli d'aquiloni.
Soltanto ora
scopri la grandezza
del suo amore
intessuto di rinunce
e di silenzi;
ora soltanto
ritrovi la sua voce
nell'eco eterna
del tempo senza attese.
Attonito
cerchi nel suo volto
ancora un attimo di vita
e parole d'amore mai dette
senti pesare nel tuo cuore;
vorresti gridarle a tutto il mondo;
ora che tuo padre
è lì immobile nella sua urna
di silenzio,
come un santo
che stringe tra le dita
i grani d'un rosario...
L'hanno vestito
con l'abito di festa...
ma tu ancora lo rivedi
con la sua tuta azzurra
macchiata di grasso
e di sudore.
Nell'angolo più buio
si scioglie adesso la tua pena;
cala fredda come nebbia
sui tuoi capelli lunghi,
sul tuo volto di ragazzo ormai adulto:
il dolore fa crescere in fretta;
apre un vuoto profondo nel cuore;
desta un bisogno assoluto d'amore.
Dolore e amore
amore e dolore:
immutabile intreccio della vita.
JOANNES
Io lo ricordo
come il tempo della giovinezza.
La terra ebbe un
sussulto,
la Chiesa un nuovo fremito di vita.
Lo Spirito di Dio
s’è fatto voce,
fraterno abbraccio;
con la sapienza del
cuore
ha cercato ciò che
unisce nell’amore,
distinto l’errante
dall’errore,
scrollato la polvere imperiale
dal trono di
Pietro.
La casa ha spalancato la sua porta
e l’uomo della
vigna
è andato incontro agli invitati.
Ancora ci conforta
la sua testimonianza:
dà vita alla
speranza
e ottimismo al cuore.
Venne Giovanni:
padre, fratello, maestro,
testimone del
Signore
in vita e nell’ora della morte.
JOBHEL
Il suono di jobhel
ancora annuncia
l'avvento del tuo tempo,
Signore.
Riposi la terra
e i suoi frutti doni
ad ogni uomo,
adesso che Tu proclami al mondo
ancora la tua liberazione
nell'anno del riscatto.
Torna tra noi, Signore!
Chinati sulle nostre miserie
con la pietà
del buon Samaritano:
lava
cura
risana le ferite,
da' luce ai nostri occhi
e speranza al cuore
nell'indulgenza del perdono.
Signore, indica la via
a questo disorientato
pellegrino del Duemila
che s'arresta al bivio
e ancora non sa decidersi:
guida il suo passo
sulla via di Emmaus
e accompagna il suo cammino,
perché egli non ceda alla fatica
e allo sconforto del dubbio
se nella sua ricerca
non vede ancora
la gloria del tuo Cielo.
Guidalo, Signore,
perché non si perda nel deserto
e quando si fa sera
giunga alla tua tenda:
a Te che proteggi il pellegrino
e sai placare la sua arsura.
Davvero stimolante la lettura di questa Silloge di Paolo Bassani, introdotta dal nostro immenso Maestro Nazario e, per volontà dello stesso Autore, dal prefatore Giuseppe Sciarrone, che in modo eccellente definisce le liriche 'gocce di luce che scendono lentamente nel cuore del lettore' e precisa quanto il Poeta ami evitare i tecnicismi, i virtualismi lessicali. In effetti in questa pagina ci si trova di fronte a una calda, musicale rappresentazione di storie di vita quotidiana inserite in un paesaggio che è protagonista assoluto di quest'esistenza e con il quale l'uomo realizza - e dovrei dire ripristina - l'empatia che gli consente di aderire al miracolo del creato. Versi raffinati, densi di pathos, volti, quando è possibile, alla sottrazione, non alla sovrabbondanza, che insegnano la grande difficoltà insita nell'essere fruibile. Eh già, perchè un'autorevole schiera di artisti e di critici tende a negare il valore della semplicità, che è cosa ben lontana dal semplicismo. La poesia, e la grande Letteratura lo mette in evidenza, deve poter arrivare a tutti. Non occorre interpretarla, ma leggerla e avvertire la sua luce che inonda le stanze del cuore. Bassano possiede il dono di essere padrone dell'arte poetica, di comporre rispettando i canoni di essa, di essere ispirato e di veicolare messaggi superbi... basta leggere l'ultima lirica che lancia l'intero suo dittato artistico in verticalità. Un Poeta che racconta la campagna, le persone che incontra o che ama e che eccelle in spiritualità, dimostrando quanto colui che crede nel senso più intimo e profondo del termine, può dare al lirismo i connotati della Rivelazione. La suggestione ricavata dalla lettura di Paolo Bassani è stata così intensa, che avrei voluto conoscerlo di persona per dirgli la mia ammirazione. Oggi è difficile incontrarsi, ma su Leucade avvengono conoscenze simili a miracoli. Il merito è del nostro Condottiero che ringrazio con infinito affetto, così come ringrazio il prefatore e il Poeta, ai quali rivolgo un affettuoso saluto.
RispondiElimina