M. Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Ti faccio omaggio di questa mia lettura ultima- La malattia dell’olmo- nella quale rivivo anche autobiograficamente e la mia piccola inutile storia.
Ah, Sereni! che maestro!
“Ma io direi che il tempo stesso che passa tra la prima impressione e l’elaborazione mi fa da filtro. In me si frappongono sempre lunghi intervalli tra la prima emozione e la stesura. Esiste quindi per me questo problema: rifarmi alla prima emozione, e restituirla, e più ancora elaborarla, spremerne il senso e la riserva di altre energie, che essa includeva ma che all’inizio non erano state nemmeno supposte.”(V. Sereni)
È il grande Sereni di Stella Variabile: si presenta quasi con un racconto, di grande maestria: apparentemente lineare, in realtà doppio, complesso, a rimando nella sua forma e struttura.
“Se ti importa che ancora sia estate/ eccoti in riva al fiume”…: un luogo - una stagione: probabilmente il Magra,(quello del Posto di vacanza) la fine dell’estate, un interlocutore incerto, (uno dei suoi molti amici con cui condivideva le vacanze?), ma che potrebbe essere anche il proprio doppio osservante e meditante, e un protagonista apparentemente vitale: un olmo dalle foglie roseogialle, belle da sembrare fiori, che si squamano... In realtà, nonostante la bellezza dei colori, l’olmo sta morendo.
Ma “più importa” che la gente distratta trascorra con allegria le sue ultime vacanze ... Il tu, monologante nella che luce cambia, e i colori spenti nel buio conducono a un invito-invocazione: “Guidami tu, stella variabile, finchè puoi..”
Fa incursione un insetto molesto e
ronzante, una zanzara, punge e brucia, come uno spino: il poeta chiede aiuto
(alla vita?): “Vienmi vicino, parlami, tenerezza”, alla memoria, ché lo
soccorra… Ma “la memoria/non si sfama mai.” E anche se viene tolto l’aculeo,
nella ferita il fuoco permane. Rimane il ricordo del ricordo. Il paesaggio,
come il fondale di un sogno, assiste alla metamorfosi dell’immagine ambigua.
La malattia dell’olmo
Se ti importa che ancora sia estate
eccoti in riva al fiume l’albero squamarsi
delle foglie più deboli: roseogialli
petali di fiori sconosciuti
– e a futura memoria i sempreverdi
immobili.
Ma più importa che la gente cammini in
allegria
che corra al fiume la città e un gabbiano
avventuratosi sin qua si sfogli
in un lampo di candore.
Guidami tu, stella variabile, finché puoi…
– e il giorno fonde le rive in miele e oro
le rifonde in un buio oleoso
fino al pullulare delle luci.
Scocca
da quel formicolio
un atomo ronzante, a colpo
sicuro mi centra
dove più punge e brucia.
Vienmi vicino, parlami, tenerezza,
– dico voltandomi a una
vita fino a ieri a me prossima
oggi così lontana – scaccia
da me questo spino molesto,
la memoria:
non si sfama mai.
E’ fatto – mormora in risposta
nell’ultimo chiaro
quell’ombra – adesso dormi, riposa.
Mi
hai
tolto l’aculeo, non
il suo fuoco – sospiro abbandonandomi a
lei
in sogno con lei precipitando già.
Vittorio Sereni (da
“Stella variabile”, 1981)
Una poesia che mi cattura nel profondo. Ti
abbraccio affettuosamente.
Maria Grazia
Quanto trasporto e quale talentuoso affetto in questa disamina sull'Opera di Vittorio Sereni, che saluti come fraterno amico, commuovendomi, mia cara,anzi carissima amica! Citi la sua opera "Stella Variabile", asserendo che 'si presenta quasi con un racconto, di grande maestria: apparentemente lineare, in realtà doppio, complesso'e lo dipingi nella sua realtà con pochi efficacissimi tratti. La genesi di molte liriche di questa splendida opera dimostra quanto i suoi testi siano il frutto di un lavoro di bricolage: alcuni elementi vengono trasferiti da una parte all'altra con apparenti tradimenti concettuali ed espressivi. Suppongo tu abbia avuto la gioia di conoscere questo artista poliedrico e indimenticabile e una donna della tua sensibilità e della tua statura culturale può aver condiviso nel profondo le sue esperienze. Di fatto posti una lirica struggente, che solo per caso ho già letto e
RispondiEliminache rappresenta Sereni che passeggia lungo il fiume mentre gli olmi colpiti dalla grafiosi già perdono le foglie: una scena che sprofonda nel sogno, è un’onirica visione dai toni danteschi tra stelle e ombre parlanti assunte come guide. Si può intuire l'allegoria tra l'albero assalito dal fungo e l'uomo dalle volute della memoria. Una pagina che incanta. Ti aspettavo, Maria Grazia, grazie di essere sull'Isola, il tuo apporto è indispensabile. Ti voglio bene.
Le tue parole cara Maria mi commuovono. Hai ragione: io amo nel profondo questo straordinario poeta al quale ho dedicato molte delle mie riflessioni e delle mie pagine. Lo sento vicino e non solo per motivi geografici, il tema dell'acqua, del lago, del paesaggio, del fiume...che indicano "la lacuna del cuore" sereniano e che pure sono importanti, ma soprattutto per il tono antiretorico, amaro, il lessico volutamente semplice eppure denso, il ripensamento che rasenta l’ossessione nella ripetizione, unita allo stupore: la fragilità dell’esperienza estetica, lo strazio del positivo e il negativo e viceversa coesistenti, il canto e il controcanto, l’accendersi e lo scolorare... Una autoterapia liberatoria? chissà. Grazie di averlo compreso.
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