mercoledì 1 febbraio 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "AGLI ULTIMI (DEL 1899)

La poesia di Marco Dei Ferrari è storia umana, familiare, fraterna, di tutti noi incastrati in un mondo “di corpi smorti mozzi”; in un mondo la cui sorte ci è ignota; in un mondo dove non vale la pena arrampicarsi su “frangia anonima da un “diario” bianco”. Sì, la storia di un poeta che con la magia graffiante del verbo, con insolite univerbazioni, con creature loquaci al primo raggio di sole, con bocche silvane di terra e di sangue, fa del suo esistere un serbatoio di parole da sguinzagliare in singhiozzi di inquiete memorie; disumana, micidialmente vera, da creare sconquassi emotivi, questa storia. Il poeta sta in alto, guarda passare fatti e avvenimenti come scene di un film, anche trucido, inspiegabilmente esiziale, in pellicole di fuoco. Ti graffiano certe inclusioni, certi passaggi, che tu prevedi ma che tradotti da tanto sentire in “rintocchi all’ultima Campana”, ti fanno altalenare fra inferno e paradiso; fra campi brumosi di dolore, e colline imbrattate di fango. Amare è la condizione più semplice e naturale dell’uomo: è piacere, sesso, amicizia, scoperta, vortice di amanti in vertigini di mistero. Perché, dunque, l’uomo sostituisce l’amore con l’odio?: guerra, morte, dolore, inganno, assenza, sottrazione, fine. Marco guarda, osserva, descrive, racconta, e lo fa con parole accidentate, tanta è la loro voglia di uscire. Ma non condanna, a voi leggere e decidere. Lui vi spiattella davanti morti, ossari, campi di battaglia, sfronti, grotte di morte, scavi di sangue. Sì, perché lui vede e annota quel che vede. Il fatto sta che il suo occhio trova appiglio in una  combinazione irruente di solidi neologismi; fra storia, letteratura, e originalità vola libero, come aquila andina; cavalca a pelo il suo indomito lessico, sobbalza fra ciottoli e dislivelli; ma doma, con guide sicure, il selvaggio destriero, imbizzarrito su terreni sconnessi; su pianure distese dove l’uomo ricorda; dove l’uomo ha scritto:
…  impavidi del ’99 ultimi senza colpa?
giardini sfioriti parcheggiano morti
inniche folle ecumenici appelli
scuotono statue monumenti ossari
vorticano altari d’alloro caduchi 
ornati tra lampade e bronzi
 Caduti sul Piave.

Nazario Pardini



AGLI ULTIMI (del 1899)

Scabrosità sinistra
vuoti divelti
di corpi smorti mozzi
scavano in roccia da scalee
ribelli altopiani
resti di creste redente
irridenti lapidi appiglie
scolpite da cento sussurri
rintocchi all’ultima Campana
anfratti fratti nel sangue
cunicoli amici di scoppio
segnalano l’ultimo sbaraglio
arrocchi in difesa
sentieri minati mirati
gloria mortis dalla mitraglia…
ultima lettura trincerata
frangia anonima da un “diario” bianco
ultimi figli tra montagna e pianura
snodarsi gerarchico d’infamie
dall’Isonzo all’ultimo reticolo Caporetto…
solco cieco tra rovine civili
bruciati e promossi eroi di medaglie
poveri d’Italia a Molino della Sega…
Dove Marinetti veloce futuro?
Dove igienica battaglia?
metafora massacrante temeraria
Verdun? Marna? Ypres? La Somme?
Immolata bellezza ai sommersi Jutland?
maciullano gas congelati… insonnie compulse all’assalto
dall’Adamello all’Altopiano
Marmolada… Monte Nero… Podgora… San Michele...
Dove Papini? Sul Grappa? Sull’Ortigara?
inguaribile d’immarcescibile
guerriero scrivano e parolaio
che scodelli gli ultimi del ’99…
trincee di topi e piscio
fango tanfo ammorbo
cadaveri scudieri elmetti
vivi ancora in forse… gavette morte presunte …
Dove Prezzolini di linee prime giudice iroso
dal tuo ufficio blindato dal fronte?
Dove D’Annunzio con alani a scorta?
sommità di vate vacuo
delirante narciso a Quarto
retore solitario tronfio di trionfi
bugìe patrie sproloqui
udite udite… il cantore volante su Vienna…
tumuli macelli senza carnefici
filari spinati di schiavi ignorati
per dove? Mauthausen, Darmsdat, Theresienstadt…
Auschwitz poi? Europa 28 gabbio gabbo per popoli nudi?
schermo d’inganni, sprone per onori di carta
reclute merde
avanti reclusi! dieci metri contorti brandelli…
indietro storpi budelli decimati e delusi…!
avanti... indietro... un metro…
scempio orfico senza memoria
dileggiano Battisti precipitando Baracca… forcano Filzi…
profitti meschini serpeggiano l’anima
guerra trifronte… arditi in fronte... retrovie da fronte…
stampella di Toti a far fronte…
rassegnàti poeta alle catene
 nunc et semper
un milione sepolti, folli irredenti profughi redenti
travolti stravolti... distorti... macchie glabre senza storia...
sacelli di lacrime a Redipuglia ignote
Dove impavidi del ’99 ultimi senza colpa?
giardini sfioriti parcheggiano morti
inniche folle ecumenici appelli
scuotono statue monumenti ossari
vorticano altari d’alloro caduchi 
ornati tra lampade e bronzi
 Caduti sul Piave.

Marco dei Ferrari


12 commenti:

  1. Quando è la poesia che osa e mette in discussione anzi, punta il dito su chi ha inneggiato alla guerra, all'impero, sulla pelle degli altri...quando è la poesia che inorridisce di fronte alla brutalità, mai morta, ancora perpetrata da "figuri" privi di etica e con mezzi a dir poco primordiali...allora stiamo davvero dentro il regno dell'anticristo e l'unica salvezza è nella bellezza e nella compassione che Marco risveglia nell'animo.
    Grazie Marco

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  2. ...e il Poeta "vola libero come aquila andina, cavalca a pelo il suo indomito lessico...." osserva icasticamente N. Pardini nel suo eccellente commento; e il lettore sente, non solo con l'orecchio, il rumore tragico della marcia, il passo cadenzato del soldato degli "Ultimi del 99"; e noi tutti con il Poeta Marco dei Ferrari, ricordiamo nei giorni della memoria anche questi Eroi senza nome e senza medaglia, per ultimi chiamati al sacrificio ,in quella che fu detta La Grande Guerra.
    Uno scritto che fa onore ancora una volta al Poeta e alla Poesia.
    Edda Conte.

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  3. Ma come una guerra può essere grande?
    Soltanto e solo per il numero di morti che lascia dietro di sé!
    Marco dei Ferrari, con linguaggio secco e duro,come le rocce del Carso,fa ripercorrere con suoni aspri e lugubri gli orrori di quei giorni tragici.
    Giorni che hanno spezzato giovani vite da entrambi i lati del fronte, mamme che hanno pianto dall'una e dall'altra parte un dramma incommensurabile.
    Marco ci pone di fronte tutti gli inganni e le disillusioni di una cultura di guerra,di un'arte protesa a distruggere,invece che a costruire una trama di pace e solidarietà trai popoli.
    Termini forti ,mescolati agli odori di urina e sangue,soldati giovane carne da macello, trattati dai potenti come "merde",da calpestare in nome di ideali sbagliati che antepongono la crudeltà all'umanità.
    Falsa e bugiarda cultura della guerra, crudelmente realistici e vivi i versi del Poeta che si tatuano nell'anima per non dimenticare mai.
    Sandra Lucarelli
    Pisa, 3 Febbraio 2017

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  4. una lirica che evoca con immediatezza e sgomento, anche attraverso l'uso efficacie di neologismi e strutture onomatopeiche, il fragore e la disperazione della guerra. Lontano dalla retorica gloriosa e patriottica, il poeta si pone dalla parte di coloro che hanno vissuto questa esperienza terribile, testimoniando attraverso il loro sacrificio il significato assurdo di un dramma epocale che il tempo non ha ancora sopito.

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  5. Difronte a certe tragedie “restiamo senza parole”, tanto è difficile rappresentare la realtà. Marco dei Ferrai, che pure sa bene indossare i panni dello storico rigoroso, in questa lirica ha scelto di dare un’immagine emozionale della realtà e lo ha fatto spremendo dalle parole ogni significato che sapesse di fetore di trincea e di macello. Nell’uso non convenzionale del linguaggio è indubbiamente maestro. Paolo Stefanini.

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  6. Diciamocelo, Marco dei Ferrari è uno scrittore "difficile". Ma al contrario di quel che si può pensare, la parola difficile va letta in un contesto di posività. E' uno scrittore che "vola alto", è uno scrittore elitario, uno scrittore "non per tutti". Ma quando hai la "fortuna" di entrare in sintonia con i suoi scritti ti accorgi della grandezza della sua prosa. Marco dei Ferrari è un grande scrittore.

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  7. Introdotto da un superbo Nazario, Maro dei Ferrari rende poesia la vicenda della Grande Guerra, le vicende di coloro che siamo soliti definire 'i ragazzi del '99'.Pregnante il verso che cita il nostro Nazario: "impavidi del ’99 ultimi senza colpa?"
    il componimento si popola di di storia viva: le madri, i carnefici, le vittime, le città martoriate, e sembra affermare la volontà di un canto commosso, esplosivo, aderente al tragico momento storico e a tutti i momenti connotati dalla guerra.Il Poeta attua una svolta , sia in direzione della realtà collettiva, sociale - 'ultimi figli tra montagna e pianura'- , sia in direzione di un linguaggio eloquente e accessibile.
    Si tratta di un'Opera tirtaica, aggressiva, sanguigna, plebea, che vuole indicarci il sentiero del lirismo 'senza purezza', che attinge dal laboratorio realista senza perdere nulla del suo mordente.
    Leggendo Marco dei Ferrari, forse erroneamente, ho pensato a Whitman, al suo respiro onnicomprensivo e vaticinante.
    Un Autore, il nostro, che lega a filo doppio il passato al presente e che adotta un atteggiamento nichilistico alleandosi con l'estetica del dramma e con un gusto delle immagini flagrantemente aggressive.
    Una lirica nuova, originale, didattica, che va letta più e più volte per trarre dal male di ieri riflessioni didattiche. Siamo, forse, in ritardo... ma esiste un ritardo?
    Ringrazio l'Autore dal profondo del cuore.
    Maria Rizzi

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    1. Carissima ti ringrazio per la incisiva interpretazione che mi allarga a nuovi orizzonti e angolazioni.
      Marco dei Ferrari

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  8. Mi scuso per le ripetizioni e per qualche refuso. Sono istintiva. E non è un pregio.
    Maria Rizzi

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  9. La classe del 1899 è l’ultima leva di italiani chiamati a resistere sul fiume Piave, l’ultima ad essere chiamata in una guerra che si rivela ben presto una vera e propria carneficina, manifestandosi in tutta la sua brutalità.
    La morte non è l’unico orrore della trincea. La vita condotta in uno spazio angusto con ogni sorta di privazioni, nella sporcizia e nella promiscuità, al servizio di ordini vessatori e talvolta persino insensati, ma indiscutibili, provoca sofferenza, avvilimento, dolore.
    È alle giovani reclute del ’99, che Marco dei Ferrari dedica questa poesia in cui all’espressione dello sgomento si unisce l’invettiva, in particolare contro gli intellettuali dell’epoca che avevano inneggiato alla guerra patriottica o celebrato il mito della guerra democratica e rivoluzionaria.
    Con la consueta maestria che si connota per un linguaggio poetico sincopato, ellittico e fortemente suggestivo, Marco dei Ferrari ci aiuta a rievocare questa profonda ferita e a fare memoria delle vittime di una brutale vicenda storica che fu sostenuta da larga parte dell’intellighenzia dell’epoca: un monito per i nostri tempi, in cui la disumanità della guerra si ripropone in nuove forme e in tante parti del mondo. "La storia non è magistra di niente che ci riguardi", scrive Montale, ma noi speriamo fortemente che lo sia e questi versi di Marco dei Ferrari nutrono le nostre più vive speranze.



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  10. Marco dei Ferrari ci offre una panoramica storico-artistica del significato che alcuni intellettuali dell’epoca dettero del primo grande conflitto mondiale. E ce la offre con il senso critico di chi guarda a quegli avvenimenti a distanza di un secolo. Tuttavia il poeta, dando voce alle tantissime aspirazioni tarpate ed emozioni sacrificate sul campo, fa anche intendere che le guerre nascondono sempre un coacervo di sentimenti contrari.
    Lo scrittore, con il suo originalissimo stile, illustra efficacemente l’esperienza di guerra, senza temere di discendere nel baratro dell’orrore, ma regalandoci eloquenti immagini di un’umanità oltraggiata e sconvolta, mettendo a nudo il contrasto tra la brutale realtà ed alcune teorie interventiste del tempo. L’artista non esita neanche ad accostare la violenza che travolse i ragazzi del 1899 a quella, programmata a tavolino, dei campi di sterminio e perpetrata neanche un trentennio più tardi.
    Ma il merito maggiore di Marco è l’essere riuscito a trasporre in versi di alto lirismo concetti tanto crudi, trasformandoli in visioni di un destino irrinunciabile.

    Maria Fantacci

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  11. Non è facile scrivere della guerra senza cadere nella retorica, nel baratro del già detto o dello scontato. Marco dei Ferrari è riuscito ad evitare questa insidia intessendo la sua poesia con la tela e il filo scabro ma forte della verità, della sincerità. Ha elencato luoghi ed azioni che sono patrimonio della memoria di ogni uomo, ogni persona e che niente e nessuno potranno cancellare. Ha saputo adeguare il linguaggio alla necessaria essenzialità e asciuttezza. Facendo, come giustamente ha evidenziato Nazario Pardini, un'operazione di selezione e di sfoltitura del superfluo. Ne risulta un poesia che, parlando della guerra esalta il suo contrario, vale a dire la pace. Anch'io ho dedicato alcune mie composizioni a questa tematica, tra cui "Inno alla pace" e "Piccoli Soldati".Complimenti all'autore, all'uomo e soprattutto all'amico Marco dei Ferrari.

    Valeria Serofilli
    Valeria Serofilli

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