venerdì 15 giugno 2018

M. G. FERRARIS "IL PALPITO DEL COLORE. UN SECOLO DI PITTURA A VARESE"


In questo periodo Maria Grazia Ferraris, assidua e proficua collaboratrice di Lèucade, ha lavorato al catalogo Il palpito del colore. Un secolo di pittura a Varese, che accompagna l’importante mostra di pittura  appena aperta in provincia. La mostra è stata curata da Chiara Gatti, storica e critica dell’arte, specialista di scultura e di grafica moderne e contemporanee, che scrive per le pagine del quotidiano «La Repubblica» e cura progetti che incrociano ricerca estetica e antropologica. Ecco la Presentazione della Ferraris:

Il palpito del colore. Un secolo di pittura a Varese



La mostra Il palpito del colore che si è aperta  il 10 giugno 2018 a Laveno (VA) e che nasce dalla collaborazione di alcune significative realtà culturali attive nel territorio dei laghi varesini (Museo Civico Floriano Bodini, Museo Innocente Salvini, Associazione Amici del MIDeC - Laveno Mombello, Associazione Menta e Rosmarino,…) è l’ occasione per illustrare il panorama pittorico varesino del Novecento estendendolo fino ai contemporanei, e sottolineando come l’arte varesina abbia rilievo anche in un quadro nazionale.
 È stata curata da Chiara Gatti, storica e critica dell’arte, specialista di scultura e di grafica moderne e contemporanee, che scrive per le pagine del quotidiano «La Repubblica» e cura progetti che incrociano ricerca estetica e antropologia, e ha curato monografie e testi critici dedicati a Carlo Carrà, Fausto Melotti, Alberto Giacometti, Angelo Bozzola, Enrico Baj, Carlo Ramous …, pubblicando per la casa editrice Bruno Mondatori. Il suo saggio critico introduttivo dal titolo “Il tessuto delle cose terrene. Indole e umori di una pittura regionale”,  che apre il bel catalogo è illuminante nella sua chiarezza storica ed espositiva.
“Quando Roberto Longhi curò la celebre mostra sull’arte lombarda, allestita nel 1958 al Palazzo
Reale di Milano, nel testo di introduzione dichiarò energicamente la necessità di “sciogliere la cultura lombarda dagli ostinati residui del lungo complesso d’inferiorità che l’ha costantemente tenuta in soggezione al confronto d’altre regioni d’Italia; della Toscana soprattutto”.
Fu grazie ai suoi studi illuminanti che l’arte in Lombardia tornò al centro degli interessi critici, tutti
concentrati nell’individuare un lineamento comunque, un’indole, un’identità… Volendo affondare ulteriormente nel panorama geografico regionale, si potrebbe individuare nel singolo caso della provincia di Varese un altro centro di interesse, una fucina di esperienze altrettanto intense e caratterizzate da umori comuni. Sullo sfondo di “una Lombardia umida e feconda”, distinta – a detta di Longhi – dalla “forza di scrutinare il particolare dell’epidermide, il tessuto delle cose terrene”, ciò che accadde sui colli verdi del Varesotto sembra condensare nello spazio di pochi chilometri la stessa natura vitale, lo stesso temperamento campestre.”
La  geografia fisica, il paesaggio tra le Alpi, il lago e i piccoli bacini intramorenici, le località amene a pochi chilometri da Milano fecero per lungo tempo di questa provincia un rifugio, a due passi dalla metropoli industriale.
Fra Sette e Ottocento Varese fu soggetto culturale di fama, passò dal neoclassico al liberty. Continuò nel Novecento. All’alba del secolo, molti intellettuali scelsero la provincia come il loro luogo di riflessione e lavoro: fu legata al mondo dell’aviazione, attività che  attrasse l’attenzione degli autori del futurismo e dell’aeropittura.
Fra Otto e Novecento emersero figure  come Antonio Piatti, che  ricorda Tranquillo Cremona, in una versione scapigliata, inquieta, mescolata a una certa sensibilità simbolista propria di Gaetano Previati o  Oreste Albertini , erede di un’arte  divisionista piena di luce e di rifrazioni  e di senso di attesa, di melanconia, Domenico De Bernardi riprende la migliore simmetria classica paesaggistica in un gioco di fra cielo e terra, la pittura audace di Innocente Salvini vira verso l’acidità dei toni aspri, più espressionisti, con  echi della ricerca tedesca o nordica.
Molti dei pittori varesini studiarono a  Brera o nelle scuole d’arte di Milano, di Pavia o dall’Umanitaria ed esposero in più occasioni alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma. Giuseppe Montanari, marchigiano, diplomato a Brera, giunse ventenne a Varese e ci rimase per sempre. Arturo Tosi, bustocco da generazioni, formatosi sulla scia della Scapigliatura di Ranzoni e Cremona, diede voce a una poetica di matrice cubista miscelata al vibrante sentimento della terra tipicamente lombarda.
In questo ampio ventaglio di esperienze spicca il nome di Luigi Russolo, futurista di prima ora che, al fianco di Marinetti, Boccioni, Severini, Carrà, partecipò alle sorti della prima avanguardia storica italiana. Negli anni della maturità arrivò a distendere le sue inquietudini  davanti al lago Maggiore, a Cerro di Laveno nell’ultimo suo periodo, quando incrociò i suoi studi filosofici, con i colori e la sua riflessione sulle cose. Intanto, nel cuore di Varese, crebbero cenacoli importanti per il ritrovo di autori raccolti attorno a personalità di spicco, particolarmente carismatiche, come Leonardo Spaventa Filippi, nel cui studio facevano tappa amici pittori affascinati.
Enrico Baj, dopo gli anni milanesi, elesse Vergiate come sua dimora principale, allestendovi un grande studio immerso nel verde, Renato Guttuso soggiornò per oltre vent’anni a Velate. Baj partecipò attivamente anche alla vita politica e culturale varesina, mentre i suoi famosi “ultracorpi” germinavano sulle tele. Guttuso passeggiava per le vie del centro, visitava il mulino Salvini, presenziava alle inaugurazioni in galleria… lavorava alle cappelle del Sacro Monte. Tutti lo chiamavano “maestro”.
Più riservata fu la villeggiatura di Fontana, trascorsa, nell’ultimo periodo della sua vita, sul lago di Comabbio: argentino di nascita, italiano di famiglia, guardava lo  specchio d’acqua che gli ricordava un’ansa del Rio Negro. Un lungo portico bianco incorniciava l’ingresso della casa, ispirato alle dimore in stile coloniale e ai patios di Santa Fé.
Tanti sono i casi di personaggi venuti da altre regioni e che proprio in provincia di Varese trovarono terreno fertile per il proprio pensiero e la propria ricerca.
Franco Rognoni fece di Luino lo scenario notturno e lunare dei suoi racconti trasognati, ironici e visionari, Piero Cicoli, marchigiano, mescolò i colori della sua terra e le luci terse di un paesaggio mediterraneo con la natura verde del Varesotto, in un gioco di memorie sovrapposte in composizioni astratte. Una specie di sintesi di un orizzonte globale e nazionale.
Da un lato c’era chi, come Gottardo Ortelli, aderì al fronte compatto della pittura analitica: scansioni di spazi in ritmi, linee, toni e tratteggi rigorosi su lavagne monocrome. Dall’altro lato, si muoveva invece una pattuglia di figurativi tecnicamente forti e poetici: Giancarlo Ossola, Albino Reggiori che affilava verso il cielo le celebri cattedrali tradotte anche in incisione e in ceramica, mestiere tradizionale appreso nei lunghi anni di studio dentro i laboratori di Laveno, quando fu allievo scrupoloso di designer noti  come Andlovitz e Antonia Campi.
Gli  artisti attivi a Varese, legati al clima della Milano contemporanea, hanno offerto un contributo significativo alle sorti dell’arte in provincia, superando il limite del regionalismo e aprendosi verso una prospettiva italiana, grazie anche ai rapporti con le gallerie di punta o la partecipazioni ai premi nazionali, dal Castello di Masnago al caso straordinario, internazionale di Villa Panza, dalla Fondazione Bandera di Busto al Maga di Gallarate, simbolo di una coraggiosa scommessa di riconversione culturale e turistica di una città industriale, “la città delle mille ciminiere”, in un polo espositivo dalla vocazione europea.
I nomi che oggi spiccano sono quelli di artisti che hanno raccolto e interpretato linguaggi correnti, in chiave personale, come Piero Dorazio, Vittore Frattini o la riflessione raffinata di Giorgio Vicentini,  che affascina col  suo “linearismo  di memoria orientale”. La novità introdotta da Domenico D’Oora, “minimalista dal cuore rinascimentale”, è quella della pittura come oggetto, del valore attribuito al supporto come parte espressiva dell’opera.
“Fra gli  autori legati alla figura, emerge la personalità eclettica di Luca Lischetti con i suoi teatrini, montaggi che uniscono “citazioni baconiane con soluzioni neo-pop; riti e miti di un universo esotico convivono in vaste stele dalla materia densa”. Parlando di scrittura e simboli, resta fondamentale l’esperienza di Giancarlo Pozzi che ha sviluppato un alfabeto di segni dalla matrice letteraria e la vocazione per un racconto fatto di immagini e allegorie.
Conclude la Gatti: “Tipicamente terrigno, erede di quelle “passeggiate in Lombardia” lodate da Roberto Longhi nelle opere di Vincenzo Foppa, Antonio Pedretti si è segnalato come cantore di un paesaggio madido di pioggia e di una vegetazione selvatica resi attraverso una pittura umorale, viscerale, morlottiana. Il percorso si chiude con un maestro per il quale, fra pittura e scultura, non esistono fratture, ma un confine liquido. Antonio Pizzolante scolpisce e dipinge vessilli dal gusto primigenio, insegne apotropaiche, scudi di ferro e legno appartenuti idealmente ad antichi guerrieri, mappe celesti di origine rupestre. Il colore della pietra sposa innesti di porpora e lapislazzuolo portando a Varese i venti caldi di un’antichissima storia messapica.”
Chiudono la prima parte due testi critici: “Il Futurismo a Varese” di  Maria Grazia Ferraris e  “Arte a Varese tra istituzioni pubbliche e mondo privato” di Consuelo Farese, segue il catalogo delle opere di 33 pittori con le relative biografie suddivisi in: I maestri storici,  I maestri del secondo dopoguerra, I contemporanei.
Vari i contributi.  Da segnalare il contributo di C. Gatti su Villa Panza, posta  sul colle di Biumo superiore, che è un esempio raro di casa-museo, dove arredi antichi convivono con opere d’arte ambientale e nei saloni un tempo “da parata”  affreschi settecenteschi e sculture concettuali.
“La storia di stratificazioni di questa dimora aristocratica comincia nel Seicento con la sua originaria funzione di “casa da nobile”, diventata villa di delizia, poi residenza privata e oggi galleria d’arte contemporanea. Trasformazioni mai radicali, che ne hanno mantenuto la struttura a U, aperta in direzione dello splendido giardino all’inglese, rivolto  verso l’interno privato…
Un’esigenza di riservatezza  condivisa da tutti i proprietari, dai conti Orrigoni ai marchesi Menafoglio, dai Bossi ai Litta …” che ha ospitato mostre eccezionali diventate, in tempi recenti, un punto di riferimento per il mondo dell’arte, offrendo a Varese una visibilità straordinaria oltre frontiera ( omaggio a Giorgio Morandi, una rassegna sull’Arte povera, la personale di Christiane Löhr, Robert Rauschenberg, il profeta pop, Roxy Paine e Bob Wilson, genio apolide per interessi, collaborazione e diramazioni tra teatro, danza, musica, scrittura, nuove tecnologie, autore di quadri vivi, video-portraits).
Originale il ricordo della mostra Cara Morte di R. Oldrini che lasciò un segno per lo sconquasso notevole che portò nel quieto vivere artistico del territorio. Si  può affermare che essa abbia, in qualche modo, precorso i tempi, sfruttando il potere provocatorio dell’arte concettuale aprendo il programma ad altre discipline (cinema, musica, teoria), cosa che avvenne con l’istituzione dei Seminari di Gavirate: l’arte, la festa, la morte.

Maria Grazia Ferraris








Montanari,1925













DE Rocchi,1962














Baj, Spettacolo, 1956


2 commenti:

  1. Interessante excursus sui fermenti artistici più significativi, a partire dai primi del Novecento fino ai nostri giorni, in un'area, quella del varesotto, particolarmente sensibile al confronto tra cultura industriale e cultura rurale, tra provincia e metropoli, tra tradizione e innovazione. Questo scritto costituisce una preziosa indagine, un vero e proprio faro sull'ampia vetrina di artisti delle più svariate tendenze che hanno vivacizzato quei luoghi, come l'intera arte lombarda, negli ultimi cento anni, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo dell'arte contemporanea e di tutte la avanguardie. Il ricco e ghiotto panorama pittorico prende spunto dalla mostra "Il palpito del colore" curata da Chiara Gatti e contiene in catalogo un contributo critico sul Futurismo varesino della stessa Ferraris. Complimenti vivissimi a Maria Grazia, che conferma in tal modo le sue ben note ed entusiasmanti qualità di critico militante e di intellettuale a tutto campo.
    Franco Campegiani

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  2. Grazie carissimo Franco: riconfermo con amore e pazienza l'amore per le mie terre e per la cultura lombarda alla quale appartengo senza indulgere in provincialismi vari, anche se ritengo che il Varesotto dovrebbe essere meglio conosciuto.

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