giovedì 14 marzo 2019

LIDIA GUERRIERI COMMENTA: "LA SOLITUDINE DEL MARE" DI N. PARDINI

Lidia Guerrierri,
collaboratrice di Lèucade


Buonasera, Professore, ho letto le poesie da “ I dintorni della solitudine” che avevo trovato su internet, quelle nell' articolo di Linguaglossa e una mi ha colpita in maniera particolare “La solitudine del mare”. Sono tutte belle, ma questa ha qualcosa che mi ha “ presa” ed ho cercato di dirlo in maniera semplice perché io non sono brava a commentare. Le mando quello che ho scritto solo perché sappia cosa ho provato; chi critica la sua poesia non ha idea di cosa voglia dire saper emozionare.
"Possente, volubile, traditore, padre che nutre"..in quanti modi l'abbiamo letto e cantato il mare!? Ma l' incipit della poesia “ La solitudine del mare “ di Nazario Pardini mi ha colpita. “Sono solo e l’inverno mi percuote”: noi ci vediamo piccoli e spersi nell'universo, e lo sappiamo che questa sensazione appartiene all' “essere uomo”, ma questa lirica si apre su un panorama di più vasta solitudine: la solitudine di tutto, la solitudine come “ catena” universale, la solitudine a cui non c'è rimedio. “ Sono solo e l'Inverno mi percuote”: così, semplicemente, il mare presenta se stesso; un verso scarno, senza grida né lamenti , una constatazione che rintocca come un colpo a martello ;non “ sono potente, sono eterno, sono immenso “ o altro, ma “ sono solo”. E' questa la pena originaria, quella che non si supera se non per brevi istanti quando qualcosa graffia il guscio che imprigiona ognuno di noi. Ed anche la reazione del mare è umana: ... solleva le onde, cerca di sbirciare gli addobbi di Natale nelle vetrine, aspetta trepidante la breve compagnia di qualche innamorato, vuole un contatto; ...è uno di noi! perché anche lui, anche le forze della natura alle quali spesso addebitiamo le nostre pene non sono onnipotenti poiché tutto è sottomesso ad una forza superiore che non so se sia corretto chiamare Fato. “....l'Inverno mi percuote” solitudine e pena...non solo quella che viene dall'esterno, ( dalle frustate del vento per il mare, dagli altri per quanto riguarda noi,) ma anche quella, ben più terribile che sale dall'interno, dalla coscienza delle nostre colpe. Ma se è doloroso sapere di aver sbagliato, è devastante il sospetto che potremmo non essere del tutto colpevoli nel senso che mentre una colpa volontaria permette un riscatto, il pensiero, invece, che potrebbe esserci un limite al nostro libero arbitrio rischia di farci sentire non innocenti, ma schiavi di forze che ci toglierebbero sia la possibilità del riscatto e del cambiamento che l'orgoglio della scelta. Il mare sa le conseguenze delle proprie azioni e ne sente il peso, cerca di purificarsi, e in preda all'angoscia, si libera dalle tracce concrete dei suoi “ misfatti”
  
“...in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume,
e riempio la spiaggia di vestigia,”.

Ma non ha forse una qualche giustificazione chiedersi se sia giusto il suo tormento, se a lui sia da addebitarsi il pianto della madre che nei suoi fondali ha perso il figlio? In fondo il mare è costretto dal vento a sollevarsi...il vento è costretto a diventare violento da certe condizioni ...è una catena che ha origine...dove? Lui si tormenta, ma fino a che punto è colpevole ? E allora lo sguardo si sposta su tutti noi, piccoli, fragili, insignificanti granelli di polvere persi nell'immenso ed è lecito chiedersi dove per tutti sia il confine della colpa. Fino a che punto io posso scegliere? Giuda “scelse” di tradire Cristo ? O fu destinato a questo compito? Se le Scritture avevano previsto tutto, se Cristo doveva morire per noi ci doveva pur essere uno che fosse strumento, chiunque fosse!
Mi allontano dal verso, o forse no...è certo che, leggendo, noi diventiamo partecipi del tormento di questa creatura d'acqua che ci assomiglia, che si sente sola, colpevole, che aspira ad un riscatto, prigioniera di se stessa, in balia di forze esterne e di tormenti interni, una creatura senza pace, che cerca ma non trova, che si fa domande ma non ha risposte, che vorrebbe capire ma tutto ignora.
Il mare.... tutti noi. 

Lidia Guerrieri



DA I DINTORNI DELLA SOLITUDINE, GUIDO MIANO, 2019























LA SOLITUDINE DEL MARE

Sono solo e l’inverno mi percuote
coi suoi venti freddi e burrascosi.
Innalzo le onde fino al sommo cielo
e le porto alla strada per sbirciare
gli addobbi di Natale. Ogni tanto
mi vengono a trovare dei ragazzi
innamorati: seduti sul pattìno,
allungano lo sguardo, incatenati,
tra un bacio e l’altro, fino all’orizzonte.
Mi fanno compagnia. La solitudine
mi fa pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa pensare ai giorni dell’estate,
ai tanti corpi immersi dentro me,
alle grazie di giovani fanciulle
che mi lisciavano il corpo. Ora ricordo;     
vivo nel rievocare quei momenti,
mi sento triste se mi torna in mente
il pianto di una madre e il suo inveire
contro la risacca, e la corrente,
che portarono via un figlio in fiore,
sperso nei miei fondali. Ma a pensarci  
sono tanti i mortali sprofondati
nelle mie cavità. Ora son solo;
alzo le braccia al cielo e mi imburrasco
per la forza di un vento che d’inverno
mi assale con frustate. Se m’incontri
di questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando il respiro mio si fa più denso,
mi vedi in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume
e riempio la spiaggia di vestigia;
si fanno le mie acque intorbidite;
trovo la pace solo se la luna
frantuma le sue chiome in tante scaglie.   
Allora mi riposo. Puoi vedermi
quando arancio le guance e tingo il cielo
degli amplessi fecondi che dal dentro
fuoriescono per visualizzare
l’inquieto stare chiuso dagli scogli
senza poter sfuggire oltre le sponde.
Senza poter capire, e mi tormento,
quello che fuori esiste; e che mi è ignoto.






3 commenti:

  1. Grazie Professore; avevo scritto solo per farLe capire quanta emozione mi avessero dato questi versi e non mi aspettavo l'onore di vedermi su Leucade dove approdano commenti ben più autorevoli. Grazie.

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  2. Lidia ti ringrazio di cuore per aver introdotto questa lirica e per avermi concesso di leggere la tua splendida recensione così attinente alla poesia. Nello scorrere i versi ho tremato. Nazario ama il mare quanto me, è spesso presente nelle sue poesie e, in questa occasione, diviene l'io narrante. L'artista cede lo scettro alla voce dell'infinito elemento dal quale siamo nati, al quale spesso si sceglie di tornare, come in un immenso grembo. E la voce narra il mare 'che brucia', come sono solita dire, il mare che accoglie "I ragazzi che si amano" così cari a Prévert, lo strazio di una madre, che perde il figlio nel tumulto delle onde,il mare che riflette sui mali del mondo, libero e, di colpo prigioniero, proprio come ognuno di noi. Lidia afferma che il mare 'diventa noi' e dà senso pieno a questa lirica che stordisce, che crea l'empatia assoluta tra l'uomo e la natura. Baudelaire scriveva: " Uomo libero amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio/contempli la tua anima nello svolgersi infinito della sua onda" ... E in questi versi la simbiosi si compie. Il mare s'identifica con gli uomini, ragiona come ognuno di noi, ci consente di contemplare la nostra anima specchiandola nella sua. Un capolavoro. Grazie a Lidia e al nostro Condottiero. Quanto può arricchire una poesia!
    Maria Rizzi

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  3. Gentile Maria! sempre presente con la tua bella parola di accoglienza. Grazie!
    Grazie anche a Lidia che con tanto garbo e competenza (ed eccessiva modestia!) esprime grandi verità.
    Sono tutti tributi,giusti e ricchi di affetto, a cui mi associo, rivolti al grande valore del nostro "Condottiero"
    Edda Conte.

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