martedì 5 marzo 2019

SILVANA LAZZARINO INTERVISTA SANDRO ANGELUCCI


Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

LA VOCE DEL NISSENO

 SANDRO ANGELUCCI, IL POETA CHE RACCONTA LE SCINTILLE D’AMORE INSITE NELLA NATURA
di SILVANA LAZZARINO – L’INTERVISTA. 

Un viaggio per ritrovare amore e rispetto per sé stessi. Ma anche per Madre Natura, entro quell’equilibrio che è il senso della vita 
Con sguardo introspettivo volto a cogliere l’essenza di questo percorso esistenziale tra luoghi fisici e metafisici, dove il respiro del tempo si ferma, Sandro Angelucci poeta, saggista e critico letterario di grande spessore e sensibilità, attraverso i suoi versi restituisce pensieri, desideri di un’umanità forte, ma fragile, in bilico nella costante ricerca di verità tra luci e ombre dove il più forte non sempre vince. Se la ricerca di verità sulla vita dove sempre meno si è aperti all’ascolto dell’altro e alla sua integrazione, viene restituita dall’autore volgendo gradualmente lo sguardo al cielo come nella raccolta “Verticalità” in cui si viene a contatto con il desiderio di ascesa verso quel punto di coincidenze dove inizio e fine si sovrappongono, nell’opera poetica “TITIWAI” appena uscita (Giuliano Ladolfi Editore), il punto di partenza è quella zona centrale della Terra dove nasce il primo fulcro dell’energia.
É proprio da questo punto profondo individuato nelle grotte della Polinesia abitate da larve che restituiscono luminosità, che inizia quel viaggio verso la riscoperta di sé stessi e delle proprie attitudini originarie, distante dai desideri di potere dell’attuale società. La luce che emettono queste creature (larve) apparentemente insignificanti e prive di bellezza entro questi siti oscuri è sorprendente poiché dona lo stesso effetto di un cielo stellato, un cielo sotto Terra. Da questo cielo, come suggerisce il poeta Sandro Angelucci dalla spiccata sensibilità, si può ripartire per scoprire come dietro un aspetto anonimo, o meno importante possa nascondersi un’infinita armonia e una ricchezza sorprendente.
La Natura nei suoi infiniti volti da quelli più banali e ovvii a quelli che suscitano stupore e meraviglia non è mai scontata: ogni suo aspetto va apprezzato, rispettato, protetto e amato.  Attraverso questo percorso suddiviso in due momenti volti a riflettere sul comportamento dell’uomo prima e dopo la presa di coscienza di un sentire proiettato alla riscoperta di un ascolto autentico con quanto intorno, si ritrova la capacità di amare sé stessi e gli infiniti orizzonti e angoli di una Natura che si mostra nelle sue svariate sfaccettature di luci e ombre, mistero e verità.
Attraverso i suoi versi eleganti e profondi che risuonano come melodie ad accarezzare l’anima, Sandro Angelucci mette in luce le ferite inferte ad una Natura maltrattata il cui grido di dolore risuona come un ultimo tentativo di salvare sé stessa e con sé lo stesso destino dell’uomo che sembra sempre più volto a rispondere al proprio ego. Se si torna ad amarre la Natura, rispettandola e proteggendola, si riscopre la bellezza di un vivere in armonia con se stessi rievocando le proprie attitudini tra qualità e debolezze, e riconoscendosi parte di un tutto con gli altri e con quanto intorno. Se si continua a deturpare la Natura sfruttando ogni sua risorsa fino all’osso, la si uccide e con essa la capacità di amarsi e amare. 


Inoltre in diverse liriche del poeta Sandro Angelucci “poeta delle scintille d’amore insite nella Natura” vi è un monito a non fermarsi alle apparenze: è necessario andare oltre una prima visione e cercare di capire cosa vi sia dietro ogni evento, scelta, gesto o azione.
Il titolo del tuo libro rimanda alle larve di grotte della Polinesia che restituiscono la visione di un cielo stellato come si vede in copertina: un’immagine forte sul piano visivo ed emozionale per provare a guardare dentro sé stessi. Cosa hai voluto comunicare con questa immagine delle larve che illuminano la grotta facendola diventare un cielo stellato? Vi è nell’uomo il bisogno di trovare un legame tra la terra il cielo, tra noi e la parte alta di noi?
Il titolo “Titiwai” è tratto dall’omonima poesia che chiude la raccolta e che mi fu ispirata proprio dallo stupore in me suscitato dalla vista (non diretta ma fotografica) di uno straordinario fenomeno naturale. Madre Natura scolpisce, dipinge, suona e scrive; in una sola parola, crea e fa arte da sempre. L’immagine di copertina vuole essere, dunque, un’apertura, un invito - prima ancora di leggere - a trovare in questi capolavori naturali l’anelito dell’uomo a stabilire una corrispondenza feconda e generatrice, appunto, con sé stesso in quanto parte, anch’egli, di un capolavoro, di un’opera costantemente in fieri che possiamo riscoprire in ogni momento e in ogni luogo.
Franco Campegiani affermato poeta, critico letterario e d’arte di fama internazionale, nella postfazione facendo riferimento a queste creature Titiwai “… larve incandescenti che proiettano bagliori simili a stelle nelle volte delle grotte di Waitomo” indica nel loro modo di essere, capaci di restituire una visione luminosa di un luogo buio, una metafora di come l’equilibrio risieda proprio nell’armonia dei contrari. Queste le sue parole: “ Titiwai…. una stupenda metafora di questi equilibri, di questo mistero speculare, di questa dualità. E’ l’incontro del Cielo con la Terra, l’abbraccio del Padre con la Madre, l’armonia tra lo Yn e lo Yang. La Terra non è che un Cielo capovolto, se possiamo trovarlo inabissato nelle sue cavità.” Queste ultime parole di Franco Campegiani sono poetiche e intense e racchiudono una profonda verità sul senso dell’esistenza: nell’equilibro si riscopre la bellezza della vita e il senso di appartenenza a questa Terra. Cosa poi dirmi a riguardo?
Ti ringrazio per aver citato il mio amico e postfatore, Franco Campegiani; non solo citato ma colto nel nucleo del suo pensiero (che è poi anche il mio: Franco sa bene che, pur nelle nostre diversità, la nostra weltanshauung ha un’identica matrice). L’armonia dei contrari è legge universale, ed è principio, regola non coercitiva ma rispettosa di un equilibrio del quale facciamo parte; volenti o nolenti dobbiamo prenderne atto e - consentimelo - senza perdere tempo; il tempo (in termini naturali) sta per scadere. L’incontro tra la Terra e il Cielo è l’Incontro con noi stessi, e può avvenire quando e dove vogliamo: guardando in alto o in basso: “La Terra non è che un Cielo capovolto, se possiamo trovarlo inabissato nelle sue cavità.” (dalla postfazione).  
La Natura è anche qui protagonista come in tutte le tue raccolte di poesie. Tra questo libro e il precedente “Verticalità” dove si parla di ascesa verso l’alto e discesa verso sé stessi, vi è un collegamento, o meglio un parallelismo. Si tratta forse di due modi di vedere il rapporto uomo natura e la riflessione sul bisogno dell’uomo di ritrovare questo legame autentico con la sua Madre Terra?
Non soltanto un collegamento ed un parallelismo ma una prosecuzione. “Verticalità” è un invito a salire, “Titiwai” a scendere (se vogliamo dire così) ma - e questa è la cosa più importante - sempre in senso perpendicolare, mai in piano. Di orizzontalità ne abbiamo fin troppa: ci ha spianato, ci ha ridotto ad un tappetino stradale come un rullo compressore; siamo una massa informe e indifferenziata che si adegua ormai a tutto, ad ogni nefandezza, ad ogni immoralità. Rispondendoti, allora, dico: sì, assolutamente, è il rapporto uomo-natura che voglio privilegiare; se non si parte da qui - autenticamente però, e non per fare tendenza - non si ricucirà mai lo strappo che rischia di farci perdere la nostra stessa identità.
Spesso l’apparenza inganna come è proprio nell’immagine di copertina poiché mai si pensa che delle semplici larve possano illuminare così tanto un ambiente oscuro. Guardare oltre l’apparenza e non soffermarsi al superficiale è un invito affinché l’uomo possa apprezzare anche gli altri? Inoltre questo riconsiderare gli altri e quindi la Madre Terra che dà la vita, può diventare per l’uomo occasione per riconsiderare se stesso nella propria essenza, mettendo da parte lo sfrenato bisogno di avere e conquistare potere per apparire il più forte?
Ho, in parte, risposto nella precedente domanda quando ho parlato di perdita d’identità. Questo tuo ulteriore approfondimento mi offre però l’occasione di soffermarmi sull’immagine di copertina: le larve (spesso “reiette” dall’uomo, come scrivo nel testo della poesia eponima) hanno, metaforicamente, diversi polisensi: dalla facoltà d’illuminare l’oscurità a quella di ridimensionare e ridimensionarci. Sono convinto che esista una strada: quella che porta all’umiltà (in quanto riconoscimento dei nostri limiti e non sottomissione) che, sola, può liberarci dalla presunzione, tronfia e smodata, di una supposta quanto insussistente superiorità.  
Quale la lirica dove maggiormente e con tono più sofferto sottolinei l’indifferenza dell’uomo nei riguardi della Natura? E quale un’altra in cui riveli ancor più il grido di dolore di Madre Natura?
Sono orientato, senza dubbio, su “Anatroccoli” (inclusa nella seconda parte: “Pan Flȗte”) per quanto concerne la prima domanda e su “Quando i conati saranno più volenti” (nella prima sezione: “Il giorno della legna”) relativamente al grido di dolore di Madre Terra.
Fai riferimento al Paradiso Terrestre accennando al frutto, la mela e ad Adamo ed Eva. Il Paradiso Terrestre di cui parli è quello che l’uomo potrebbe riavere se solo ritrovasse sé stesso nell’entusiasmo di vivere tornando a stupirsi e meravigliarsi delle piccole cose, perché nella semplicità vi è ricchezza. Che puoi dirmi a riguardo?
Ti confermo e ribadisco che la semplicità, l’essenzialità delle piccole cose (anche quotidiane) può aprire la porta dello stupore. D’altro canto - chiediamocelo - cosa fa il bambino (e chi più di lui è poeta)? Si meraviglia di tutto ciò che lo circonda, osserva con gli occhi spalancati, e impara senza sapere di stare imparando. L’adulto, con sguardo disincantato, al contrario, crede di apprendere ma in realtà sta dimenticando, disapprendendo, facendosi schiacciare dal conformismo.
San Francesco parlava di semplicità e amore per il creato tra la natura e gli animali. Quanto il “Cantico delle creature”, che è un inno di amore per la natura nel ringraziamento al Signore, ti ha rafforzato, fin dalla sua prima lettura, la bellezza di un rapporto autentico con i suoni, i colori, i profumi della natura e del creato?
Il “Cantico delle creature” è la prima vera poesia della nostra letteratura (anche se non tutti concordano nel ritenerla tale). Francesco ha vissuto nella mia terra gli ultimi anni della sua vita e alcune fonti fanno risalire la composizione o, quanto meno, la prima stesura dell’inno al periodo in cui soggiornò presso quello che, oggi, è il Santuario della Foresta. Posso assicurarti che ogni volta che salgo su quella collinetta (che lo ospita e che si trova a non più di cinque minuti da dove abito) avverto distintamente il forte richiamo spirituale di quelle semplici e profondissime parole.
Nella Natura in piccole scintille si può leggere la presenza di Dio. Sei d’accordo?
Non posso che essere d’accordo: questi bagliori (titiwai appunto) cos’altro sono se non scintille di luce divina, piccolissime lanterne accese per far comprendere e vedere a chi ha voglia di capire e aprire gli occhi? “Dio c’è” si legge a volte sui cartelli segnaletici stradali; io credo che non occorra scriverlo: è scritto dovunque nel creato.
A partire dalle origini e dall’autenticità di sé, si può ritrovare l’essenza dell’esistere e quell’armonia che difficilmente si respira in questa quotidianità troppo proiettata all’edonismo e al potere?
Quella che viviamo è una società votata all’apparire ed all’avere, e dunque decisamente protesa all’esterno. Ora - mi chiedo - come si può pensare di trovare il fondamento, la sostanza delle cose e di sé stessi accontentandosi di rivolgere l’attenzione soltanto al loro aspetto estrinseco? Con questo, non voglio asserire che la realtà non conti ma che valga immensamente di più nel momento in cui funge da specchio per guardarci dentro. E’ come quello che, dall’oblò di un aereo, osserva le meraviglie di panorami mozzafiato e non si rende conto di stare volando.

SILVANA LAZZARINO





3 commenti:

  1. Quando Sandro mi parlò di Titiwai, mostrandomi in anteprima la foto straordinaria di questo cielo stellato scoperto nelle viscere della terra, rimasi gioiosamente sorpreso e fui molto lusingato dal suo invito a comporre una postfazione al testo. "Gioiosamente", perché? perché l'immagine suonava come conferma di un pensiero da cui mi sento guidato da sempre e che piacevolmente, nel tempo, ho scoperto guidare anche lui. Mi riferisco all'armonia di Madre Terra, un'armonia dinamica, fondata sulla diversità e sul contrasto, sullo squilibrio e sulla disarmonia. Grato a lui per aver ricordato, nell'intervista, tale comunanza di pensiero, ringrazio anche Silvana per avermi così generosamente citato, complimentandomi per questa ulteriore prova di straordinario acume critico e di non comune profondità di pensiero.
    Franco Campegiani

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  2. L'intervista di Silvana e il commento di Franco mi hanno messo in bilico sul davanzale dell'attesa... Sandro sa stupire e incantare ogni volta che dà forma alla sua ispirazione incandescente. Figlia di tanto stupore ho bevuto sorso dopo sorso la magia di Silvana, nostro messaggero infaticabile e magistrale. Tornerò a scrivere il poco che posso dopo aver letto la Silloge. Sandro: il mondo attende!
    Abbracci a tutti, compreso, ovviamente, il nostro Condottiero...
    Maria Rizzi

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  3. Ringrazio Franco e Maria per le loro testimonianze, non solo nei confronti della mia poesia ma per i plausi tributati ad una giornalista, Silvana, che ha saputo pormi le domande giuste affinché io potessi esprimere il senso riposto di questa mia nuova raccolta poetica.
    Vi abbraccio tutti,

    Sandro Angelucci

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