lunedì 8 aprile 2019

ANNA VINCITORIO LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI




ALCJONE 2000
NAZARIO PARDINI
I dintorni della solitudine
GUIDO MIANO Editore – Febbraio 2019

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade


Può solo essere poesia.
“L’ultimo autunno che vivremo insieme e il/ mare e le sue onde inquiete a raccontarci…”. L’autunno raccoglie il vissuto del poeta in una armonia di colori sfumati come lo scorrere del tempo e il mare amico, immenso, inquieto come solo l’anima di un poeta può essere. La visione di Nazario immersa nella natura si volge ai volatili e li osserva. I piccioni con la testa tra le piume, bisbigliano col vento. Becchettano; volano verso l’alto e in basso le loro ombre vaganti. Simbolo di libertà, svaniscono. Anche gli uomini a un tratto non saranno più. Il poeta nella sua visione panteistica, osserva il falcione e ne rivive il percorso tra le mani callose del padre. Il padre non c’è più e il falcione “ora è lì, senza voce: una bestia ferita,/ accanto ad una cesta e ad un barile/ Nemmeno ti risponde se lo chiami”. Quello che ci circonda vive, se noi lo facciamo vivere ed è parte dei noi stessi come le valli, le scogliere “in questo luogo sperso tra i roveti”. Su di noi, i raggi del sole ci accompagnano alla nascita e alla fine del percorso. Ci avvolge la solitudine del mare, i giorni dell’estate, il vagare dell’uomo, i suoi momenti di vita, ora allegri, ma più spesso tristi. Attimi come onde. Onde scosse dal vento che muovono la massa cupa e cangiante del mare, vita e compagno del poeta; ascolta i suoi tormenti e la paura dell’ignoto “che fuori esiste”. La nostra vita è un’anfora smisurata, colma di ricordi. In quelli di Nazario affiora una giacca, quella del padre. Era “di velluto/ con dietro il tascapane”. Poi, fu del fratello. Gli oggetti conservano un profumo “di persone, di stagione;/ sa di storie passate, di vicende; annusa! C’è tuo padre in questa stoffa,/ tuo fratello”. Ricordi di caccia, di sapori, di lontane primavere. Ricordi di un fucile; ricordi che riportano al vissuto e parlano. Io posso dirlo di una musica. Non posso ascoltarla. Ricordi di un lontano periodo della mia vita tormentata dall’assenza di una voce, di un amore che mi era stato strappato. Ancora oggetti nel ricordo del poeta, come l’aratro. Residui: solo il vomere è rimasto, ma vivo il ricordo dei campi arati e “che profumi/ respiravo quando la mia lama/ solcava la terra a primavera!”. Parla l’aratro, con la penna del poeta. “Ora sono qui che vivo di ricordi,/ e mi fa male questa solitudine/… Sono un aratro stanco, malandato,/ ma più delle ferite corporali/ mi dolgono i risvolti della vita/ questa fine fra aggeggi logorati,/ fra attrezzi arrugginiti dall’età”. Quando invecchiamo, gli amici scompaiono o per morte o per diversi interessi. Il telefono resta muto/ le sere lunghe e non udiamo il richiamo delle rondini quando si avvicina la primavera. Così, la solitudine dello stradone davanti al cimitero. Prima, “ci passavano carri ed asinelli;/ con ceste di raccolti;/ era un viavai”. I ricordi non appartengono solo a noi ma sono di ogni oggetto o creatura diversi dall’uomo. La solitudine è una immagine con una corposità dolorosa che abbuia un cielo azzurro. Ha spesso per compagno il silenzio e, il silenzio, è parola non detta ma vagheggiata e mai giunta al nostro orecchio. Solitudine è anche contemplazione della bellezza del creato che ci avvolge ma non riesce a scaldarci. La solitudine non ci fa gioire del tramonto e il nostro rientrare “al canto della civetta”. Luoghi, persone, e colori possono aiutarci nel cammino della vita. Non si diventa poeta perché sensibili alla bellezza o non soltanto: “il dolore di un figlio che ti lascia,/ l’inquietudine/ che provi nella vita,/ la gioia per un mondo ritrovato,/… lo smarrimento nei cieli senza fine/. Sì/ tutto questo ed altro dentro i versi che ti accingi a creare”. Abbiamo un tempo che però finirà e non per tutti eguale. Lungo come “viale d’autunno in un tramonto/ che ruffiano ci avvolge in un abbraccio;/ e il tutto in un soffio ed un sospiro…”. Noi procediamo lentamente. Lontano il tempo delle corse, ci incamminiamo verso la luce. Luce: ricerca presente in noi, forse non pianificata ma insita in ogni uomo. C’è un altrove dove prima poi saremo. Aspro e lungo il cammino. “Mi infilavo tra i rovi e le sterpaglie: il mio corpo sanguinava/ da ogni parte: le mani, le ginocchia,/ il viso, e le speranze…/ Eccomi giunto,/ sono ormai vicino”.
Se l’ignoto a cui agogniamo, si squarcia; il poeta si prostra dinanzi al
cielo; le nubi svaniscono e si delinea la strada della luce. Il cammino è lungo. A ritroso, si trova quella stretta strada di campagna, la madre “con le vesti fresche e nuove/ da porgermi al ritorno della scuola/”. E l’amico del passato e il suo ritorno “sulla riva del fiume…”. Ricordi, ricordi dell’amicizia, del volto del padre, del fratello, della madre buona. È dal passato l’inizio del cammino per l’altrove e lì, cercare un varco. Acqua che scroscia; aria fresca; bere, bagnarsi e lì, il ricordo degli antichi de
dèi e le parole di una ninfa “che si leva dal mare di Zacinto”. L’antica Grecia; i suoi miti nati da studi di un tempo lontano, rivivono in quella luce che solo l’irreale bellezza di un amore incondizionato fa intravedere. Ma, quella luce a cui aspiriamo, splende oltre la vita. La bellezza di un dopo che ancora non ci appartiene. E allora? Tornare indietro alle nostre memorie e, facendole rivivere, vivere ancora in esse. Tornare a casa; alle proprie radici e “tutte le radici di quelli che si dettero una storia”. Essere; udire i fremiti del mare; riandare al fiume della lontana giovinezza; a quella casa stretta che serrava d’amore le sue creature con le sue braccia di calce.
Sì! La luce della vita è mento intensa rispetto a quel lungo e luminoso
imbuto verso il dopo, ma è “pur sempre la luce, quella chiara, quella di casa mia”. Non ci sono certezze, ma la forza creata dai ricordi ci fa ritornare alla realtà di un sogno lungo quanto la nostra vita.

Firenze – 12 marzo 2019
Anna Vincitorio

1 commento:

  1. Anna dipinge con i colori della Poesia le tematiche trattate dal grande Nazario in questa Silloge che sembra quasi un diario di bordo, un album di ricordi, di riflessioni e di sogni. Lo stile della nostra Anna battezza i passaggi, coglie le sfumature, sottolinea le mancanze.In punta di piedi, com'è nel suo carattere.
    Complimenti a lei e, ovviamente a Nazario... e grazie per avermi arricchito!
    Maria Rizzi

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