martedì 23 aprile 2019

NAZARIO PARDINI CRITICA GIORGIO LINGUAGLOSSA


Nazario Pardini critica Giorgio Linguaglossa.


Chi è costui, che cosa scrive, di che si vanta? Quali poteri ha mai chi con ogni mezzo e per farsi vanto distrugge le basi della vera poesia? Chi lo segue? Da chi è composto quel gruppo di scrittori(?) che lo affianca in un ipotetico e insignificante viaggio verso il nulla? Sì, verso il nulla, dacché costoro, assieme al capo, caldeggiano la quanto mai sconosciuta e insignificante teoria della NOE, che in parole povere sostiene che la poesia deve essere  impersonale, amorfa, minimalista, senza alcun riferimento all’autore, al suo essere, al suo esistere, alle sue memorie, alle sue vicissitudini esistenziali, al suo mondo onirico, insomma a tutto ciò che fa il nerbo del poema. Un insieme di autori che vanno verso il baratro senza accorgersene, visto che non hanno idea di cosa sia il vero canto, la confessione, l’amore, il malum  vitae, lo spleen, il dolore, la gioia, insomma tutte le emozioni che reificano i giochi di Orfeo. La poesia è, e ben si annoti, tutto ciò che scaturisce da un animo cotto a puntino, in stato di grazia; da un animo che vive, soffre, ama, gioisce, si illude, si disillude; e lo fa affidandosi a versi che non hanno niente a che vedere con riforme di positura  prosastica, in quanto l’armonia e la musicalità sono alla base del verso, che non si può permettere di andare a capo quando vuole: deve rispettare le regole del gioco: parola giusta nel verso giusto. Quel ritmo che è nato con l’uomo e che l’ha sempre accompagnato in qualsiasi momento della attività creativa. Scrivere  poesia non è semplice, basta solamente conoscere e sentire i patemi che dentro dettano, e la natura deve solo servire di aiuto: lo può fare offrendo i suoi policromi incanti che tanto sanno di vicenda umana. Naturalmente tocca alla parola contenere il tutto in argini ben solidi, a ché non si cada nella palude di melliflue e scadenti confessioni.      

Nazario Pardini         


38 commenti:

  1. Per essere davvero e coerentemente "impersonale", una poesia dovrebbe innanzitutto essere anonima, cioè non essere firmata. Che l'aspetto soggettivo sia ineliminabile è provato proprio dalla pluralità delle poetiche (e la NOE è una di queste) che si sono succedute, si succedono e sempre si succederanno negli orizzonti artistici e letterari. Per questo occorrerebbe frenare la tentazione ideologica, pur comprensibile, che tenta di ridurre ad un solo aspetto le infinite possibilità espressive della poesia. Se è vero che il soggetto non può essere eliminato dall'espressione poetica, non si può certo misconoscere che esistono aspetti detestabili del soggettivismo (mi riferisco ad esempio al bolso sfogo intimistico) che andrebbero opportunamente evitati. Così come esistono aspetti esecrabili dell'oggettivismo, quando e laddove, in nome delle cose, si tenta di cancellare la presenza stessa dell'essere umano. Non esiste un'arte che, parlando dell'uomo, non parli del mondo intero; così come non esiste un'arte che, parlando del mondo, non parli dell'essere umano. Come al solito, è il manierismo la vera disgrazia della poesia, quel manierismo che purtroppo la fa quasi sempre da padrone.
    Franco Campegiani

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    1. Condivido il pensiero di F. Campegiani e apprezzo la sua convincente capacità argomentativa, compresa la presa di distanze dal sentimentalismo intimista e dall'idolatrato oggettivismo. Il rapporto tra noi e le cose è biunivoco e spartisce e condiziona il nostro mondo interiore. Ciascuno di noi costruisce mediante gli oggetti- anche lo stesso Pardini, se si legge davvero la sua poesia- , larghi tratti di storia personale.
      Le cose ci sopravvivono e, come dicono benissimo due versi conclusivi di una poesia di Borges, «Dureranno più in là del nostro oblio;/ non sapran mai che ce ne siamo andati»...purtroppo, ma noi non possiamo far a meno di riconoscerle, non solo attraverso il valore d’uso degli oggetti, ma soprattutto attraverso le emozioni, i ricordi, la poesia, la frequentazione quotidiana... Le cose generano quella concretezza di vita in cui ci identifichiamo, per non essere sommersi dall’angoscia in un mondo che spesso non ci offre altri riferimenti. Le cose sono testimonianza delle nostre scelte, della nostra storia, la nostra espressività: si può pensare a Linus senza la sua coperta, a Proust senza la sua madeleine…. E viceversa?

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    2. Rispondo qui per dare continuità a ciò che più m'interessa: "...Non esiste un'arte che, parlando dell'uomo, non parli del mondo intero; così come non esiste un'arte che, parlando del mondo, non parli dell'essere umano. Come al solito, è il manierismo la vera disgrazia della poesia, quel manierismo che purtroppo la fa quasi sempre da padrone." - scrive Franco - e Maria Grazia parla di "presa di distanze dal sentimentalismo intimista e dall'idolatrato oggettivismo".
      Ritengo superfluo aggiungere altro; se non una cosa: la poesia - qualunque forma essa assuma - è tale non se corrisponde alla nostra idea ma alla sua.
      Quale? L'Idea di farsi e farci riconoscere.

      Sandro Angelucci

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  2. Totalmente d'accordo. Applausi.
    Maurizio Donte

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  3. RICEVO E PUBBLICO:

    Ben fatto! Siamo tutti con te!
    Buona notte.
    Edda

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  4. Penso che anche in poesia serva equilibrio. Credo che l'aspetto soggettivo non possa essere del tutto eliminato, ma guai a cadere nell'eccessivo sfogo intimistico. Per quanto riguarda l'oggettivismo, credo che il poeta possa esprimersi attraverso le cose per manifestare dei sentimenti. Così come può farlo attraverso la bellezza della natura, che come afferma il nostro Nazario, essa è fonte di policromi incanti che tanto sanno di vicenda umana. Serenella Menichetti

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  5. RICEVO E PUBBLICO:
    Caro il mio Don Chisciotte, non ti scaldare tanto. Lo sai che io sono completamente d'accordo con te ma nell'immensa pletora dei poeti o sedicenti tali ci sono anche coloro che non conoscendo assolutamente le “regole” della poesia si atteggiano a novelli Danti Alighieri. Sai la soddisfazione di farsi chiamare “poeta”! Io ne conosco tanti e spesso ho dovuto aggiustare, per obblighi di amicizia e in forma assolutamente anonima, terribili pensierini colmi però in questi casi di fiorellini, stelle e luna. Perché dico non ti scaldare, in quanto queste persone, con le loro idee, non fanno male a nessuno. Vogliono solo acquisire quel poco di notorietà che non riescono ad avere in altro modo. La poesia, la vera poesia non morirà per questo. Ho sempre presente, però quello che mi disse un mio amico pittore a proposito di Picasso ossia che per dipingere come Picasso seconda maniera, bisognava sapere dipingere come faceva lo stesso artista nel periodo rosa o quello blu cioè conoscere e riprodurre le tecniche fondamentali della pittura. Sanno i seguaci di questa nuova corrente scrivere un testo nell'aborrita forma dell'ancien régime? Un testo che piaccia ai bacchettoni come noi? E soprattutto rimarranno Luzi e Montale o rimarranno loro nei secoli a venire? E poi io ho sempre sostenuto che scrivere in un modo o nell'altro è “catarsi”, è sentirsi soddisfatti, purificati, in pace con Dio e con gli uomini. Perché privare qualcuno che non la pensa come noi di questo enorme piacere?

    Carla Baroni ovvero il tuo Sancho Panza

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    1. RICEVO E PUBBLICO

      De criticis

      PRIMA PARTE

      Diceva mia nonna: chi ti stima te lo dice in pubblico e non a tu per tu.
      Ok, dunque parlo in pubblico, anche se dovrai pubblicare tu, Nazario, il mio commento poiché non riesco ancora. Grazie.
      Ultimamente è tornata a galla, ad opera di chi prima non sapeva, una vecchia quaestio di Giorgio Linguaglossa sulla poesia in genere e sul genere pardiniano. Non dico quaestio a caso. Ma sì, il genere pardiniano (eh eh, è un genere) l’ho visto criticare aspramente anche da un altro, prontamente mandato a Defecatio vespertina qui ducit hominem ad ruinam . Guarda caso questo tizio che si spaccia per critico letterario non sa scrivere un solo verso in metrica. Eh beh, se all’artista è concessa la genialità al critico non è concessa l’ignoranza.
      Io ancora non ho capito se è la stessa vecchia critica pubblicata da Giorgio Linguaglossa sul suo blog o se è una nuova uscita. Proprio l’altro ieri, con un caro amico comune parlavo di questa storia. Tant’è, però, che prendendo te, Nazario, a emblema di una poetica da contestare, ti eleva ad alto rango. E tu di alto rango sei, tanto che se avessi un po’ di umiltà non dovrei neppure nomarti mio maestro (tale pratica presuppone che ci si metta al fianco seppure un paio di passi indietro). Che ti voglio dire con questo? Un sacco di cose che tu comprenderai. Qui mi pare che si voglia provocare un dibattito, una sana reazione. Giorgio dice cose per provocare, fa e poi disfa. Critica e poi dice che non esistono i critici
      (CONTINUA)

      Patrizia Stefanelli

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    2. SECONDA PARTE

      Piccioni

      Bianchi, bigi, rossi, sopra il tetto
      si assiepano, la testa fra le piume,
      a tu per tu col vento. Sono liberi.
      Appena il sole sbuca da levante
      scuotono il manto e volano decisi
      sui campi a becchicchiare qualche seme.
      Svolano sulle foglie delle viti,
      sugli stecchi crocifissi delle piante,
      su tutto ciò che è avanzo dell’autunno.
      Hanno solo l’istinto. Il loro volo
      rompe i raggi lucenti e stampa in basso
      ombre vaganti; e con gli schiocchi
      batte dell’ali il tempo della vita.
      Se getti le granaglie sul cortile
      accorrono in picchiata; e via nell’aria
      o sul suolo a tubare calorosi
      in cerca dell’amore. Libertà,
      spazi aperti, profumo di granturco,
      rapina di micragne; anche la pioggia
      per loro è acquasanta; li battezza,
      scivolando sul dosso come l’aria. (…)

      Davvero questa è la poesia di uno speleologo? No! Oltre i piccioni c’è molto di più. C’è la forza di una profonda riflessione ontologica. Il piccione è quel che è, non si chiede cosa fare e come, non ricerca fama o fortuna, vive, si nutre e muore così come deve essere. C’è, in quei versi uno spiccato esempio di nuovo umanesimo volto alla metafisica ricerca dell’oltre uomo, altroché. Una ricerca che lo riporti all’essere primo, a quell’innocenza del bambino libero dai sedimenti che la vita vissuta impone. Si evince bene dalla poesia quanto il Pardini dia rilievo al concetto di “libertà”. I frammenti ci sono eccome in una memoria che fa uso di una sintassi chiara e pulita, di lessemi semplici e non di un assurdo citazionismo significante soltanto nella testa di chi lo scrive. Trovo assurdo Mario Di Gabriele, l’ho già detto e lo ripeto. Chi sono io per dire questo? Nessuno, ovviamente. Sono una che riesce a dire che l’imperatore è nudo.

      Sono lì, li vedi di pedina,
      vivi, trepidanti, nell’attesa
      di nuove corse da donare al cielo.
      E poi la morte. Dove andranno a morire
      quando la sorte tocca?
      Non ce n’è traccia. Sarà forse il destino
      a riservare loro un angolino?
      (13/10/2017)


      Tuttavia, Giorgio Linguaglossa stimola, con le sue note, una ricerca verso una poesia che riesca a staccarsi dalle citazioni diaristiche, dall’uso della forma contenitore nella quale mettere di tutto con la speranza che la rima possa salvare il canto. Sappiamo bene che non è così, anzi, Poeti “nuovi” insegnano quel che mi piace molto, e che io chiamo “la voce spezzata”, come quella che si usa in teatro. L’armonia piegata alla vita, alle difficoltà di una voce che deve esprimere incertezza. Il destino, di cui il Pardini parla, non è il deus ex machina che giunge a mettere ordine in tutte le cose ma è la morte che arriva per tutti e per ognuno trova il suo posto e il suo tempo. Per forza. Il Pardini ha, a mio avviso, la capacità che hanno pochissimi di usare il verso del racconto per erigere ogni lessema al rango della più alta significazione e cioè al rapporto tra significante e significato. In semiotica, ci insegna Eco, questo consente al destinatario della comunicazione di cogliere sia l’aspetto ontico sia l’aspetto interpretativo del messaggio poetico.
      Ad multos annos!

      Patrizia Stefanelli


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    3. Un intervento pulito, netto in cui la Stefanelli non nasconde la faccia in locuzioni ibride e poco chiare; un intervento in cui decide di dare del suo appellandosi a una potenza culturale di notevole valenza; giungono prima o poi momenti in cui uno deve mostrare coraggio nel rivelarsi per quello che è e che sente. Patrizia lo fa arditamente, senza preamboli, a viso aperto, partorendo, secondo me, il miglior commento fra quelli qui postati.

      Nazario

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  6. RICEVO E PUBBLICO

    PRIMA PARTE

    In questo periodo, essendo preso da impegni che non consentono dilazione e che Nazario ben conosce, non ho seguito il nostro blog con la necessaria continuità e attenzione. Così, alla lettura della critica di Nazario nei confronti di Linguaglossa, mi sono chiesto se mi fossi perso qualche passaggio importante. Così sono andato dopo tanto tempo sul blog “L’ombra delle parole”, mi è capitato di leggere un post sulla poesia del nostro Amico, firmato da Linguaglossa e datato 11 agosto 2018. Dico subito che non so quanto questo articolo c’entri con la presa di posizione di Nazario. Forse nulla o quasi. Comunque il taglio del pezzo manifestava la solita ambiguità di giudizio che Giorgio riserva a chi non la pensa come lui. Ma, al di là di ciò, mi hanno indisposto un paio di commenti, tronfi e supponenti, di individui per i quali la definizione di “poetini” supererebbe di gran lunga i loro meriti reali; di individui dei quali mi piacerebbe conoscere qualità e quantità di frequentazioni letterarie in termini di letture e di opportuna rimeditazione delle stesse.
    Ma veniamo al cuore del problema. Linguaglossa, parlando della poesia di Pardini, l’ha più volte definita “anacronistica”. Ora “anacronistico” in lingua italiana significa “fuori del ( o sopra il, o contro il ) tempo”; ed è interpretabile in due sensi, uno positivo, l’altro negativo. Linguaglossa gioca con i due sensi, ma poi lascia trasparire la sua propensione per il secondo. Va bene, mi dico, ci può stare. L’idea che s’è fatta è sua e, per me, è libero pure di tenersela stretta stretta. Siamo in un paese democratico. Quello che non è assolutamente tollerabile è il tono che lui e i suoi pretoriani usano nei confronti di poetiche e di poeti lontani da loro. Ma bisogna capirli. Essi hanno scoperto l’acqua calda del “frammento” che, comunque lo si condisca, frammento è e frammento rimane, e non è precisamente una loro scoperta, se ha avuto largo spazio nella poesia di ogni tempo e di ogni luogo; hanno “scoperto” il verso lungo, dimenticando ogni specificità metrica della poesia italiana, finanche quella che consente addirittura la possibilità del doppio novenario (che sono la bellezza di diciotto sillabe); hanno “scoperto” la poesia prosastica o la prosa poetica, dimenticando che la sola letteratura italiana (per non parlare d’altre) ne offre esempi abbondanti; hanno “scoperto” il citazionismo - ottima sponda per chi non ha stimoli per dire-, ammiccano per analogie e allusioni, calembour e bisticci, paradosso e contraddittorio; hanno “scoperto” che la poesia ha bisogno di filosofia, ignorando che la poesia - quella vera - è già in nuce una forma di gnoseologia; e non considerando che ogni singolo poeta ha un suo pensiero, maturato con gli studi e con la vita; hanno “scoperto” prima Czesław Miłosz, poi Tomas Tranströmer, ma chissà quanto hanno letto dei grandi poeti della letteratura italiana (e anche straniera)...

    CONTINUA

    Pasquale Balestriere

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    1. A PROPOSITO DEL NUOVO A TUTTI I COSTI:
      Mi appare comprensibile che. in una società come la nostra, che insegue il nuovo ad ogni costo come se fosse un valore di per se stesso, si cerchi in tutti i modi la rottura col passato. Siamo infatti in un'epoca che vorrebbe azzerare - spesso con ragione - molto di esso, ma bisogna stare attenti a cosa va eliminato, altrimenti, come si suol dire, si rischia di “gettare via il bambino con l'acqua sporca”. E tra l'altro, un sovvertimento di valori che durarono secoli e millenni, non può avvenire senza squilibrio e senza dolore per ogni singolo individuo di una stessa società. Una tale demolizione e sostituzione non può che essere un processo lento e lungo poiché “tagliando di colpo il ponte”, si rischia il precipizio.
      Così è per tutto, ed anche per l'arte, per la poesia. Non dobbiamo prefiggerci la rottura col passato e il nuovo ad ogni costo: sperimenteremmo lo stesso naufragio delle avanguardie novecentesche.
      Le scelte, in tal senso, dovrebbero non essere iconoclaste, ma ben ponderate. La ricerca, in ambito letterario e artistico, non dovrebbe mai divenire sperimentalismo, non dovrebbe mai essere una ricerca esterna, di linguaggio e di forme nuove, che precede o è al di fuori della nascita stessa dell'arte. Ma, soprattutto per quel che concerne la poesia, dovrebbe generarsi al suo interno, nel momento del suo farsi, nel travaglio del suo stesso nascere. E non potrebbe che essere la ricerca di un adeguamento, il più possibile fedele, alla realtà che in noi urge per venire al mondo.
      Il nuovo si costruisce da sé in noi, perché noi siamo parte integrante di ciò che incessantemente muta, siamo parte integrante di una società, di un mondo e di un linguaggio che mutano, che sono in perenne divenire. Anzi, sarebbe più esatto dire che noi stessi siamo tutte queste cose nel loro stesso incessante divenire. Perché è vero che noi siamo nel mondo, ma è altrettanto vero che il mondo e gli altri sono in noi, sono noi. Perciò, per ricercare il cambiamento, guardiamoci dentro: il passato, non può essere tolto, non può essere spazzato via di colpo senza che demolisca noi stessi, che siamo anche il nostro passato. Perciò, piuttosto che demolire di colpo, a priori, lasciamo che il nuovo si produca in noi, senza forzature, in modo naturale. Perché è naturale che ciò avvenga, ed avviene sempre e comunque, persino quando noi stessi non ne siamo ancora del tutto consapevoli.
      Soprattutto nell'ambito della Poesia, non possiamo demolire, sic et simpliciter, le regole che la governano. O per farlo, dobbiamo sostituirne di nuove con valide motivazioni, dobbiamo sostituirvi qualcos'altro che nel frattempo abbiamo maturato e assimilato come essenziale alla poesia stessa. Perché esse -le regole- sono tuttavia necessarie, rappresentano la misura che è della nostra anima, i canoni che il poeta si è imposto e si impone, che sono suoi - spesso solamente suoi - parte integrante della sua poesia e del suo spirito. Ma ci sono, sono quelli. Sono la singolarità stessa della sua poesia, la sua originalità e dignità, quello che, nella prosa, potrebbe essere definito “stile”, e nella poesia costituisce il suo stesso afflato, la sua “anima”.

      Scusate, se per avere troppo poco tempo a disposizione, sono intervenuta servendomi -con ridottissimi aggiustamenti - di un pensiero pensato e scritto un po' di tempo fa. Spero, comunque, che non vi sia apparso troppo astratto e che, almeno per linee generali, sia rimasto fedele all'argomento di questo dibattito.

      Rossella Cerniglia




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  7. SECONDA PARTE

    Per capire la presunzione dei seguaci della NOE, si guardi solo l’incipit di quello che a me pare un manifesto della loro poetica: “La nuova poesia italiana getta alle ortiche la moda dei discorsi che parlano con banalità dell’«io», delle sue adiacenze e del «tu». La poesia ricomincia daccapo”.
    Quanta sicumera, mi viene da osservare. Questo “pronunciamento” è salvato in parte dall’espressione “la moda dei discorsi che parlano con banalità”. Tuttavia qui è evidente la prosopopea degli indotti che ignorano che l’io è ineliminabile, che essi possono al più dissimularlo, come fecero i veristi in Italia e i realisti/naturalisti altrove, ma mai cancellarlo. Perché l’io è il soggetto pensante, è l’uomo, niente altro che l’uomo.
    Volendo, potrei molto diffondermi su concetti della NOE, come « il “tempo interno” delle parole, “linee interne” delle parole (non la semantica esterna), il «fattore spazio», l’impiego intensivo della punteggiatura ...(lo) spazio interno (della parola), il silenzio e l’organizzazione del silenzio », terminologia, questa, che i seguaci della NOE usano a profusione, ma non so con quanto discernimento.
    Ma, per ritornare a Pardini, devo annotare che Linguaglossa e i suoi seguaci non sono mai stati sfiorati dal dubbio che nell’universo delle patrie lettere sia legittima l’esistenza di un altro modo di far poesia, anzi di tanti modi di far poesia; di tanti altri mondi, fisici e poetici, diversi -giusto per dire- dalla Roma del Colosseo e degli scandali; di tante altre realtà ed esperienze, di tanti modi di essere, di porsi, di sentire. Nazario con la sua poesia, densa, commossa e ricca di humanitas, sempre affabulante e pervadente, ci narra una realtà di cui ha cognizione e memoria; e questa realtà, così pregna di fatica, di valori umani, di affetti, di bellezza non ha diritto di cittadinanza in poesia? E Pardini non ha il diritto/dovere di testimoniarla?

    CONTINUA

    Pasquale Balestriere

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  8. TERZA PARTE

    Come già ho scritto in passato, confesso che in qualche modo mi stupisce e un po’ mi preoccupa e mi irrita questa atmosfera intollerante e quasi talebana che già alcuni anni fa avevo notato e che ora ho ritrovato su “L’Ombra”, in base alla quale chi la pensa diversamente dai suoi frequentatori viene messo alla gogna e indicato come un rudere indecente, un sopravvissuto impresentabile. È un atteggiamento che contesto e respingo con tutte le mie forze, una visione riduttiva e manichea perché, secondo la mia opinione, la poesia non ha bisogno di etichette, è plurale e polisemica per posizioni, forme ed esiti. Ognuno scelga la sua strada e la percorra, senza isterismi. E, per me, oltre tutte le scelte e le soluzioni, i versi lunghi e la tridimensionalità della poesia, è necessario che ci sia il poeta. Se manca questo, ogni discorso si fa salottiero e inutile. E il poeta, se è veramente tale, non ha bisogno di norme, regole, scuole, ché tutte le riassume e supera. E Pardini è un vero poeta. Senza discussioni.
    Ma infine che poesia è quella della NOE? Cosa hanno costoro da insegnare (e a chi) con quei pensierini della sera estrapolati di qua e di là, giustapposti alla bell’e meglio per stupire il lettore con formule ossimoriche e paradossali, allestendogli un piatto freddo con gli intrugli più disparati che possono giungere, nei casi migliori, all’intelligenza, ma mai al cuore, e realizzando una poesia dis-umana sotto il profilo degli affetti e macchinosa per quanto riguarda l’essenza del dire creativo?
    E già che ci siamo, chiariamo telegraficamente il punto di vista del nostro blog sulla poesia.
    Innanzitutto per noi la poesia la fanno i poeti, non le teorie né i manifesti. Perché, anche le “poetiche” sono un fatto successivo all’atto creativo. In altri termini, la poesia è anteriore ad ogni sua formulazione teorica. Per noi la poesia, quella vera, ha bisogno, per erompere, di scosse più o meno violente, di emozioni intense, di uno stato di grazia che non a tutti e non sempre è dato; e, naturalmente, di buoni percettori e interpreti, insomma di buoni poeti. Non crediamo alle scuole poetiche né agli scolastici che si atteggiano a poeti.
    Per il poeta deve esistere un solo legame forte, anzi indissolubile: quello tra poesia e vita. Inoltre chi scrive versi non si deve porre fini o scopi puntuali, perché è l’urgenza della vita a dettare significanti e significati poetici, a determinarne accensioni e ricadute, a guidargli la mano.
    Per noi la poesia è ritmo, armonia, musicalità, emozione intensa e profonda, grazia, bellezza, verità, forza e tante altre cose; e reclama il suo linguaggio e la sua misura. E anche delle regole. Che se poi vogliamo scrollarci di dosso ogni norma solo perché ci appare come un dogma o un’inutile costrizione, allora uno può prendere qualsiasi strada, che quasi mai però è quella della poesia. In tal modo può anche capitare che l’accapo lo detti la pagina, se non lo sceglie il poeta. Ma, al di là di tutto, la poesia è determinata dalla forza e dalla qualità del suo creatore. Da nient’altro. Questa è, per sommi capi, l’idea che noi di Leucade abbiamo della poesia. E ribadisce i concetti che Nazario, a cui vanno i sensi della mia stima più profonda, ha degnamente esposti nel suo intervento.
    Dopodiché lunga vita a chi la pensa diversamente. Ma lunghissima a noi.

    Pasquale Balestriere

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  9. GRANDE MAGISTERO QUESTO DI PASQUALE; GRANDE INSEGNAMENTO CHE VALE PER TUTTI SOPRATTUTTO PER LA LINGUA DI GIORGIO CHE DICE E NON DICE, CHE SA E NON SA, CHE PARLA E SPARLA, CHE NON HA, ASSIEME AI SUOI ADEPTI, LA PUR MINIMA IDEA DI COSA SIA LA VERA POESIA. IL NOSTRO E' IL MOVIMENTO DI LEUCADE TESO ALLA TUTELA DELLA BUONA POESIA, PUR RISPETTOSO DI OGNI FORMA ESPRESSIVA, DI QUELLA LIBERTA’ CHE LA POESIA STESSA PRETENDE.

    Nazario Pardini

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  10. Questo dibattito lo affrontammo in passato e assistere a Nazario 'schierato' mi ha colpito, in quanto ho compreso quanto è rimasto ferito dall'attacco gratuito al suo lirismo. La sua disamina sul senso della poesia è esaustivo e i commenti dei critici letterari che mi precedono rappresentano tributi obiettivi e completi. Io posso asserire che ho rinunciato a dirmi poetessa perché dopo sei volumi di versi ho compreso che l'intimismo è catarsi non sempre condivisibile e, comunque, esclude il talento. Diverso è il discorso per il lirismo intimistico, che inevitabilmente contiene il sociale, il civile e molto altro. Seppi rinunciare a un'arte che vivevo a modo mio e che poteva essere amata dai parenti, dagli amici, talvolta anche dagli organizzatori di premi letterari... si sa che è diffusa la propensione a dispensare coppe, targhe e altro. Tornando alla questione del senso della poesia non credo sia possibile definire tale la NOE, che forse, a causa dei miei limiti, non riesco a identificare. L'ispirazione non è forse la base indispensabile per scrivere? E non è vero che 'si nasce poeti'? Poeti con il proprio bagaglio e i bagagli delle stagioni vissute. Non riesco a immaginare un poeta che non sappia riconoscere un distico, che non ricorra al ritmo, che viaggi verso l'astrattismo assoluto. Si è liberi di scrivere secondo la propria natura, ma occorre dar vita a versi, non ad 'un viaggio verso il nulla', come scrive Nazario. Quando leggo una lirica del nostro Condottiero o di Sandro, di Franco, di Patrizia, soffro, gioisco, mi emoziono, spesso mi commuovo. Da non poetessa ho la certezza che la poesia debba arrivarmi, esattamente come una pittura, una scultura, un romanzo. La Cultura può definirsi tale se forma, arricchisce e rende liberi. Perdonate la semplicità del mio intervento, ma sentivo l'esigenza di unirmi a Nazario e a tutti voi. Grazie e un abbraccio circolare!
    Maria Rizzi

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  11. RICEVO E PUBBLICO

    Riportare la cultura nel suo vero ambito, senza polemizzare con argomenti estranei al mondo intellettuale e letterario, nel rispetto di ogni libertà espressiva, significa essere intellettuale puro.
    Perciò l'ammiro...
    Nazario Pardini, grande e nobile intellettuale, testimonia la ricchezza culturale e artistica e irradia la fioritura poetica concepita dalla luce che sgorga, in bellezza, dalla sinfonia, dall'armonia del cuore.

    Un caro saluto.
    Rita Fulvia Fazio

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  12. Cara Carla,
    ti rispondo utilizzando impropriamente questo spazio. Non ti ho risposto perché (spero momentaneamente) il computer non mi funziona. Comunque non me la posso mai prendere a male quando certo osservazioni mi vengono da persone che stimo...

    Nazario

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  13. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimo professore Pardini, ho appena letto la sua critica a Linguaglossa, e, per quanto possa contare la mia opinione, mi va comunque di condividerla.

    Da quattro anni la poesia mi si è avvicinata, non sono certo andato a ricercarla io, non sapendo cosa fosse, chi fosse, e s’io ne fossi stato degno. Chi fosse! Perché al di là delle parole, sarò uno stolto pensatore a pensarla in questo modo, credo che la poesia sia la voce di un mistero, a cui i poeti prestano le parole, la propria esperienza di vita, la propria conoscenza, uno sguardo capace di afferrare un’invisibile percezione, interna ed esterna. La conoscenza si migliora, e serve a migliorare la capacità di vedere, e di ascoltare. Serve a poca cosa salire sulla cattedra! Ci si deve rendere conto che oltre al proprio ego, al proprio intelletto, esistono anche quelli degli altri. A meno che non ci si convinca che tutto il resto del mondo sia ignorante!
    Lei è stato un punto di riferimento per me, che non ho mai smesso di leggere, fino a quando ho capito, anche grazie alle sue private mail, che la poesia va al di là di regole e di sillabe, di oggettivo e universale e relativo manieristico. Scrivere è diventata un’esigenza, e io la ringrazio per avermi aiutato, io che ero e sono un perfetto sconosciuto, a farmi meglio comprendere il significato della parola poeta, prima ancora che di poesia, significante, quest’ultimo, ad ampia interpretazione, inter e intus poetas: dipende sempre dal momento, e dal gioco delle convenzioni, o delle parti, che dir si voglia. Come giustamente ha scritto già qualcuno, in fondo i poetini scrivono e, aggiungo, fanno bene alla platea dei grandi, di alcuni così detti grandi (altrimenti chi li definirebbe tali? Chi incrementerebbe l’estensione dell'ombra, per non parlare del quid in tasca?). Alcuni critici farebbero bene, a mio modesto parere, a valorizzare il significato, il mistero sonoro di una voce. Perché di questo, per me, si tratta: un canto. Sarebbe davvero più bello se si cantasse uniti, purtroppo nei cori ci sarà sempre la voce che lacera le proprie corde. Ed è un peccato! È un peccato che chi ha molto da offrire, da rendere a testimonianza per l’incontestabile cultura, finisca per stonare; è un peccato che molti "grandi", e parlo con cognizione di causa, scrivano recensioni a suon di quattrini, o scrivano di autori che, col dovuto rispetto, non discriminano un congiuntivo dall'indicativo, e ai premi tanto criticati e ritenuti inutili, prestano il loro nome, e favoriscono gli amici. Quando questo avviene, allora mi chiedo il senso della poesia, o almeno di questa poesia. Siamo sicuri che lo sia? Perché la poesia, come ho già detto, e sono fermamente convinto di questo mio modo di vedere, si costituisce di ascolto e capacità di vedere, di conoscenza e filosofia, di gnoseologico strumento, ma rimane comunque un mistero, un’anima con voglia di parlare, di fustigare e denunciare, dipingere e suonare, accarezzare e convertire. E credo fermamente che l’intellettualismo non corrisponda alla poesia. Si può essere molto colti, molto eruditi, si può conoscere un’infinita sfera semantica, ma non è detto che la cosa in sé abbia il potere di dipingere, e di suonare, di comunicare e condividere un mistero. Io la ringrazio, professore Pardini, per avermi stimolato, ospitato sempre sull'isola, per avermi recensito, e sempre gratuitamente, per avermi esternato la sua stima e per aver incrementato la mia autostima, che mai si sazia della voglia di imparare. Lei è un POETA.

    Emanuele Aloisi

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  14. Se non erro nel Marzo/Aprile del 2014 (ero appena entrato a far parte di Leucade)si venne a creare lo stesso dibattito di oggi e sempre per le medesime motivazioni. A me pare che noi tutti di Leucade, ignari, siamo caduti nella trappola ordita, sapientemente, dal nocchiero a noi antagonista. Volutamente ha appiccato la miccia per constatare poi l'effetto desiderato: quello di mettere in risalto sia l'autore ché la sua idea di nuova poesia ovvero come sarà (a suo avviso) la poesia del domani. Pertanto, il fatto che il caro Prof. Pardini, nella sua Leucade, abbia dato sfogo per il dileggio subito alla sua poesia; che tanti frequentatori, collaboratori e lettori di Leucade hanno sentito l'impellenza di intervenire non solo a supporto del prof. Pardini (ma Lui non ne ha certo bisogno) ma anche e soprattutto a supporto della NOSTRA poesia o meglio al nostro modo di fare poesia dove il sentire interiore non deve e non può scadere mai nel "sentimentalismo" torni a Suo vantaggio. Che fare allora? Semplicemente, lasciarlo cuocere nel proprio brodo come si dice dalle mie parti, ignorarlo, che porti avanti liberamente la propria idea di poesia, consapevoli noi che, immancabilmente, non lo porterà lontano perchè sarà fuoco di paglia. Pasqualino Cinnirella

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  15. Nazario Pardini in poche note di spessore di indubbia profondità testimonia il valore "naturale" della creatività poetica che non ha bisogno di ontologismi estetici ne di filosofie astratte e contorte.
    Solo la natura della persona umana può dettare le regole inalienabili del poetare: quella natura che Pardini compendia nelle parole e vive "quotidianamente" nella realtà del proprio essere artista.

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  16. RICEVO E PUBBLICO

    Tra tanti illustri commenti, quello più sensato è quello di Pasqualino Cinnirella: per difendere il Nostro - che non so quando e come è stato attaccato - siamo caduti tutti nella trappola di pubblicizzare un libro che molti di noi, io per prima, non sapevamo neanche che esistesse.L'aforisma che Oscar Wilde dice per bocca del suo personaggio Dorian Gray NON IMPORTA CHE SE NE PARLI BENE O MALE. L'IMPORTANTE E' CHE SE NE PARLI qui ha esplicato tutta la sua estensione perché oltretutto qualcuno ha espresso tra le righe che qualcosa di Linguaglossa è accettabile. Allora, popolo di Leucade, parlate un po' male anche di me. Ho un immenso bisogno di pubblicità.

    Carla Baroni

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  17. Un grazie alla Carla Baroni per l'apprezzamento rivoltomi e colgo l'occasione per approfondire quanto sopra da me scritto, anche se implicitamente è al suo interno e cioè: che con il presente dibattito stiamo dando molta ma molta "importanza" (a mio avviso immeritata e inopportuna) al nostro antagonista in qualità di autore ma soprattutto al Suo concetto di poesia e modo di fare poesia, mostrandogli così il fianco per il suo galoppare verso noi palesando un senso di paura come se venisse a conquistare chissà quali spazi poetici a noi assegnati. Se è vero come è vero che la poesia è fatta dall'uomo e per l'uomo, suo simile, e non certo per i Robot, quel senso di paura non mi sfiora minimamente poichè, convinto come sono, una poesia che non si proietti, che non parla all'essere umano è inevitabilmente una poesia "fredda, amorfa, senza humus, una pietra secolare inerte e inerme e pertanto a medio o anche a lungo termine non potrà che avere la sua fine. Pasqualino Cinnirella

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  18. TRATTO DA LEUCADE

    L'idea iniziale era di stilare un breve commento su una delle poesie de “I dintorni della solitudine”, l'ultimo libro di Nazario Pardini dopo che, per buona ventura, ne ho trovata una silloge su internet. Poi m'è caduto l'occhio su un articoletto che l'accompagna nel quale, in pratica, si loda lo splendore del modernismo, si butta via, o giù di lì, quello che non pare in linea con la tecnica, il mediatico ecc e si definiscono i versi fioriti nel “ campo minato della tradizione” come imbalsamati e infarinati nella propria purezza apollinea. Parola più, parola meno il senso è questo...non è che alla fin fine l'articolo avesse per me un valore particolare per cui ne ricordo pochi frammenti, ma sufficienti a chiedermi se il dotto autore conosca la differenza fra vecchio ed eterno. La poesia di Pardini si innesta su quel filone che cerca l'armonia del verso e canta la natura e l'uomo. E non è quello che i poeti hanno sempre fatto da Mimnermo, Saffo e ancor prima? Sono valori imbalsamati o sono eterni? Forse qualcuno di noi cresce su un terreno che nessuno ha vangato e seminato? Mangia aria, oppure mangia pane che altri hanno preparato? Scende vergine dal cielo portando nuove rivelazioni? Siamo animali; e come tali parte del ciclo delle stagioni; ne siamo influenzati ed è vero che la natura può consolare e lenire le ferite. Non credo che chi si sente giù di corda trovi più sollievo nel sedersi in contemplazione di un rubinetto pur se modernissimo ed utile e bello ( non certo “ poetico”) che nel camminare tranquillo in campagna, o nel guardare due piccioni che fanno quello che gli pare o un paio di galline grasse, lustre e colorate che razzolano. La poesia è nelle cose che non cambiano, che non sono mai cambiate, è nelle cose semplici, in quello che ci avvicina alla terra perché noi siamo fatti di terra e nella terra riconosciamo la nostra stessa natura. La poesia di Pardini è molte cose, e fra queste è anche poesia della natura , degli affetti che ci hanno forgiato, della memoria, e la memoria è quello che ci rende ciò che siamo sia individualmente che collettivamente, che ci fa uomini, la sola arma che abbiamo contro il nulla. La religione della memoria è in ogni poeta, è in tutti, e la poesia del ritmo, dell'armonia, del battere e levare viene da lontano, ed ha fatto così tanta strada da non fermarsi di certo di fronte a chi vorrebbe metterle un fuscello fra i piedi. Gli passerà sopra ed andrà oltre col suo solito sorriso.

    Lidia Guerrieri


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  19. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimo Nazario, desidero rinnovarTI la mia stima, condividendo pienamente il Tuo pensiero espresso relativamente al concetto di “Poesia”.
    A mio avviso la “Poesia” è l’espressione di in sogno dipinto con i colori delle emozioni che altro non sono se non quelle di un vissuto nel trascorrere di ogni attimo, e nello stesso tempo, il viatico per rievocarne memorie.
    Nel momento in cui il “Poeta” percepisce una emozione, la trasforma in pensiero e poi in parole, bene quello è l’espressione di lirismo puro per la gioia di donarlo ad altri.
    Identifico nel “Poeta” la fantasia di un viandante di sogni che legge, nelle nubi cullate dal vento, sensazioni che ricamano immagini disperse in un altrove indefinito di silenzì che non fanno rumore, ma possono dare risposta a tutto.
    Queste sono le sensazioni che il mio sentire mi suggerisce di esprimere, confortato dagli unanimi consensi espressi da prestigiosi collaboratori di Leucade che hanno condiviso il Tuo pensiero.
    Un affettuoso abbraccio aTe, Nazario, mio “Nocchiero”, ed un caloroso saluto a tutti i collaboratori che, con assidua partecipazione, fanno si che Leucade sia, e sarà sempre, meta di chi ama la “Poesia”.

    Lino D’Amico

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  20. RICEVO E PUBBLICO

    PRIMA PARTE

    E ci risiamo.
    Già nel lontano 2014 affrontammo a muso duro G.L., che relegava il lirismo di Pardini in “un lontano passato… un mondo scomparso, naufragato”… “ un mondo stilistico e storico che si è inabissato”.
    Preciso che nel portare avanti le mie considerazioni farò riferimento ad alcuni passi percorsi nel trascorso dibattito, e affinché si possa seguire senza affanno il filo del discorso invito il lettore a sfogliare di nuovo quelle pagine:
    http://nazariopardini.blogspot.com/2014/03/roberto-mestrone-intervento-su-la-poesia.html
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/03/11/una-poesia-di-nazario-pardini-commentata-da-giorgio-linguaglossa/
    Non comprendevo allora (e tuttora continuo a non capire) il desiderio maniacale dei seguaci di quelle forme d’Arte avanguardiste (?) che – decretando il tramonto delle visioni elegiache e delle sensazioni intrise di panismo – consideravano Poeta Vero colui che si ingegnava ad essere coniugato col Bello evitando forme e stili “anacronistici” (termine, quest’ultimo, che tuttora considero gratuito e dispettoso, altro che di “aspetto altamente positivo”!).
    E oggi (scusate se solo oggi me ne accorgo) è nata una nuova stella: la N.O.E. .
    Naturalmente è cosa buona e giusta, per i fondatori di una corrente letteraria contemporanea, officiare un battesimo di alto rango ricorrendo alla scelta di un acronimo a guisa di quelli adottati da una società commerciale per distinguersi sul Mercato o per personalizzare un prodotto di prestigio.
    Alla faccia del bon ton culturale il fine giustifica i mezzi per rendersi credibili, agli occhi degli accorti esegeti, come propugnatori di una N uova O ntologia E stetica.
    Un po’ come rivolgersi al Dolce Stil Novo etichettandolo D.S.N. o, sconfinando oltr’Alpe, contrassegnare S.U.D. il movimento culturale tedesco Sturm Und Drang.
    Estetismo (nell’accezione limitativa moderna) = la tendenza a considerare e a valutare un’opera letteraria solo per i suoi valori formali, di suggestione musicale. Sottolineo: musicale.
    I seguaci della N.O.E. asseriscono: «… c’è un apposito sportello dove trasferire nella rete fognaria il bel verso, la retorica, la mitologia… ». Certo è che i novelli pionieri della Letteratura nostrana non fanno sconti ad alcuno dei nostri grandi autori (classici o moderni) né, tantomeno, ai loro seguaci o estimatori .
    E per guadagnarsi un posto al sole nel panorama letterario contemporaneo sparano a zero su tutto e su tutti, avanzando anche la pretesa di rendere “impersonale” l’opera lirica, priva cioè di intrusioni soggettive.
    Quindi perché fondare e tenere in vita le correnti letterarie? (NOE compresa).
    Stringiamoci a coorte e difendiamo i nostri valori, altrimenti, in un prossimo futuro, si correrà il rischio di vedere appiccare il fuoco, nelle piazze, a cumuli di libri “démodé” (intendasi “a n a c r o n i s t i c i”).

    CONTINUA

    Roberto Mestrone

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  21. SECONDA PARTE

    Nazario vede le nuove menti elette proiettate verso il Nulla, Franco e Maria Grazia le invitano garbatamente a restare coi piedi ancorati alle sponde del soggettivismo (quello sano), Sandro stenta a riconoscerle e ad afferrarne le emozioni, Carla le identifica come mulini a vento e Patrizia come (innocue) provocatrici, mentre Pasquale le tratteggia come vallette del “Citazionismo” ambiguo.
    Io le relego nelle alture più sconnesse del Parnaso, sulle cui pendici si abbarbica, in solitudine, quella che io chiamo la “Poetica dell’Assurdo”.

    Conclusioni.

    Noi cultori delle belle forme cerchiamo affannosamente (ma coscienziosamente) di dipingere, sulle ali della fantasia, nuovi mondi che siano diversi da quello sul quale fatichiamo a reggerci in piedi, fustigati da sciagure e incomprensioni, e non ci rendiamo conto di essere stretti nella morsa di un’amara realtà: di ciò che ci appartiene intimamente (e che potremmo condividere con il prossimo) ne conosciamo solo una esigua parte; forse quella peggiore. Cavalchiamo spesso, con coraggio o rassegnazione, l’onda di un’emozione e ne usciamo naufraghi, senza la speranza di un approdo che potrebbe permetterci di ancorare alla terra ferma dell’Umanità il corpus del più nobile motto interiore che conserviamo nel petto.
    Possiamo quindi anche fallire nell’intento di conferire dignità all’intelletto, ma ci consolerà la certezza di aver condotto la battaglia senza le armi dell’orpello e dell’artificio, strumenti privi di anima.
    La penna del poeta va intinta, con cura, nel calamaio dei sentimenti e non nella pozza delle suggestioni vanesie.

    Voi, membri della N.O.E. , non vi rendete conto che il vostro operare vi condurrà al confino, in un fazzoletto di terra arida dove cuori e anime saranno costretti al mutismo?
    Un invito amichevole: corroborate le vostre sensazioni ponendole sul crogiolo sempre caldo delle Buone Espressioni, della POESIA ONESTA! Non c’è alternativa per affrancarsi dal buio dei linguaggi roboanti ma VUOTI di PATHOS, dai NEOLOGISMI incomprensibili per chi vi legge.

    Nei commenti del 2014 su Leucade citavo Montale (discorso tenuto a Stoccolma durante il conferimento del Nobel):
    “ … Esistono in coabitazione due poesie, una delle quali è di consumo immediato e muore appena espressa, e l’altra può dormire i suoi sogni tranquilla. Un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo…”.
    E finché il verso del cantore farà sorridere “la luce dei camini” o accompagnerà il “suono di zufoli o litofoni”, la Poesia resterà ben desta, accovacciata “sulle strisce d’oro dei tramonti”.
    È sua natura – se ben protetta – possedere la forza di non assopirsi!


    Roberto Mestrone

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    1. RICEVO E PUBBLICO

      L'intervento di Mestrone è puntuale e appropriato ma a me pare che, a molti di noi, la questione sia sfuggita di mano. C'è qualcuno che crede che l'essere ospitato su Leucade lo ponga di diritto fra i Grandi, fra coloro cioè che sfideranno i secoli con i loro scritti. E invece la storia ci dice che ottimi poeti sono caduti nel dimenticatoio per varie e svariate ragioni non esclusa la poca fortuna personale: noi, a Ferrara, per esempio, abbiamo avuto Corrado Govoni i cui meriti non sono mai stati riconosciuti appieno neanche dagli stessi concittadini. Il comune di nascita del poeta, Tamara (in provincia di Ferrara), non si è degnato neanche di pubblicare un piccolo opuscoletto in cui erano raccolti alcuni saggi sullo scrittore in occasione di non mi ricordo quale ricorrenza. E neppure la nipote - che dallo zio ha ricevuto una parte dei beni di famiglia avendo Govoni svenduto le sue proprietà ai fratelli per inseguire il sacro fuoco dell'arte – ha provveduto alla bisogna.
      Come ho già detto nei miei precedenti interventi sono molti quelli che si credono poeti e non lo sono e quindi aderiranno a questa nuova corrente pensando di farne parte e di avere in tal modo molto successo: però in tutte le arti i così detti movimenti di avanguardia ci sono stati, spesso bolle di sapone che hanno accolto i meno talentuosi. Ma la poesia è arte povera, non dà corrispettivo in denaro che è la misura universale dell'apprezzamento della “merce”, apprezzamento che spesso non è legato al talento ma a chi questa merce promuove. E qui il discorso si farebbe troppo lungo. Gli editori, quelli grandi, quelli che hanno diffusione e le cui opere figurano in tutte le librerie pubblicano poesia in tirature limitatissime solo per l'immagine: un esempio eclatante è la Merini fenomeno mediatico più che grande poetessa. E qui si scatenino tutti a darmi torto.
      Ci sarebbero tante cose da dire in merito al successo di questo o quello scrittore, alle edizioni ecc. ecc. tutte legate al desiderio di ognuno di diventare popolare e avere non dico un folto, in quanto sarebbe troppo utopistico, ma un discreto numero di lettori. Nondimeno tutto ciò esula, pur essendone attinente, al nocciolo di questi nostri interventi.
      In tale contesto io, che sono bipolare, ho momenti di euforia e credo che i miei scritti rimarranno, ma è pia illusione oltretutto perché non ho figli o parenti prossimi che, dopo morta, mi facciano un piccolo battage pubblicitario e mi facciano conoscere al di fuori della stretta cerchia degli amici. E allora perché scrivo, perché scriviamo tutti? Perché ci divertiamo, perché passiamo il tempo e spesso non pensiamo ai nostri mali. E quindi continuiamo a “poetare” come ci viene, senza le regole dettate da movimenti nuovi, senza l'assillo del successo, prendendo anche questa querelle con ironia e buonumore e non come se si discutesse sulla prossima fine del mondo. Ad maiora (che qui vorrebbe dire: occupiamoci di cose più serie).

      Carla Baroni

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    2. Il merito non piccolo di R. Mestrone è di averci ricordato con citazioni precise come sia nata sul blog la vexata quaestio poesia-non poesia, sperimentalismo-anacronismo, soggettivismo- oggettivismo, ecc…, e ce n’era bisogno, per uscire dai “commenti umorali”, ed anche di averci dato saggio di come sia sana l’ironia che sa prendere le distanze, sorridendo, e confermando nello stesso tempo come sia pur faticoso “cavalcare spesso, con coraggio o rassegnazione, l’onda di un’emozione e uscirne naufraghi” nel ricordandoci senza dubbio che “La penna del poeta va intinta, con cura, nel calamaio dei sentimenti”- I sentimenti: ecco la parola magica che apre il cuore del poeta, non le sole emozioni suggestive labili e variabili, la poesia che vibra, emoziona nel profondo, che diventa canto, armonia-misteriosa. Senza regole , sigle, programmi…. Misteriosa nella sua origine e nel suo apparire e disparire, nelle curve del tempo interiore. La Poesia, che io non so che cosa sia, ma che bacia senza tremori il nostro Pardini.

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  22. Se ci si preoccupasse di esprimere meno giudizi gratuiti sui versi degli altri, quando non c’è ragione (se una ragione c’è non se ne parlerebbe), o nel distruggerli nella convinzione di esserne il solo autore, il solo giusto opinionista/artefice, uno tra i pochi appartenenti a una determinata cerchia (qualunque sia il suo nome) forse si avrebbe più tempo da dedicare alla vita, la propria e quella di chi ha bisogno, alle gioie e alle sofferenze, alla memoria, a tutte quelle cose, che al di là della forma, della sua soggettiva interpretazione, compongono la creta da cui si plasma poesia.
    Nell’Epistre au lecteur, che apre i Discours des Misères de ce temps, Ronsard (Francia 1524, Francia 1585) scrive:
    “Se vuoi sapere perché ho trattato ora un argomento ora un altro, altra risposta non avrai da me se non questa: mi piaceva fare così, visto che mi è consentito usare la mia carta, come un vasaio la sua argilla, non secondo la loro fantasia, ma secondo la mia volontà.”
    E ancora, ne Le Bocage Royal, t. II, vv.17-26, pp 64-65:


    Chi oserebbe accusare un vasaio
    Di non essere esperto nell’arte del suo mestiere,
    per aver fatto da un certo materiale
    un vaso d’onore, un altro più comune?
    Di farne uno grande, un altro più stretto,
    uno coprirlo di piombo, un altro d’oro,
    o sbrecciarli o, se meglio crede,
    quando son fatti, romperli tutti insieme?
    Suoi sono i vasi, lui ne è il padrone
    E fa della sua ruota ciò che vuole.


    Piccolo riferimento per richiamare sinteticamente alla memoria il topos del Deus figulus, l’artefice universale oggetto di disquisizioni poetiche filosofiche ed estetiche, nonché teologiche:

    O uomo, e tu chi sei da disputare con Dio? Direbbe forse l’oggetto plasmato al plasmatore: “perché mi hai fatto così?”. Forse che il vasaio non è padrone dell’argilla, da fare con la medesima pasta, un vaso pregiato o un vaso ordinario?
    (lett. San Paolo ai Romani)

    Forse la differenza nasce anche dal fatto di credere, oppure no, al bipolarismo di un mistero che s’impregna nell’argilla: uno dei due è umano, svuotato di valore mistico e cristiano. È il poeta filosofo convinto di possedere in sé il potere creativo ideologico del dio-vasaio. L’altro è religioso, cieco mistero.
    Ma indipendentemente dall’anima, dalle mani creatrici/ispiratrici di una vitale forza, indipendentemente da una concezione naturalistica, quella estetica non può mancare, per dare a delle mani un potere definibile creativo.
    E la creazione, se è a immagine e somiglianza, non prevede discriminazione, almeno non prevede distruzione, non quando colui che crea ha l’umiltà di non credersi un Creatore, altrimenti...avrà sempre l’occhio strabico: la pupilla sbatte sempre a un angolo, e la cetra stona.
    Emanuele Aloisi.

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  23. RICEVO E PUBBLICO

    Una meditata risposta alle critiche di G. Linguaglossa, di Marisa Cossu.

    Ritorno sull’argomento, dopo alcuni mesi, alquanto stimolata dalle critiche inadeguate e scarsamente solide, di G. Linguaglossa che insiste a criticare, non proprio serenamente, la poesia del grande Nazario Pardini. Già qualche tempo fa sono intervenuta sull’argomento; pensavo che la polemica, il confronto, si sarebbero esauriti spontaneamente, data l’inconsistenza pretestuosa delle tesi del Linguaglossa, tra ottiche filosofiche, psicanalitiche e sociologiche.
    “Per la poesia di Pardini è come se la civiltà tecnologica e lo sviluppo capitalistico non ci fossero mai stati, sono semplicemente ignorati”, scrive Giorgio Linguaglossa in una nota sul Blog letterario “ L’ombra delle parole”. E continua il critico, definendo la poesia di Pardini priva di una valenza critica rispetto alla civiltà della crisi in cui siamo immersi.
    Pardini sarebbe, quindi, estraneo ad un ideologema paleo-capitalistico e ciò aggraverebbe il tormentato rapporto del pensiero poetico con la tradizione, snodo cruciale per giungere ad una nuova poesia e poi, ad una nuova ontologia. Con un gruppo di seguaci, il critico letterario propone e giudica arbitrariamente positiva l’esperienza in cui si dipana con la sua ristretta corrente di sostenitori; tuttavia ad una attenta lettura, la nuova moda che indossa abiti di ricerca sofferta e fondata sui concetti propugnati dal Linguaglossa nel saggio Critica della ragione sufficiente, si rivela debole sia sul piano del significato che del significante, mentre per quanto riguarda l’ontico e l’ontologico non si riesce ad inquadrare in Heidegger, citato, né in altri studiosi coevi la motivazione cruciale di tali comportamenti linguistici e ideologici; inoltre molte composizioni degli autori di questa corrente, appaiono come liste di osservazioni, slegate e frammentate, una corsa verso il non senso. Propongo questi versi, appartenenti ad un lungo elaborato:

    Distico
    “La foto di Degas
    Vicino a un grande specchio

    Nella foto di Degas si vede
    Mallarmè.

    È in piedi contro il muro
    Renoir è sul sofà.

    Nello specchio (come fantasmi)
    Lo stesso Degas (con la sua camera)

    E la moglie di Mallarmè (con sua figla)
    Paul Valerj entra dopo lo scatto

    Ora guarda la stampa che Degas
    Gli ha regalato…”
    (G. Rago)

    Marisa Cossu

    CONTINUA

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  24. SECONDA PARTE

    ¶È lecito chiedersi, se questa possa assurgere a dignità poetica e non si comprende come possa anche lontanamente essere accostata agli antichi distici elegiaci, alla metrica barbara o ad una prosa lirica pregna di empatia.
    Mi chiedo se questa sia poesia o se essa non concorra invece, alla distruzione della poesia stessa. “ la poesia va lasciata in pace dai detrattori, dagli illusi e da tutti coloro che non sapendo comporre, la riducono a un linguaggio di tutti i giorni” (Ninnj Di Stefano Busà)
    In pratica non si comprende come possa essere considerata poesia quella che scaturisce dall’immediatezza oggettiva dell’ontico, un esistente freddo e inespressivo, elencato, privo di emozioni, e sia, per contro, da considerare antica e superata, la poesia che nasce sorprendentemente, nonostante la durezza della società contemporanea e la sua rarefatta consistenza, dalla consapevole maturazione di idee e valori che, senza elidere il moderno, scoprono la bellezza nella classica tradizione letteraria.
    Una grande disarmonia, quindi tra gli individui, le loro relazioni, il rapporto con i primari valori dell’esistenza Origina qui la crisi che, secondo Il Linguaglossa, è “causa efficiente” della NOE.
    La ricerca di una innovazione non sorretta da sostanziali input etici, di alterità ed estetici, è destinata a compiersi nel disfacimento della poesia, che alcuni definiscono “morta”.
    Si comprende, invece, che si senta il bisogno di un rinnovamento della poesia, che deve essere riportata al centro di un il discorso su di essa per l’elaborazione di un progetto che riaffermi l’unitarietà del processo creativo, nell’onestà e nella forza della parola coincidenti con il proprio significato. La poesia dei secoli venturi ha bisogno di un Progetto vasto sul quale è lecito interrogarsi e manifestare le idee che lo sottendono.
    Non si dovrebbe considerare la poesia spezzettata in compartimenti correntistici perché essa è una e origina dal “complesso ingranaggio cuore-cervello”.
    Recenti studi di neuro estetica affermano che siano verificabili con strumenti tecnologici le modificazioni del cervello durante l’esposizione all’opera d’arte; ma per registrare l’accendersi di una fiammella, devono intervenire emozioni, reazioni, sentimenti, scavo e una inspiegabile capacità di riconoscere i sintomi del bello.
    Di fronte alla Natura l’uomo non ha mutato il suo atteggiamento di accogliente e sofferta comunicazione: il filosofo non è un poeta perché indaga sulla realtà conoscibile mediante la ragione e i sensi. Il poeta va oltre anche usando il più moderno dei linguaggi, e non è detto che la parola riesca sempre ad elevarsi e a volare al di là de foglio su cui è scritta. La poesia non è morta perché alcuni poeti contemporanei, sono pronti ad offrire un potente contributo alle poetiche dei giorni a venire e lo fanno, come il grande Nazario Pardini, costruendo ponti tra la tradizione e la modernità con l’onestà, la purezza e la profondità delle parole che suscitano emozioni, recuperano la memoria, rendono viva una interiorità che ha radici nel vissuto e nel miraggio.
    Se poi queste opere accettano di confrontarsi con regole compositive, e si parla di metrica apprezzata e riscoperta come perla rara nel mondo indifferenziato dell’improvvisazione, bisogna chiedersi quale profonda commozione metta in contatto le conoscenze culturali con i bisogni comunicativi del poeta. In Nazario Pardini è tutto chiaro: si tratta di amore per l’Arte, ispirazione viva, soffio che comprende, trasfigura ed eleva la parola a quella funzione sacra e sociale che mai dovrebbe essere trascurata quando si vuol comunicare l’interiore meraviglia verso l’infinito inconoscibile.

    Marisa Cossu

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  25. TERZA PARTE

    Si tratta di Poesia, quella che fa battere il cuore abituato a tanta bruttezza e che attrae per il messaggio del bello trasmesso attraverso un linguaggio chiaro e fluente, una versificazione armoniosamente sorretta da endecasillabi e settenari e da figure poetiche rilevanti. In Nazario Pardini si dipana chiaramente il rapporto tra Poesia e Tempo: il linguaggio del Nostro è tempo eternatosi in atmosfere, colori, suoni, visioni interiori, luci, ombre, musica del verso, che fuori dalle gabbie di mode e di correntismi, svela il grande e nobile portato poetico dell’Autore. Il vuoto del Pardini è pieno di profumi, di tempo, d’amore, di rinascite nella natura e nell’armonia. Qui il nulla non esiste il caos si ricompone, gli opposti trovano spiegazione, perché la poesia è dappertutto, la poesia è la vita, è il mare, non c’è la “non poesia”, concetto alquanto artificioso da utilizzare per testi non comunicativi, astrusi, ad effetto a tutti i costi. Il Pardini per tutta la vita ha conservato una costante e motivata coerenza personale e poetica, non è mai sceso a compromessi, a giri di parole, a pseudo studi falsamente eruditi. Nazario Pardini è un uomo libero, così come è libera tutta la sua vasta produzione poetica. Così egli si conferma essere non un qualsiasi intellettuale, ma un Maestro accogliente e generoso. Lasciamo l’aria fritta degli alti studi a coloro che la poesia praticata e sofferta, vedono e non vedono da molto lontano.

    Marisa Cossu

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  26. Carissimi Leucadiani,
    ho letto con grande attenzione i commenti che si sono via via aggiunti all’iniziale nota del carissimo Nazario Pardini. Scrivo qualche osservazione che sarà meglio articolata in una nota inviata per e-mail.
    Allora è questa la poetica che il Linguaglossa cerca, con la sua corrente, di spacciare per innovazione e ricerca?
    Ecco la poetica degli“stracci”, come egli stesso definisce, quella delle composizioni che traggono la parola dalle “discariche” della crisi, quella in cui versa una poesia terminale, morente, lacerata e disfatta, ontica: ciò che appare è poesia, basta giustapporne i contorni, le immagini, le sequenze illogiche.
    Ecco la poesia della NOE, quella che s’incarta in una critica artistica, filosofica e sociale debole realizzata in moduli prosastici, aridi e freddi.
    Se è lecito e doveroso, impegnarsi nella ricerca di una poetica che sia espressione di umanizzazione e di bellezza, non è altrettanto corretto ottenere visibilità screditando in modo superficiale e infondato, un grande Maestro, come Nazario Pardini . “ Lasciate in pace la Poesia”, voi che da essa siete lontani e vi arrampicate sui fianchi di una montagna senza poter mai giungere alla vetta. In alto è una poetica che con la forza della parola, la profonda vastità dei contenuti, la musica del verso, crea ponti tra l’immenso lascito dei grandi che ci hanno preceduti e il mondo contemporaneo.
    Il Linguaglossa, continui pure nelle sue indagini linguistiche e sociologiche, ma si renda egli stesso faro per i suoi seguaci disorientati dalla confusione scientista e ideolgica, risalendo da quelle “discariche”verso la fiamma creativa che si nutre di sole e non si limita a guardare, elencare. C’è bisogno di qualche confortante luce, sia pure nello scavo di un buio profondo, nelle fessure del vissuto, negli inganni dell’esistente. Si restituisca, come da sempre, propone e reifica, il nostro Nazario Pardini, tempo, memoria, passione e speranza al già incerto destino dell’uomo.
    Marisa Cossu

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  27. LA POETICA DI MARISA COSSU MI E' VICINA, LA SENTO MIA, IN TUTTA LA SUA VERTICALITA' EPIFANICA, IN TUTTA LA SUA GENEROSITA' EMPATICA. D'ALTRONDE IL CUORE C'E', COME C'E' L'ANIMA, COME C'E' LA PASSIONE, COME C'E' LA PAROLA VIGILE E ATTENTA A FARE DA ARGINE ALLE ESONDAZIONI. E ALLORA USIAMOLI, FACCIAMOLI SEMPRE PIU' NOSTRI, PIU' VICINI A CHE' DICANO CHE ESISTIAMO. ANNULLARCI IN UNA NATURA AMORFA E' UN GRANDE PECCATO DATO CHE ESSA E' STA CREATA PER FARCI DA GUIDA NELLA RICERCA DI NOI STESSI.
    Nazario

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  28. La poesia, dice Roberto, "possiede la forza di non assopirsi", ma vorrei aggiungere che solo lasciandosi tentare dal sonno si può scoprire la forza di restare desti, propria della poesia. Niente è a senso unico e c'è il rovescio della medaglia in ogni situazione. Non tutto il male viene per nuocere, dice la saggezza popolare, e sarebbe molto interessante studiare quanto la distruzione abbia giovato alla costruzione nel corso della storia umana. Anche la decadenza ha un ruolo da svolgere: quello di preparare nel suo notturno grembo le stagioni nuovamente aurorali dell'uomo e del mito. Se rifiutasse di immolarsi nel rogo, la Fenice non potrebbe risorgere libera e selvaggia dalle proprie ceneri, più vitale che mai. Nel dichiarare guerra alla mitologia, i Futuristi non si accorsero che Ermes (la Velocità) e Prometeo (la Tecnologia) erano i veri e segreti ispiratori del loro nuovo mito. La poesia è dovunque, o meglio può stare dovunque, se c'è il poeta pronto a cogliere il lati sottili della vita (non a caso Dante l'ha trovata perfino all'Inferno). Ciò che unicamente si dovrebbe chiedere alla poesia è che riesca a dare un senso, qualunque magico senso, alla vita. I proclami non contano, le poetiche vengono dopo e non prima della poesia. L'importante, dice giustamente Balestriere, "è che ci sia il poeta. Se manca questo ogni discorso si fa salottiero e inutile". Condivido pertanto l'invito di Carla a smorzare i toni di un dibattito cui si sta dando un valore esagerato, pur esprimendo tutto il mio sdegno per l'ingiusto e immotivato affronto che è stato rivolto ad un vero e grande poeta come Nazario Pardini. Poeta che mi è capitato di definire "dirompente e stralunato", in quanto tutt'altro che intimista e capace di irrompere negli impoetici tempi in cui viviamo con l'afflato ancora e sempre universale della poesia. Poeta, come dice giustamente Marisa, per il quale "il nulla non esiste, il caos si ricompone, gli opposti trovano spiegazione, perché la poesia è dappertutto, la poesia è la vita".
    Franco Campegiani

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  29. Giungo tardi in questo dibattito, perché sono stato un po’ lontano da internet in questi giorni. Volevo tuttavia dire qualcosa, perché amo la poesia di Nazario Pardini, la amo con il cuore, al di là di tutte le considerazioni tecniche che si possono fare. La amo perché ha la capacità, rara oggi, di coinvolgermi interiormente, evocare emozioni e ricordi, immagini di un contesto che ho in parte vissuto e fanno parte integrante della mia interiorità più profonda. Chi scrive non è un poeta ma uno scrittore di narrativa, con tutte le limitazioni del caso nell’avventurarsi nel dibattito sulla poesia. Comunque non credo di sbagliare se dico che la poesia di Nazario è a tutti gli effetti poesia moderna, nel senso stretto della parola, cioè la poesia che a partire da Baudelaire, ha attraversato nelle varie forme il novecento, esprimendo in maniera sublime come non mai, i drammi e le malinconie, l’alienazione e il disagio, le pulsioni e le sofferenze provate dall’umanità in questa fase così intensa e turbolenta. La poesia di Nazario guarda al nostro tempo con uno spirito nostalgico e insieme di abbandono, velato di tristezza e allo stesso tempo di dolcezza. Rappresenta il nostro altrove, quello che sentiamo sfuggire ma non vorremmo perdere mai, perché, finché esisterà l’uomo, sarà sempre un’altrove a dare un senso alla nostra esistenza.
    Il linguaggio è anch’esso tipico della poesia moderna, sintetico, evocativo, ricco di immagini e di simboli, di ritmo e musicalità, di figure retoriche che straniano la descrizione verso la percezione. Questo è il linguaggio della poesia detta moderna, pur risalente al ‘900, la poesia che amo.

    Pongo tuttavia una domanda che ogni tanto mi angustia. Dove va oggi la poesia? È possibile prevedere un’evoluzione? Difficile risposta! La grandezza della poesia del ‘900 rende difficile a pensare qualcosa che possa superarla. Questo credo che sia l’obiettivo alla base del NOA. È indubbio che la nuova poesia debba cogliere in qualche modo le trasformazioni in atto, di una società che è cambiata profondamente. Una evoluzione sul piano del significato, o anche un sovvertimento su quello del significante? Occorre un nuovo linguaggio, un approccio totalmente nuovo come chiede Linguaglossa, occorre superare il lirismo, considerato punto di forza da alcuni e di debolezza da altri della grande poesia italiana, oppure no?
    Di fatto si propone una rottura drastica degli schemi attuali, un po’ come successe per i futuristi i quali affermavano la distruzione delle espressioni artistiche correnti, per intercettare la modernità. Ma poi anche in questo caso, per esempio per quanto riguarda la pittura, fu il vecchio divisionismo a fornire lo strumento per evocare sulla tela il senso del cambiamento e della velocità.
    Quello che penso è che i grandi cambiamenti non si fanno sovvertendo il passato o sulle sue ceneri, ma attraverso la creazione di idee e strumenti che superino quelli correnti, senza negarli, un po’ come avviene in campo scientifico dove una nuova teoria non nega la precedente, ma la contiene.
    Cioè guardare in avanti, senza perdere quello che abbiamo costruito. Un grande amico, che ho perduto troppo presto, Ubaldo De Robertis, poeta di grande sensibilità e cultura, creatore di liriche sublimi, pervase da un alto lirismo, si era addentrato con successo nella nuova poesia, portando con sé gli strumenti che avevano fatto parte integrante della sua esperienza poetica.
    Sono argomenti di grande interesse che meriterebbero molte serate di dibattito, che mi piacerebbe ospitare nel salotto letterario che tengo mensilmente nella mia casa a Montecarlo di Lucca.

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  30. Ma non è un' illusione una poesia impersonale? Può esservi poesia laddove si esclude la componente del ricordo che è per ognuno di noi la base di ciò che siamo, laddove si cerca di soffocare quel sentire che ci fa uomini e ci permette di comprenderci, di essere partecipi delle emozioni degli altri che poi sono inevitabilmente anche le nostre? Se la poesia rifiuta tutto questo allora quello che è stato scritto fino ad oggi non vale niente...! Ogni opera che ci ha fatto piangere, ridere, sognare, che ci ha ricordato le nostre vicende e recuperato le nostre speranze è stata nulla! E nulla vale tutta la cura che accompagna il lavoro del poeta nella ricerca della musicalità del verso, di quelle espressioni ed immagini che possano essere veicolo piacevole e adatto a trasmettere il suo messaggio. E cosa viene offerto in cambio a coloro che fino ad ora hanno amato la poesia del sentimento? Un elenco, un flash.. ? La poesia è riviversi, è conoscersi, è comunicare, è parola con cui le anime si cercano e si raggiungono, grazie alla quale “ tocchiamo con mano” una verità assoluta: che non c'è niente di nuovo sotto il sole, che certe aspirazioni, gioie o paure o pene sono di tutti e che nessuno è solo né diverso. In questa vita così breve e fragile, in un mondo tanto alla deriva non mi pare un appiglio da poco, né un rifugio da sottovalutare. Noi siamo il risultato di ciò che abbiamo vissuto e sentito: tolta la memoria e l'emozione resta un guscio vuoto...e un guscio vuoto è tristemente inutile. Con tutto ciò... chiunque ha il diritto di scrivere come gli pare e di proporlo a chi vuole seguirlo : dove andranno a finire è da vedersi, ma saranno fatti loro!

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