lunedì 8 aprile 2019

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI



VERSO LA LUCE

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade


Leggere i versi di Nazario Pardini è come assaporare una calda e fumante zuppa toscana. Non sembri strano l’accostamento culinario ma è proprio così: gli effluvi e i sapori suscitano delle vere e proprie    sensazioni gustative. La ciotola contiene i prodotti della sua terra, di un orto irrigato con l’acqua del suo mare; e sono terra e mare sia concreti che metaforici.
       La genuinità è dunque assicurata: la purezza è il derivato che scaturisce dall’incontro di una materia vergine con un’anima integra, pura e anch’essa naturale.
       Si obietterà: perché proporre un titolo come I dintorni della solitudine, allora, per la nuova silloge (pubblicata per i tipi di Guido Miano Editore nella prestigiosa collana Alcyone 2000)?
       Può tornare utile per comprenderlo un riferimento testuale che esplica, più di tante parole, il motivo della scelta. Mi rifaccio, dunque, alla lirica di pag. 57, L’incendio dei papaveri, che l’autore suddivide in una prima ed una seconda parte. Ne citerò stralci da entrambe, chiedendo venia fin d’ora per il mio forse eccessivo dilungarmi, ma reputo i rimandi necessari oltreché preponderanti.
       Dalla prima l’incipit che, però, desidero protrarre ben oltre i suoi limiti: “Non è che l’incendio dei papaveri / o il policromo assedio sopra i cigli / dei molteplici fiori, o il variare / della vista dei colli o del lontano / prolungarsi dei mari, sia bastante /…. / Ci sono cose molto più feconde / a riempire il fondo della sacca: / il dolore di un figlio che ti lascia, / l’inquietudine che provi nella vita, / la gioia per un mondo ritrovato, / il senso di una noia che t’assedia, / lo smarrimento in cieli senza fine. /…. / Certamente / uno squarcio di natura ti soccorre / nel dare concretezza al tuo sentire; / una sera che langue oltre i confini / è tanto simile a ciò che porti dentro / senza saperne il perché; l’annullarsi / in un mare di verde che circonda / la tua desolazione è un po’ / il modo di disperdersi in quei germogli larghi, / e smarrire per poco il nostro stato / che ci vuole precari. […]”.
       Dalla seconda (sarò meno prolisso ma non meno intensi i significati ed i significanti) la pensosa e penetrantissima chiusa: “Di avere amato te ne accorgi dopo / se quegli incantamenti naturali / ti dicono di assenze che violentano / il tuo essere umano; tutto al più / puoi tramandare i brividi di un canto / da dedicare a chi non ha più il mare.”.
       “Di avere amato te ne accorgi dopo”. Partiamo da qui: partiamo dal più enigmatico dei versi riportati. Cosa significa? Cosa vuole dirci il Nostro?
       Difficile rispondere; pur tuttavia ineludibile farlo per trovare la chiave che apra un universo poetico che troppo semplicistico e riduttivo sarebbe considerare dai toni crepuscolari o decadentisti.
       L’amore per le piccole cose, per gli ambienti naturali non è motivo di disperazione (anche se, dagli esempi proposti, potrebbe sembrare). Lo spleen pardiniano, assimilabile - perché no - a quello baudelairiano, ne prende le distanze in quanto non fugge nell’isolamento né, per contrapposizione, si adagia in un realismo di comodo, com’è avvenuto e tuttora avviene in alcuni scrittori.
       Allo stesso modo - a mio parere - non è corretto neppure parlare di una poetica di stampo romantico: il romanticismo, troppo spesso  identificato con la letteratura variamente patetica, vaporosa e sentimentale, che ne costituisce solo uno degli aspetti, rientra solo parzialmente nel sentire del poeta pisano.
       Certo, la memoria gioca un ruolo fondamentale; lì si depositano, come in un granaio, i raccolti dell’animo ed a quelli la poesia attingerà quando e come vorrà. Ebbene, è sufficiente questo per etichettare un versificare includendolo nelle usanze e negli orientamenti dei ceti borghesi e piccolo borghesi? D’altronde la stessa sorte toccò al Pascoli e, nel secolo scorso, perfino ad un Montale o ad Ungaretti.
       Cosa c’è che scade, che regredisce, che perde vitalità nella poesia di autori che hanno fatto la storia della nostra letteratura? Cosa c’è di decadente in Pardini quando si leggono testi come Il fiore, a pag. 44 della raccolta?
       “ -Ti donerò una rosa / in questa primavera maculata. / Perché non farti dono dei suoi petali? / dei suoi gentili intarsi, porporini, / che ne fanno il colore e la stagione? - / Le toglierai la vita - mi dicesti - / Lasciala al sole a brillare spavalda. / Cogli la mia delle bellezze, / e tienila alla luce. Arriverà / profumo d’erba nuova / a riportarci al fiore, / a respirarne l’odore selvaggio, / il capriccio d’amore. E sia motivo / per scoprirci di nuovo e non ricordo, / solo ricordo di una primavera. - ”.
       “Motivo per scoprirci di nuovo”: eccolo il magazzino che custodisce. La vita è dentro, pronta ad essere raccolta non ad essere rimembrata. Chi rammenta non è disposto a gridare “al mondo, agli uomini, ai mercanti” il proprio amore.
       Così, il Nostro non si lascia abbindolare dai richiami di sirene ammaliatrici - siano esse portatrici di grati o sgraditi pensieri - restando fedele unicamente alla voce che sente provenire dalle più insondabili e riposte cavità del soffio vitale.
       È libero, come i Piccioni che “svolano sulle foglie delle viti”, che
“hanno solo l’istinto” a guidarli quando “accorrono in picchiata” o cercano “spazi aperti”, quando “anche la pioggia / …li battezza”. E “sono lì / …trepidanti, nell’attesa / di nuove corse da donare al cielo.”
       “E poi la morte. Dove andranno a morire /…. / …Sarà forse il destino / a riservare loro un angolino?”. Il “forse” non è eliso soltanto per mancanza di prove e, se permane, non è certo per intenzioni dubitative.
       I dintorni della solitudine sono i luoghi, le cose, le persone, gli animali che il poeta visita lungo il viaggio esistenziale; un viaggio compiuto da solo (ciascuno di noi cammina con le proprie gambe) ed esclusivamente per questo motivo, solitario. Tutto attorno c’è un mondo intero.
       “Ma ero vivo? / o dentro me costruivo una coscienza / che non aveva a che fare col reale?” - si domanda nel poemetto conclusivo (di dantesca memoria) - e la sua Virgilio è una dea, Silva, che gli dice: “Quello che vedi è fumo, / è solamente parte di un tuo sogno…”. Poi, Silva si dissolve ed è soppiantata da una voce che indica un’altra via: “Ripartendo da lì, / dalla vita concreta, dai dolori del mondo, / potrai incontrare Silva, la bellezza, /…. / per ora godi il tempo di un traguardo / che ti rivede a casa, a casa tua…”.
       Vi sembra un viaggio destinato a perdersi? Niente di tutto questo: non è un addentrarsi negli inferi (come per Orfeo), è un ritorno ad Itaca (come per Ulisse); non un viaggio verso le tenebre ma verso la luce.

Sandro Angelucci


Nazario Pardini. I dintorni della solitudine. Guido Miano Editore. Milano. 2019. € 10,00

4 commenti:

  1. Mnemosyne, la fonte della Memoria, deve purificarsi nel Lete, il fiume della Dimenticanza, per poter diventare Poesia. E' grazie a quell'oblio che il ricordo si decanta e smarrisce la sua mestizia, i suoi artigli che imprigionano nel passato, trasformandosi in linfa fresca e vitale per l'oggi e il domani. E' questo il miracolo della vera poesia, appesa all'unità dei contrari, capace di estrarre il nero dal bianco, la gioia dal pianto e dalla morte la vita. Concordo pienamente con l'esegesi di Sandro, tesa a mostrare come il canto pardiniano non abbia alcunché di antiquario o di superato. E' il dolore lenito della memoria, ovvero il fiume in piena della vita, che, nella sua corsa travolgente e vorticosa, raccoglie e trascina ogni angoscia, ogni negazione, trasformandola in slancio vitale, in nuova sfida.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  2. E Sandro ha centrato aspetti della Silloge del nostro Condottiero che mi avevano colpito e che non sono riuscita a esplicitare, come purtroppo mi accade spesso. La natura toscana, che si 'tocca, si sente, si vive', il mare e la terra, cari allo stesso modo al nostro Poeta, la volontà inconscia di indurre il lettore a 'riscoprirsi di nuovo'. Sandro è nato per leggere i testi e le vite. Lo ringrazio per le lezioni che sa impartire con infinita umiltà. La chiusa la sento anche mia. Si tratta di un ritorno, non di una partenza...
    Che meraviglia confrontarsi su una Silloge simile! Ringrazio tutti, perchè da tutti ho solo da imparare!
    Maria Rizzi

    RispondiElimina
  3. Un’ottima operazione di lettura critica quella di S. Angelucci, che sa soffermarsi sui singoli versi pardiniani cogliendone valore e spessore, psicologia e storia, sa confrontare, interpretare e distinguere (Vedi l’analisi de L’incendio dei papaveri): una operazione critica raffinata di un lettore forte e consapevole. Vale la pena di ripensarla, dopo aver riletto i versi del Nostro.

    RispondiElimina
  4. Ringrazio Maria, Maria Grazia e Franco per essersi espressi e soffermati sulla mia lettura de "I dintorni della solitudine" e anche chi non l'ha fatto ma ugualmente si dedica con passione alla letteratura.

    Sandro Angelucci

    RispondiElimina