mercoledì 16 settembre 2020

CARLA BARONI: "THE DAY AFTER"

 

The day after

 

Sì, fummo vinti. All'albero appendemmo

il flagello e di spine la corona

noi nuovi cristi

fatti d'argilla a somiglianza d'uomo

ma con nel petto il desiderio antico

di risalire verso più alte cime.

Nascevano le lune attorno a un sole

che si faceva sempre più nemico

una palla di fuoco pronta a esplodere

come una bollicina di sapone.

E in questo day after in cui si contano

solo le teste dei sopravvissuti

la cenere ancora arroventata

è l'unico lucore in tanto buio.

 

 

Strisciamo nel silenzio delle strade

senza vederci, consci

d'altre presenze, d'altri

esseri come noi alla ricerca

di quello che fu un giorno il nostro vivere.

Ma poco ricordiamo, poco resta

di quella immane giostra di formiche

che popolava il mondo.

O noi Titani

tutto questo sognammo

e nel silenzio s'ode

solo il deluso muoversi dei passi.

 

 

Possibile che un attimo d'eterno

abbia distrutto un sogno, una follia

che ebbe vascelli e remi sin dal nascere?

C'è stato sempre

un desiderio forte di rivincita,

di oltrepassare il limite, di andare

al di là della siepe del già noto.

Anche il cavallo corre, la carota

gli penzola davanti, premio ambìto

a quel galoppo che gli sfianca i reni.

Verrà la sera

e già stremato e stanco

avrà la voglia solo di dormire.

Forse è giunto il momento

di questo nostro sonno senza fine

o forse

del Lete già approdammo a mesta sponda.

 

 

Non si conosce il dopo

e questo è

l'oscuro incoercibile castigo

di chi ci volle schiavi al suo comando.

Non ci accorgemmo di essere pigmei

migrati nella terra dei watussi.

Il miraggio

ci rese ciechi sin dall'alba e il sole

arroventava l'ago della bussola.

 

 

I segni non vedemmo: già i rondoni

il nostro mare  non attraversarono

per artigliarsi immobili alla gronda

e il cielo non ferirono di gridi

quando la sera al buio si tramuta.

Ma tutto cambia:

ormai da tempo i corvi

erano a cerchio sui merli della torre.

Vigilavano

attente sentinelle

di un esercito occulto a noi nemico.

E le lune nel cielo, tante lune

brillavano anche in notti di tempesta.

 

 

E queste ci ingannarono.

Le scambiammo

per una nostra intrepida conquista,

dei fari aggiunti

a rischiarare ogni nostra impresa.

Non più alternarsi dello scuro e il chiaro

quando abat jour stellari erano nate

a darci sempre vigoria di luce.

E non capimmo

che il cosmo è un orologio in cui un granello

un sol grano di polvere lo inceppa

e ritornare

lo fa al primigenio caos

al vorticare

di atomi impazziti senza guida.

 

 

Il giocatore

non si ferma se ha perso la partita.

Altre ne vuole a riscattar la perdita

finché rimasto senza un soldo in tasca

si pente dello stolido suo fare.

Ma se gli si presenta l'occasione

ancora gioca, ancora perde ché

l'ansia di vincere gli ottenebra la vista

non è più lucido

dimentico del gioco e delle regole

e rischia, rischia

unico suo obiettivo

di trionfare, di mostrare al mondo

che egli non è caduto nella polvere.

Ecco che giocatori scriteriati

anche noi ansiosi

ricontammo le carte ad una ad una

senza renderci conto che segnata

qualcuna era sin dalla prima mano.

E che nessuna vincita

ci avrebbe mai sfiorato con le dita.

 

 

Sì, fummo ciechi, ebbri solamente

di questo nostro avvicinarsi all'Oltre

senza capire, senza mai sapere

qual limite ci fosse al nostro andare.

E ci rimane ancora stretta in pugno

la gomena dell'àncora che all'affondo

si srotolò per riportarci a riva.

Chissà se questo buio è vero buio

quello di un mondo che si è spento oppure

è il nostro buio, l'oscura

fine improvvisa della nostra vita

e noi anime stanche che vaghiamo

a ritrovare

la persa umanità del nostro esistere

quello che fu lo scopo o il desiderio.

E il buio ci impedisce di vedere

se lasciamo

impresse nel terreno ancora orme,

se siamo invero dei sopravvissuti

o sol coloro ai quali si è richiuso

per sempre al palcoscenico il sipario.

7 commenti:

  1. Caro Nazario, grazie. Ho tentato in tutti i modi di non scrivere cose tristi in questo periodo ma poi non ce l'ho fatta. E' stato più forte di me. Mi scuso con i lettori per questa ulteriore pennellata di pessimismo.
    Carla Baroni

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  2. Giuseppe Verdi riuscì solo alla fine della sua vita a comporre un capolavoro buffo (Falstaff), ma non per questo fu considerato un autore "triste", anzi!

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  3. Verdi compose il suo unico capolavoro buffo a fine carriera, sugli ottant'anni, eppure non passò per un Autore "triste"!

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  4. Carla mia, è vero, il tuo Poema non è ottimistico, ma innanzitutto è davvero un'Opera di statura maestosa, com'è nelle tue corde di Poetessa dal talento straordinario, che attinge al metro classico per autentica ispirazione e modella i versi con disinvoltura e modernità impressionanti. In secondo luogo non è facile tendersi ad arco verso la speranza considerato l'anno surreale che stiamo trascorrendo e che non sembra volgere al termine. Mi ritrovo spesso a pensare che un evento come il Covid vorrei averlo solo sognato, in quanto è stato ed è una sottrazione straziante di vite e di vita. Complimenti e speriamo di leggerti presto in un nuovo Poema di rinascita! Un abbraccio a te, a tutti i lettori e al nostro Nazario.

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  5. Questo poemetto si segnala per una visione della realtà ora paradossale ora onirica ora addirittura apocalittica, che genera effetti inediti, cospirando a ciò un impasto linguistico ad andamento straniante, in quanto risultato della collaborazione/opposizione di stili e registri diversi: i quali oscillano dal parlato al dotto e al letterario, ma con naturalezza (mi è parso di cogliere nella decifrazione di alcune strofe poste verso l'inizio della composizione un po' di echi pascoliani che vengono dritti dritti dai Poemi Conviviali).
    È una prova, questa di Carla, meritevole di ulteriori indagini e approfondimenti.

    Pasquale Balestriere

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  6. Ben venga la tristezza, Carla, quando è sostenuta da una così serrata autocritica e da un desiderio così autentico di riscatto. Il pessimismo è un'altra cosa: è il blocco totale e la totale inerzia di fronte all'avanzare del Male nel mondo. Qui interviene il "pentimento": "Il giocatore / non si ferma se ha perso la partita. / Altre ne vuole a riscattar la perdita / finché rimasto senza un soldo in tasca / si pente dello stolido suo fare". Ma la tua analisi va avanti, Carla, è molto profonda: "C'è stato sempre / un desiderio forte di rivincita, / di oltrepassare il limite, di andare / al di là della siepe del già noto"; "Si, fummo ciechi, ebbri solamente / di questo nostro avvicinarsi all'Oltre / senza capire, senza mai sapere / qual limite ci fosse al nostro andare". Perché andare verso l'Oltre, quando l'Oltre è già qui e ci vive accanto, in questo nostro paradiso di terra che facciamo di tutto per deturpare? Grazie per questo tuo splendido canto.
    Franco Campegiani

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  7. RICEVO E PUBBLICO

    Cari Amici, grazie, grazie, grazie non solo dei vostri commenti molto lusinghieri ma soprattutto di avermi letto sino in fondo.
    Questo minuscolo poemetto è stato ispirato non tanto dalla pandemia in corso, quanto
    dai molti eventi naturali inquietanti -ghiacciai che si staccano dal Polo, foreste che bruciano ecc. ecc.- a cui assistiamo quotidianamente quasi con indifferenza.
    La tecnologia avanza in progressione geometrica e si è giunti a dei risultati assolutamente inimmaginabili agli inizi della nostra stessa esistenza ossia in un arco di tempo piuttosto ristretto. Se si pensa - tanto per fare un esempio molto banale - che quando ero bambina io gli alimenti venivano refrigerati con un pezzo di ghiaccio acquistato giornalmente da un venditore ambulante che percorreva le strade cittadine con un carrettino trainato da una bicicletta, forse ci si rende conto dell'enorme cammino percorso in questi ultimi anni.
    Ma più si raggiungono mete apparentemente impossibili, più, al contrario, è rapido il generale degrado della natura. Papa Francesco ha detto recentemente: “Dio perdona sempre, noi perdoniamo qualche volta, ma la natura non perdona mai.” Ed è proprio da questa considerazione che nasce il mio attuale sconforto: il pensiero che tutto quello che abbiamo creato e che ancora creiamo faticosamente, possa, in un futuro molto prossimo, scomparire.
    Questo era il messaggio insito nei miei versi: accorgersi dei segnali che ci vengono dati per cercare di ovviare, per quanto ci è possibile, ad un evento catastrofico.
    Troppo pessimistico? Forse, ma è necessario, talvolta, farsi Cassandra anche se la profetessa è tristemente nota per non essere stata mai ascoltata.
    Ancora grazie a tutti voi.
    Carla Baroni

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