mercoledì 9 settembre 2020

CLAUDIO FIORENTINI: "CARO NAZARIO"


Caro Nazario,


Claudio Fiorentini,
collaboratore di Lèucade

Bentornato. Come va? Qui ancora si combatte con limitazioni e chiusure e la serenità non sembra vicina. Però combattiamo sempre, e prima o poi qualcosa di buono verrà fuori (se non ci fosse chi “combatte sempre” non è detto che quel “qualcosa di buono” verrebbe fuori)… Intanto condivido con te una riflessione un po’ fuori dal mondo della letteratura, ma non del tutto fuori…. 
Funziona più o meno così: una persona dice una sciocchezza che si presta alla derisione, un video gira in rete con questa persona che dice la sciocchezza, se ne parla a tavola, in casa, al bar, e si ride… e poi ci accorgiamo che il volto e la voce di questa persona diventano quasi famigliari, ci ispirano tenerezza e simpatia. Intanto la sciocchezza, che consolida il suo essere derisione scanzonata, entra nei modi di dire, tra le battute, addirittura diventa un “meme”… poi si viene a sapere che la persona che l’ha detta si è iscritta a Instagram e in pochissimo tempo è diventata celebre, ci si accorge che ha 130.000 iscritti, esce su tutti i giornali (la notizia è di ieri, e detta persona è stata definita “influencer”), il suo “meme” è diventato un fenomeno nazionale e, forse invitati dai titoli dei giornali, pioveranno altri iscritti, tutti a seguire il suo esempio, tutti a dire sciocchezze per vedere se la propria idiozia diventa un “meme”. Intanto la persona della prima sciocchezza arriverà al milione di iscritti. Evviva, siamo tutti fan di “Nun ce n’è coviddi qui”.
Scenario fantascientifico? Non è detto, perché la strada che stiamo prendendo è quella di seguire le idiozie considerandole innocui giochini, mentre quelle entrano nella vita, tolgono tempo al pensiero, all’arte, all’amore, alla compagnia… e invece di leggere un buon libro spariamo commenti e postiamo immagini che altro non fanno che ripetere quelle idiozie, e ridiamo, ridiamo, ridiamo come dei deficienti ripetendo “Nun ce n’è coviddi qui”.
In conclusione: se l’idiozia all’inizio si presta a derisione, alla lunga diventa un modello, e questi modelli ci lobotomizzano. E mentre qualcuno ancora cerca “l’amor che muove il sole e l’altre stelle” in chissà quale meandro della mente umana, la maggioranza lo trova nell’idiozia che diventa “meme” e nel malcapitato che, dicendola, diventa “influencer”. Popolo, sei condannato a restare popolo.

Un abbraccio
Claudio



2 commenti:

  1. Carissimo Claudio, mi complimento vivamente per la lucidità del pensiero che esprimi e per la fluidità scritturale con cui lo esprimi. Consentimi tuttavia una riflessione. Possiamo ancora lecitamente parlare di popolo nella società di massa che abbiamo creato? Non ti sembra che il popolo-gregge dei tempi attuali, frutto di modelli imposti e di plagi collettivi, dove gli uomini sono costruiti in laboratorio, con uno stampo che li omologa e li fa fotocopie l'uno dell'altro, sia cosa ben diversa dal popolo bizzarro e stravagante delle pasquinate, di quell'irriverente sarcasmo al vetriolo, di quegli sfottò (di cui tra l'altro molti ti sanno maestro), che colpiscono sempre e comunque il potere, di qualunque estrazione o colore? Quel "potere-ideologo" che sempre cerca di dividere il mondo in buoni e cattivi, laddove la satira è sempre espressione congiunta di condanna e comprensione. Il popolo vero, quello che abbiamo posto tra parentesi, ne ha viste talmente tante, da risultare refrattario agli eccessi di qualunque natura. Apatia? qualunquismo? No, è quella capacità di essere autenticamente umani che non è scomparsa dal mondo, ma che è stata posta fra parentesi facendo di noi delle canne al vento, in balia di sciocchi "influencer" in cerca di facili successi, come di insipidi "opinionisti" prezzolati.
    Franco Campegiani

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    1. Caro Franco, il (popolo) è giustamente tra parentesi, fuori ci sono i "followers". Probabilmente le parentesi oggi sono strette e il (popolo) ne uscirà solo esplodendo, ammesso che ne esca. Il meccanismo che si è messo in moto, tuttavia, è più perverso di quello che sembra, ti spiego perché. Il mio intervento è stato acclamato e pubblicato anche in un quotidiano online, in parte è stato anche criticato, ma senza grossi slanci. Perché? perché è rimasto tra parentesi, cioè nei contesti dove il (popolo) si esprime. Al di fuori di queste parentesi, invece, che sarebbe successo? immagina se avessi pubblicato questo pensiero nella gabbia del leone, ad esempio, nel profilo Instagram della signora o in qualsiasi blog o qualsiasi rete sociale dove si ride stupidamente (come ho ben scritto nel mio intervento)... quanti insulti mi sarei preso? La rete, caro mio, è l'immagine del popolo (senza parentesi) oggi: un coacervo di vigliacchi che ti polverizza se li contraddici o, peggio, se li metti davanti allo specchio della miseria interiore. La rete è la manifestazione della verità perché se quello stesso tizio che ti insulta in rete lo incontrassi al bar, ti ascolterebbe non perché sei degno di essere ascoltato, ma perché ha paura del confronto dialettico. Il popolo oggi si è evoluto diventando una congrega di followers (nel mio post ho usato il termine, più civile, di "iscritti"), non esiste il (popolo) se non nei discorsi degli intellettuali, il popolo oggi è un manipolo di consumatori che non sa cosa farsene del pensiero. E il sistema lo sa, e sa anche come alimentare questa dinamica di non pensiero. Tutto quello che pensiamo, diciamo, scriviamo, fotografiamo e commentiamo è dato in pasto alla rete, e tutti i server sono in mano ai big data, e oggi l'oro nero ha un valore infimo vicino ai bit dei server (non a caso i bilanci dei big data valgono più del PIL di un paese mediamente ricco). Loro sanno tutto di noi, e sanno come usare questo dati per lobotomizzare la popolazione mondiale riducendola a una massa di "followers". Per questo il (popolo) è minoranza e il popolo, che è una sostanziosa maggioranza fatta di "followers", è destinato a rimanere popolo. L'unica speranza è che il (popolo) riesca ad avere i suoi "followers"...
      Un abbraccio
      Claudio

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