martedì 21 giugno 2022

ANGELA AMBROSINI: "BENVENUTO ALL'ESTATE"

 


Un benvenuto caleidoscopico all’ ESTATE

con la pittura informale di Mida (Massimo Dini)

e una mia poesia

 

    “Il mio dipingere non è mosaico! La mia è pittura e della pittura ha tutti gli ingredienti, le metodologie, i tempi, la magia. Tessere, rombi, quadrati, pentagoni, esagoni irregolari, dipinti uno ad uno, sono maniacalmente disposti uno accanto all'altro e si muovono in libertà sulla tela o qualunque ne sia il supporto”. Da una conversazione-intervista tenuta con il pittore umbro di Città di Castello Massimo Dini, alias Mida, dopo anni di collaborazione e di amicizia, emerge la fisionomia più autentica del suo mood artistico informale che il suo ex docente e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, il pittore Giorgio Ascani, alias Nuvolo (componente insieme a Mida della stessa cerchia artistica tifernate di cui faceva parte anche Alberto Burri), definì simile a un “Jackson Pollock rallentato” in virtù di quella sua peculiarissima “pittura gestuale al rallentatore” che di Pollock non ripropone certo il dripping, la gocciolante tecnica dell’action painting, quanto piuttosto ciò che noi definiremmo uno slow painting pazientemente conseguito a forza di pennello tessera dopo tessera e che di musivo ha solo l’apparenza, di qui l’accalorata precisazione del nostro pittore. In effetti il suo sapiente cromatismo lenticolare restituisce la fisionomia ultima di variegati mosaici come pure della tecnica del Trencadís di cui è intarsiata l’architettura liberty del catalano Antoni Gaudì. La paziente tessitura pittorica del processo compositivo dei quadri di Mida acquista un ruolo preponderante rispetto alla tappa finale della composizione stessa, motivo per cui, è da supporre, il nostro artista dichiari di attribuire un titolo alle sue creazioni solo dopo l’ultima pennellata e neppure a ridosso di questa, ma procrastinandolo in tempi lunghi, forse anche perché, osserva giustamente Mida, “una stessa opera può svilupparsi in tempi lontani” (e anche chi scrive, soprattutto prosa, sa che è vero).

Prosegue il pittore: “Da sempre dare il titolo è il momento conclusivo nelle mie opere, spesso addirittura dopo la firma e rigorosamente da apporre sul retro della tela. L’ultima ‘non pennellata’ che mette fine all’atto artistico, alla creatività, dando al dipinto nascita, nome, anima”.

   Dalla disposizione grafica a serpentina di alcune “tessere” di quest’opera ha istintivamente preso spunto la mia lirica in una sorta di rudimentale calligramma nel quale il processo associativo con la lettera “esse” è stato così prorompente da informare di sé anche la scelta lessicale di un’invadente allitterazione. Un siffatto percorso stilistico di tipo ludico mi ha spinta anche a far sì che le lettere dei versi si impregnassero dei colori dell’opera, identificando in un certo senso il segno iconico con il segno verbale. Va detto altresì che il fraseggio compositivo di questo quadro scorre entro uno schema meno astratto della maggioranza dell’abbondante produzione pittorica del nostro artista, offrendomi così la possibilità di ipotizzare una specie di poesia visuale nella quale tuttavia, non pretendendo certo di creare un’anacronistica opera futurista alla Marinetti, la forma non prevale sul contenuto. Anzi, l’evoluzione dei corpuscoli cromatici del dipinto ha evocato in me l’idea di una fine-estate che getta ombre sulla solarità dell’impianto, come si evince dall’ultimo verso.  In forza di questa libertà interpretativa, nel corso della nostra collaborazione la natura non figurativa dei suoi quadri non ha rappresentato un ostacolo alla realizzazione della mia impresa in versi, al contrario, sembra accogliere, nell’organizzata struttura di tasselli di colore, l’intuizione primigenia del messaggio poetico evocato. La nostra sinergia ha sperimentato anche il processo inverso, cioè suoi dipinti generati da mie poesie e approdati anni fa alla realizzazione della fortunata Mostra di Arti “Ars gratia artis: il colore delle parole” allestita come evento collaterale al Festival delle Nazioni di Città di Castello.

   Componente focale, a mio avviso, delle creazioni di Mida è la luce, sostanza primaria che, come nelle vetrate policrome delle cattedrali, permea e dà rilievo allo spazio cromatico. Il tutto in un modello compositivo che non è mai emotiva pulsione informale affidata al caos o al caso. Asserisce infatti il nostro artista: “Nel mio lavoro cerco, molto più che agli inizi, d’inserire le sensazioni di movimento, spazialità, tempo, dando preziosità al colore nella libertà di un ‘caso’ fine e ricercato e il soddisfacimento catartico che ne traggo è il senso di un’estrema creatività”. L’apparentemente ossimorica definizione del “caso ricercato” fa eco alla nota affermazione di Braque “amo la regola che corregge l’emozione” e di questo stesso paradigma paiono sostanziarsi le tele di Mida, in corrispondenza con la cifra stilistica dei miei versi nei quali il sentimento (tedioso termine ormai abusato in campo poetico) risulta sempre incanalato, come Wordsworth insegna, nel tunnel della disciplina formale: “Poesia è emozione rivisitata in tranquillità”. Se sostituiamo il termine “poesia” con “arte”, le suggestive, originali composizioni informali di Mida enucleano, mutatis mutandis, lo stesso concetto elaborato dal grande esponente del romanticismo lirico inglese nei confronti dell’atto creativo.

 

 

Angela Ambrosini

 

  

 

 

Foto e poesia pubblicati nel n. 185 del Bollettino on-line del CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI DANTESCHI.

 

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