lunedì 6 giugno 2022

FLORIANO ROMBOLI: "LA POESIA DI GIOVANNI TAVCAR"

 

             Il travaglio aspro eppur  suggestivo e fecondo                           dell’esistere nella poesia di Giovanni Tavcar

 

Il solido impianto concettuale che sostiene e caratterizza l’elaborazione artistico-letteraria del poeta triestino si obiettiva, nei versi della più recente raccolta significativamente intitolata Tra speranza e angoscia, nell’esplicita rivendicazione dell’essenzialità dell’atto del pensare, nella sottolineatura della primarietà della riflessione critico-intellettuale quale tratto qualificante la vicenda storica e morale degli uomini: “Nessun pensiero/che attraversa la nostra mente/lo fa per caso(…) Perché esistere vuol dire/pensare,/soppesare, scegliere, decidere/e così formare la nostra/autocoscienza./E nell’autocoscienza/ il nostro io vive l’audace/avventura umana,/ illuminata dal luminoso faro del pensiero” (Pensare). I miei corsivi intendono innanzitutto porre in risalto la perizia compositiva di cui l’autore dà prova in un testo dal suggestivo equilibrio circolare e contraddistinto dall’impiego meditato dell’enjambement e dalla predilezione  della serie enumerativa, una peculiarità linguistico-espressiva, quest’ultima, ricorrente nella ricerca lirica di Tavcar: “ Spesso/ ci lasciamo incantare/ da chimerici castelli/di cartapesta,/da luccicanti illusioni,/da baluginanti lustrini,/per sfuggire/alle ansie della vita,/ ai buchi neri disseminati/ dal nostro essere opaco/ e stravolto” (Illusione);  “L’armadio che non si apre,/ l’orologio che continua il suo sonoro/ e snervante ticchettio,/ i tarli che rodono il legno,/ il computer che non si accende,/ gli appunti illeggibili,/ la radio che gracchia,/ il rubinetto che perde,/ la vicina che strepita e urla,/ la lametta consunta del rasoio/ che mi regala abrasioni,/ l’asciugamano pulito che non si trova…” (Grigia previsione).

Il titolo del libro vale poi l’indicazione “avantestuale” della fondamentale ambivalenza propria di una concezione della realtà intimamente bilicata fra la dura, impietosa constatazione del “mal di vivere”  - con le ansie, i dolori, le frustrazioni logoranti, lo sconforto che affligge e costerna  -,  e, contrastivamente, l’adozione di un atteggiamento fiducioso, l’affermarsi di un animus positivo e persino appagato, nell’alternanza di taedium e di amor vitae.

 “Stare dentro l’angoscia/ è una situazione/ che rode e divora./ Un rotolìo furioso/ di cieli contrariati,/ di venti mordaci,/ di perse ragioni./ Singulti di ore che scompigliano/ passi senza domani,/ recinti inossidabili./ Un consumarsi continuo/ che spegne/ i già deboli e rari barbagli di luce” (Angoscia) ; e in un rapido moto diadico, in un sorprendente rovesciamento sentimentale e ritmico: “Amo i colori, la musica,/ la luce,/ i cosmici respiri/che alimentano la mia sete/d’infinito./ La bellezza m’incanta/ e mi fa cantare/all’unisono con i suoni,/ mi fa volteggiare/ come un albatro/ nell’immensa superficie/ dei mari,/ mi fa riposare sui declivi/ della mia sorte” (Sto aspettando), con il correlativo apprezzamento della serenità, della giovinezza, dei momenti di gioia che per “miracolo” scaturiscono dal mistero dell’esistenza: “ Sotto la spinta/ dei sogni/ il risveglio si è rivelato/ stamattina/ roseo e incantato./ Immagini/ colorate e fiorite/ mi saltellavano intorno (…) E la mia giornata/ si è miracolosamente/ rivestita/ di insperate gioiosità” (Insperate gioiosità).

Risulta pertanto del tutto consequenziale nella struttura dei testi la diffusa formalizzazione dei contenuti etico-culturali attraverso la figura dell’antitesi e agevole sarebbe l’esemplificazione; in questa breve nota mi preme segnalare il nesso oppositivo costrizione/libertà : “Itinerari di passi/senza mète/smembrate fantasie,/echi di nuove paure./Talvolta smarriamo/la giusta direzione/ e ci troviamo impantanati/ in limacciosi grigiori/ dai quali/ è molto difficile uscire” (Talvolta).

Nel campo della coazione è la triste esperienza dello spazio chiuso e soffocante, della deiezione spirituale, dell’inaridimento interiore; in quello dell’autonomia sono la spazialità aperta, l’aspirazione all’autenticità e la speranza della felicità: “Rinchiuso/ tra le quattro mura/ della mia stanza/ penso e rimugino sul senso/ della vita,/ vigilo, fisso lo sguardo/ sulle case/ e sulle vie che mi circondano,/ ma non aspetto nessuno./ Eppure so che prima o dopo/ qualcuno verrà,/deve venire,/ a ristorare le mie pene,/ a perdonare/ le mie mancanze,/ a guarire/ le mie ferite/ e mi trasporterà/ verso orizzonti senza/ confini,/ verso dimore senza mura./ So che qualcuno verrà./ Sicuramente” (Qualcuno verrà).

E’ arduo, pure per un artista sensibile e generoso come Giovanni Tavcar, raggiungere un punto di stabile sintesi fra tali spinte confliggenti; e la composizione può talora darsi, piuttosto che in una condizione di armonia psicologica e affettiva pienamente realizzata, nella sofferta tensione propositiva, nell’impegno idealmente costruttivo avvertito quale compito storicamente e precipuamente assegnato alla specie umana: “Se facessimo conto/di tutte le cose che non tornano,/allora dovremmo dichiararci/ battuti, vinti, sconfitti./ Ma la nostra coscienza/ ci dice/ che dobbiamo insistere,/ proseguire/ nel nostro cammino,/ alimentare/ la gioia del nostro sorriso,/ affinché si diffonda/ e divampi/ anche sui volti/ di chi ci attornia./ Solo così/ porteremo a compimento/ il compito/ che ci è stato affidato/ in questa vita” (Compito).

 

                                                                                                                                                    Floriano  Romboli

 

Giovanni Tavcar, Tra speranza e angoscia, Guido Miano Editore, Milano, 2021, pp. 82   ISBN- 978-88-31497-85-5.

 

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