venerdì 3 giugno 2022

LA STORIA DI JUAN MARTINEZ, DI CLAUDIO FIORENTINI

CLAUDIO FIORENTINI,
COLLABORATORE DI LEUCADE

Questo libricino, dall’apparenza insignificante, è stato pubblicato nel 1969. Ha la caratteristica di essere stato dipinto a mano, per cui ogni copia, delle mille pubblicate, è unica. Ma il libro, pur avendo molto da raccontare, in questo caso mi serve da spunto per presentare un poeta straordinario, pressoché sconosciuto, che solo ora si sta rivalutando in Messico, il suo paese natale. Parliamo di Juan Martinez (1933-2007), un uomo straordinario da tutti i punti di vista. Prima di vedere perché, chiarisco che ho avuto il privilegio di conoscere Alberto Blanco e Victor Soto Ferrel, il primo è forse il poeta più importante in Messico, e il secondo, oltre ad essere poeta, è titolare di alcune cattedre a Tijuana, sua città natale, è stato mio professore di letteratura al liceo (già, ho studiato on Messico), ed è stato lui a regalarmi quel libro nel 1975. Alcune settimane fa ho incontrato Alberto Blanco (era di passaggio a Madrid, dove vivo), gli ho mostrato il libro che ha aperto una scatola di Pandora, e ha cominciato a raccontare. Quello che riporto qui è solo una piccola parte di quanto raccontato e, pur se vi sembrerà incredibile, posso dirvi che mai fonte di racconti è stata più affidabile.

Il gruppo di amici di allora era formato da quattro poeti (Alberto, Victor e altri che non ho conosciuto): pubblicavano riviste, organizzavano eventi, suonavano rock e blues, avevano i capelli lunghi e animavano la vita culturale dell’epoca, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Juan Martinez era un loro amico, un folle con capelli e barba lunghissimi che viveva per strada, a Tijuana, probabilmente la città più pericolosa del mondo. Era un poeta straordinario già allora, ma era anche un artista e si divertiva a disegnare per ore, su pezzi di carta rimediata e utilizzando penne trovate per strada, pallini piccolissimi, con cui riempiva il foglio creando opere d’arte di cui rimane ben poco. Certo, viveva per strada, ed era una strada difficile la sua, per questo, delle molte centinaia di disegni che ha lasciato, se ne sono salvati ben pochi. Racconta Alberto che Juan aveva una muscolatura invidiabile, era forte e scattante, del resto lo stesso Juan diceva “…vivere in strada è difficile, avere muscoli ti aiuta”; una volta i due stavano camminando per le strade di Tijuana e Juan lo aveva guidato nelle zone malfamate, a un certo punto si sono trovati davanti una di quelle bande che solo a vederle tremi di paura. Juan rassicurò Alberto “no pasa nada” e cominciò a fare la cosa più strana che si possa immaginare: flessioni, respirando ritmicamente, come un mantice, appoggiandosi a uno spuntone di cemento, probabilmente un pilastro rimasto a metà. Non ci volle molto affinché la banda di delinquenti si aprì come gli oceani si aprirono per far passare Mosè, e i due poeti attraversarono quel varco. Juan non aveva paura di nulla, gli altri avevano paura di lui. Racconta Alberto che un giorno lo incontrò a Città del Messico, a 2000 km da Tijuana, il dialogo tra i due fu più o meno così: “che ci fai qui?” “avevo voglia di rivedere la città” “E come sei venuto?” “A piedi”. Dice Alberto che non può certo sapere se Juan ha effettivamente fatto 2000 km a piedi, ma conoscendolo, non esitò a credergli. Quell’uomo straordinario non aveva orari, non aveva codici comportamentali, non aveva alcun legame con la “civiltà”, eppure le sue origini erano in una famiglia benestante, dove sono rimaste, lontano dalla follia e dalla genialità che portava sempre con sé, in strada.

E infatti Juan era un poeta che viveva di elemosine, un sognatore che viveva alla giornata senza mai pensare al domani. Lo dimostra questo libro, l’unico che ha pubblicato come editore, con tiratura di mille copie, a proprie spese e decorato a mano. Fu un giorno in cui una signora gli diede un’elemosina importante, alcune migliaia di “pesos”, con cui, invece di comprare qualcosa per sé, pensò che sarebbe stato bello pubblicare “Anabasis”, il poema di Saint John Pierce. Io ne ho una copia.

Ma la poesia di Juan, com’era? Propongo alcuni suoi versi, tradotti da me:

...trovai il sangue sparso dell’anima dei poveri e degl’innocenti,

non trovai propriamente in scavi

ma in tutte queste cose che tocchiamo ogni giorno col nostro sguardo,

le mie interiora accese urlarono e conservai lo loro rabbia per sempre,

l’amarezza del mio cuore penetrò fino al midollo,

le acque di lassù si fermarono e mancò la pioggia,

guardai la Terra ed ecco, era qui

arsa e vuota,

i monti tremarono per il panico,

i cieli si oscurarono,

e le impalcature del mio cervello, come gabbia per uccelli,

si trovavano nell’inganno,

i miei occhi non videro e le mie orecchie non udirono,

allora salii verso il mezzogiorno e cavalcai pianure come ombra del pomeriggio

ed ecco quello che trovai

e che porto per voi:

aspettate a rallegravi, è, semplicemente, un sepolcro aperto…

 

 

 Claudio Fiorentini 

1 commento:

  1. Molto interessante, ignoravo completamente questo poeta, Juan Martinez, che è eccezionale anche per aver essere riuscito a vivere come un vagabondo fino ad oltre 70 anni. Mi documenterò...

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