Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Carissimi, ieri mi è
stato segnalato quanto detto da Philip Kotler, uno dei maggiori esperti di
marketing al mondo. Kotler afferma: " Il marketing autentico non è l'arte
di vendere ciò che si produce, ma sapere cosa produrre". Giusto, per produrre
qualcosa dobbiamo sapere se c'è mercato, questo è l'ABC dell'industria... e se
invece si parla di innovazioni, allora bisogna vedere i potenziali bisogni
dell'uomo, inserito in un contesto sociale in continua evoluzione. Bene, ora
però vorrei tentare di trasporre quest’affermazione nel mondo dell’arte,
vediamo cosa ne viene fuori: l’arte o, più in generale, la cultura, spesso non
trova spazio nel mercato perché non offre quello che vuole il pubblico; oppure,
se l’arte trova spazio, è perché sposa le esigenze del pubblico.
Tutti noi vorremmo
che i nostri lavori, le nostre opere, abbiano il dovuto riconoscimento nel
mercato dell’arte e della cultura, ma stando a quanto sopra detto dovremmo
adeguarci ai gusti, e non proporre quello in cui noi crediamo con tutto il
nostro cuore e con tutta la nostra anima, forse dovremmo limitarci a scrivere
cose che fanno presa sul pubblico.
Molti autori scelgono
questa strada, è facile trovare un po’ di riconoscimento proponendo quello che
già la cronaca propone, parlando di drammi o di guerre di cui si parla nei
notiziari o dipingendo a tema, o più semplicemente utilizzando linguaggi di
moda o termini abusati. Pensateci bene: basta sfogliare i cataloghi degli
editori per ripiombare nella realtà di tutti i giorni.
Ebbene, mi viene da
chiedere, e più specificamente per la letteratura: se l’opera diventa una
ripetizione della realtà, a cosa serve? Stesso discorso, con le dovute
proporzioni, va fatto per altre discipline artistiche.
Questa ripetizione
della realtà è, spesso, un impoverimento dei contenuti culturali. Non deve
l’artista dare stimoli nuovi, proporre qualcosa di diverso? Qualsiasi
manifestazione artistica, per essere gesto di cultura deve dire qualcosa di
nuovo, deve stimolare il pensiero e la creatività del fruitore, l’arte non può
e non deve essere assoggettata al mercato, semmai è il mercato che deve
promuovere e proporre gesti artistici, riconoscendo che il pensiero, senza
creatività, è la stasi della cultura, e chi di noi vorrebbe una cultura
statica?
Mi è capitato di
leggere tanti, ma proprio tanti libri di autori contemporanei che trattano di
quello che leggiamo tutti i giorni sui quotidiani, oppure che propongono
biografie o autobiografie, o più semplicemente che sembrano sceneggiature di
film o telefilm (prevalentemente americani). Intendiamoci, alcune di queste
opere hanno la loro dignità, ma se otto libri su dieci sono di quel genere, non
cadiamo nell’uniformità? Dov'è l’immaginazione? Anche gli editori, ahimè,
troppo spesso si contentano di pubblicare qualcosa per soddisfare lo scrittore,
oppure basano le proprie scelte editoriali sulla vendibilità dell'Opera che,
così, si riduce ad essere un prodotto. Per vendere un libro occorre che il nome
dell’autore sia noto grazie ai mass media, oppure occorre che il tema sia già
divulgato dai mass media. Un vero fuoriclasse difficilmente verrà premiato da
questo sistema perché la letteratura, quella che merita di chiamarsi tale, non
è un prodotto da inserire nelle strategie del marketing, ma un gesto di cultura
rivoluzionario. Ecco quindi che si cade nel cliché e la proposta commerciale
non va di pari passo con la proposta culturale.
Eppure esiste una
proposta culturale. Il punto è: cosa deve fare l’operatore “culturale”,
promuovere l’Opera che forse non ha mercato, ma che è degna di rappresentarci
in Italia e nel mondo, oppure promuovere le opere (i prodotti) che rientrano
nel flusso degli eventi e del pensiero di massa?
Credo che tutti voi
conoscete la risposta. Quindi per proporre cultura, molto spesso occorre andare
contro tendenza, non curarsi di ciò che chiede il pubblico. Chi opera in questo
senso sa benissimo che non è facile coinvolgere il pubblico. Sappiamo che se
presentassimo un libro di un nome noto avremmo mille persone a far la fila per
avere un autografo (di recente è successo a Brescia con Fonzie), ma se
presentiamo un grande autore non noto alle masse, è grasso che cola se vengono
i 20 o 25 soliti noti a rendergli omaggio.
Ebbene, noi dovremmo
deviare il flusso, far sì che di quei mille che vanno a comprare il libro di
Fonzie (nessuno glielo vieta) alcuni si interessino a libri di altri autori.
Come fare?
Torno al tema
principale del Manifesto Culturale Il Bandolo (*), che si propone di
contrapporre alla dispersione culturale contemporanea il valore
dell’aggregazione, sottolineando che l’arte è, innanzi tutto, vocazione: se noi
riuscissimo a fare massa critica intorno a una sola bandiera che ci
rappresenti, non potremmo forse diventare un riferimento alternativo nel nostro
amato mondo della cultura?
Credo fermamente che
occorra andare avanti per questa strada, che non appartiene ai circuiti
classici di diffusione dell’arte, ma che rappresenta una nuova via, un pieno
che colma parte di un vuoto!
Chiudo con una
citazione di Oscar Wilde:
Un'opera d'arte è il
risultato unico di un unico temperamento. Essa deriva la sua bellezza d al
fatto che l'autore è ciò che è, e non ha niente di comune col fatto che gli
altri vogliono ciò di cui han bisogno. E veramente, non appena l'artista tiene
conto di quello che gli altri chiedono, e
cerca di soddisfare la domanda, egli cessa di essere un artista e diventa uno
sciocco o un divertente artigiano, un onesto o disonesto negoziante ... Il
pubblico è stato sempre e in ogni tempo educato male. Ha sempre domandato
all'Arte di essere popolare, di compiacere la povertà del suo gusto, di
lusingare la sua assurda vanità, di ripetergli ciò che già sapeva, di
mostrargli ancora ciò che dovrebbe essere stanco di vedere, di divertirlo con
ciò che è pesante fino all’indigestione, di distrarre il suo pensiero quando è
affaticato dalla propria stupidità. Ma l'Arte non può mai cercare di essere
popolare. E' il pubblico che deve cercare di diventare artistico.
Claudio Fiorentini
(*) Il manifesto culturale Il Bandolo
può essere letto qui: http://nazariopardini.blogspot.it/2014/05/manifesto-culturale-il-bandolo.html
L'arte non deve cercare di essere popolare per il semplice motivo che già lo è (quando è autentica, e oggi molto spesso non lo è). Il pubblico deve cercare di diventare artistico per il semplice motivo che ha smarrito se stesso, il proprio essere "popolo", la propria umanità. Bisognerebbe tutti - autori e fruitori - recuperare la segreta "humanitas" che vive in noi, purtroppo offuscata dai modelli di cultura imperanti, parossisticamente tesi verso la superficialità (da non confondere con la semplicità, che è un'altra cosa). Ha ragione Fiorentini nel dire che bisognerebbe fare "massa critica" per far valere le istanze insopprimibili - anche nel mercato culturale - di un recupero di umanità. Per ottenere ciò è indispensabile favorire ogni occasione di incontro diretto tra pubblico e autori, anche al di fuori dei luoghi, dei modi e degli schemi usuali.
RispondiEliminaFranco Campegiani