Presentazione
di
Maria
Ebbe Argenti: Dell’anima e del cuore
Edizioni Blu di Prussia. Piacenza. 2015. Pg. 52
Il
cancro, di per sé, non è straziante.
Quello
che non si tollera è la gente
che
lo rammenta istante dopo istante
mulinando
tumori e recidive,
ponendoci
domande disagevoli
stremando
i nostri dubbi mai risolti.
Sta
in questi versi incipitari il coraggio di confessare lo stato psicologico che
un cancro determina nell’anima stremata da dubbi mai risolti. Il disagio di
sentirlo rammentare istante dopo istante. E Maria Ebe Argenti lo trasferisce ex abundantia cordis a abbrivi dall’ardore
semantico-allusivo; a una plaquette di grande intensità visiva, in cui versificazione
e interiorità si embricano indissolubilmente, dove pointes di metaforicità e di
vis creativa s’impennano nella stesura di un sicuro ductus poetico. Qui la
peculiarità di questo canto. Sta tutta nell’accostamento, nella vicinanza,
nella collaborazione fra dire e sentire. In una simbiotica fusione fra parola e
abbrivi emotivi che si dipana in uno spartito di euritmica musicalità, di
eufonica armonia; sì, la Nostra ci traduce una vicenda di particolare dolore in un
melologo che stupisce e convince; in una narrazione da via crucis che si fa materia
di efficace resa poematica. Di questo si tratta; di una storia che l’Autrice ha
saputo convertire in note con animo quieto, rievocandone gli stadi e le
sensazioni più cocenti, ma, al contempo, più fertili per una fioritura di versi umanamente
trasversali; zeppi di emozioni che si aggrappano alla sensibilità di ognuno di
noi. Già ebbi a dire scrivendo su “Non tramontate stelle”, edito da Genesi
Editrice, 2013:
“…
posso senz’altro affermare che Ebe Argenti ci ha abituati ad una grande poesia;
poesia costruita su una versificazione robusta, lineare, organicamente
controllata, ed espansa verso orizzonti a cui si azzardano vaghezze semantiche…
introspezione, slanci onirici, cospirazioni paniche…, tratti di un reale
disposto e disponibile a collaborare alla cristallizzazione degli stati
d’animo. E sono gli endecasillabi, in tutta la loro potenza sonora, in tutta la
loro varietà metrica, l’arma vincente della Poetessa; misure che fluiscono in
composizioni wagneriane a fare della sua poesia un “Poema” ora di tensione
orfica, ora dai toni epico-lirici…”.
Uno stile, dunque, di perspicua sapidità
disvelatrice che, partendo da folgorazioni intime, rivela la plurivocità di un
canto, la pienezza ontologica di un essere che si riconosce in una natura
disposta a concretizzare le sue inquietudini: “Grigie sono le nuvole, i
giardini,/ le contrade e le case circostanti./ Poi, via via che la brezza
vespertina/ incupisce la base dei cipressi,/ sul sagrato non resta più
nessuno”. Una solitudine amara, che ti guarda dritto negli occhi, e ti si fa
compagna. Un panismo a tutto tondo che affianca l’anima di Ebe Argenti facendosi
corpo, volume, di un malessere tatuato in un “Poema” tematico. E sappiamo
quanto sia difficile, in casi del genere, mantenere la forza creativa sullo
stesso piano; e qui la Nostra alimenta il percorso con la medesima tensione
emotiva, con la medesima energia semantica, facendo del suo poetare una ricerca
continua del verbo; di una parola, che, con nessi etimo-fonici, con cospirazioni
allusive, sempre funzionali ad una trama, vada oltre le regole canoniche della
morfosintassi a beneficio dell’omogeneità, della compattezza, e della linearità
del dettato lirico; del valore aggiunto di un’opera, in cui l’Autrice si mostra
abile nel dribblare il sentimentalismo o le cadute di stile, controllando
l’effusività con gli argini ben saldi della sua prosodia. Trenta pièces
coinvolgenti e contaminanti che delineano i vari momenti di questo excursus
esistenziale:
dallo Sconforto:
Dalla finestra del soggiorno, osservo
(…)
vedo gli uccelli in volo, che mi sembrano
delle piccole croci in movimento,
a Senza un lamento:
M'accompagna
il timore che l'asfalto
possa
squarciarsi adesso, sotto i piedi,
inghiottendomi
proprio in questa strada
e
sparirei così, senza un lamento,
come
un gattino dignitoso e schivo,
senza
avvertire il senso del dolore,
dalla Paura:
“Di cancro non si muore” tu mi
dici,
ma non vedi che muoio di
paura?,
alla Sconfitta:
Fu una sconfitta il latte
artificiale
per l’ansia di una mamma, ma
per chi
era sospeso ad un precario
filo
fu la salvezza della propria
vita,
il miracolo fuori del comune,
una carezza che blandì il
dolore,
da La notte:
Il drenaggio, la flebo appesa al trespolo
e la notte che non finisce
mai,
al
Mattino:
La stanza sigillata nel
silenzio
e fuori ancora il fiato della
notte.
Mi riposo a quest'ora del
mattino.
da L’abbraccio della sera:
Ho lasciato in cucina le
stoviglie
ancora da lavare e sono uscita
senza cambiarmi d'abito,
per sentire l'abbraccio della
sera,
a
l’Epilogo?:
Se ogni dramma si chiude con
l’epilogo,
questo non è un epilogo, è
soltanto
la curva sghemba di un
percorso atipico,
difficile, convulso,
imprevedibile,
con svariati bersagli da
colpire,
fino
alla poesia eponima, dove la metafora della vita la fa da padrone:
Dimmi che la tovaglia è ancora bella,
perché adesso la voglio apparecchiare
con tutto ciò che ancora mi rimane
dell’Anima e del cuore (Dell’anima
e del cuore),
e dove
la coscienza del tempo che fugge e della precarietà del vivere dà un’energia
nuova a che nulla deve sperdersi o svanire:
e nulla deve perdersi o svanire
quando il Tempo, passando, piglia e va,
A voi
la lettura, dacché “saper leggere” vale di più che “saper giudicare”.
Nazario Pardini
Leggere, saper leggere, con il cuore e con la mente, con l’anima, oltre le parole, i ritmi, gli endecasillabi preziosi e la cultura …le grandi intensità dell’emozione…
RispondiEliminaIntensa silloge di poesia quella di Ebe che sa corteggiare la vita con le sue illusioni, le sue delusioni, le amarezze e le sconfitte, le perdite e la fuga del tempo, le inquietudini con la sua malinconia, e che sa inoltrarsi nello strazio di qualsiasi vivente raziocinante dinanzi ai turbamenti, alle incertezze, alle paure angosciose che la vita ci porge, ai “ giorni più amari che parlano d’ombre e di tempeste senza arcobaleni”…. e che sa comunicarci quanto costa vivere senza un lamento:
sparirei così, senza un lamento,
come un gattino dignitoso e schivo,
senza avvertire il senso del dolore…
Perché, e lei ne è ben consapevole,
“ questo non è un epilogo, è soltanto
la curva sghemba di un percorso atipico,
difficile, convulso, imprevedibile,
con svariati bersagli da colpire…”
Un abbraccio con emozione cara Ebe.
M. Grazia Ferraris
Veramente valide e coinvolgenti le liriche della Argenti e proposte qui, notate e commentate da sontuose intuizioni di Nazario Pardini. Sono versi quasi scolpiti sulla pietra e non sulla pagina. La vita e la morte scorrono nel tempo breve di un leggero timore, quasi si potesse andar via in silenzio, di nascosto, schivando amore e gli altri intorno a noi, "proprio in questa strada" e sparire "senza un lamento", stoicamente, con assenza di dolore e di spavento, "come un gattino dignitoso e schivo". Che si allontana nel silenzio di una strada in solitudine.
RispondiEliminaBrava Ebe Argenti e bravo Nazario Pardini.
Umberto Cerio
Caro Nazario,
RispondiEliminasoltanto uno spirito nobile, che alberga nei piani alti del pensiero di un bravissimo critico, poteva offrirmi un'analisi tanto razionale e ponderata, da suscitare in me i più sinceri sentimenti di viva commozione.
Ti sono molto grata di essermi così vicino anche in questa mia avventura poetica e di averne colto ed analizzato i tratti più significativi.
Con stima e affetto.
Maria Ebe
Un "GRAZIE" di cuore ai gentilissimi poeti Maria Grazia Ferraris ed Umberto Cerio, per i loro interventi tanto inattesi quanto graditi.
RispondiEliminaCon i miei più cordiali saluti.
Maria Ebe Argenti
Carissima Maria Ebe Argenti,
RispondiEliminaho letto il libro "Dell'Anima e del cuore" ed ho appreso la burrascosa traversata marina che il malanno ti ha imposto e, nel leggerti, ho conosciuto il coraggio di affrontare gli steccati per superarli, nell'aria libera del canto e nei ritmi dello spirito che non si lascia mortificare. Mi auguro che il viaggio nel mare della vita continui sereno e fecondo di metafore. Ho apprezzato tutte le composizioni: in particolare "Se" che riflette la comune convinzione "di chi genera canto essendo in pena" come una volta ho scritto. Ed è commovente quell' "Aspettami" sussurrato all'Anima, "nel trasformare i gemiti in sospiri." E bello quel "mentre un gatto, strusciandosi qua e là, / s'aggiusta la realtà come gli piace." E quel mettersi a tavola, alla fine, per un pasto fatto di memorie scandite dal tempo che passa.
Un forte abbraccio con l'Anima.
Manrico Murzi
Genova, 23 febbraio 2015
Maria Ebe Argenti - “Dell'Anima e del cuore”
RispondiElimina“e in cielo splenderà l'arcobaleno”
Questo piccolo prezioso libro di Maria Ebe Argenti colpisce per la particolarità del contenuto.
La poetessa apre la sua Anima e delicatamente ci introduce nel suo mondo carico di emozioni e paure; ma lo fa a bassa voce, direi con voce flebile ma controllata dove l'afflato poetico si snoda in accenti emotivi.
Non c'è retorica nei suoi versi. Non piange i suoi traumi, li descrive. Non chiede aiuto, cerca il cielo. Non c'è buio alla fine del tunnel. Lei intravede sempre uno spiraglio, una luce che la conduca per mano, il sole che l'accarezzi, ed è la speranza del domani a confortarla.
Ad esaltare ancora di più questa partitura di un concerto ben eseguito (vorrei ricordare Mahler e Debussy per ragioni diverse), leggiamo con molta attenzione l'introduzione del poeta/critico letterario Nazario Pardini, sempre rigoroso, calibrato al punto giusto, la cui exégèse ci conduce serenamente per mano verso la visione del mondo della Argenti.
Ben scritta la prefazione.
Ora attendiamo ulteriori cose egregie da parte di Maria Ebe Argenti.
Ad maiora, dunque!
Giannicola Ceccarossi
Nell’apprendere del viaggio compiuto da Maria Ebe Argenti ai confini dell’assenza definitiva, approdo irreversibile e terribile, avvertiamo come una partecipazione, un sentimento di comunione e di condivisione che azzera ogni distanza, sociale o culturale, per scoprirsi umana e solidale vicinanza, fraterna condivisione del dolore. La via crucis che la poetessa affronta, e delle cui stazioni ci fa partecipi con i suoi versi sospesi tra l’incubo dell’ignoto e il nulla, si spoglia a mano a mano della sua specificità individuale per ampliarsi ad esperienza e sentimento universale, svelandoci così la misura della nostra fragilità, della precarietà che segna la nostra vita e ne sottolinea i limiti, le carenze, l’imperfezione. Un’esperienza assolutamente lacerante, una prova che drammaticamente invera lo spettro della solitudine, il senso dell’abbandono. E quando la solitudine supera i confini degli accadimenti quotidiani per diventare una sorta di abisso “dell’Anima e del cuore” (proprio come evoca il titolo della silloge), risulta quasi automatico, direi ineludibile, il rinvio a quell’indicibile solitudine cantata da Salvatore Quasimodo, a quei suoi indimenticati versi: “Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole. / Ed è subito sera” . Non ho il libro di Ebe Argenti (di cui però conosco e grandemente apprezzo, per ricorrente frequentazione, la poesia), ma dalla doviziosa, e come sempre impareggiabile, esegesi di Nazario Pardini, dalle puntuali e illuminanti citazioni dei passaggi certo più significativi della silloge, credo si possa affermare che Maria Ebe Argenti, con “Dell’Anima e del cuore”, dimostri chiaramente come la voce della vera poesia non si faccia condizionare, per bellezza del canto, dalle contingenze della vita, sia pure tanto dolorose e sofferte come nel suo caso. E i momenti più angosciosi del suo personale calvario sono stati metabolizzati senza cedere all’assalto della commozione, dell’enfasi o della retorica, o anche della ribellione. Dal gorgo profondo dell’abisso, l’autrice è risalita in superficie con la forza ed il coraggio del suo spirito tenace e fidente, sorretto però anche dalla forza liberatrice della parola e della poesia. Ecco, la forza della poesia. Parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Milan Kundera, mi piace credere che sia stata proprio l’insostenibile leggerezza della poesia, della sua poesia, quella forza gentile, quel salvifico viatico a dare il necessario sostegno morale a Maria Ebe Argenti, per così consentirle di sfidare con determinazione il mostro del male e vincere la sua battaglia più difficile.
RispondiEliminaUmberto Vicaretti
"Dell'Anima e del cuore" è un libro di dolore. Anzi, è il libro del dolore. Qui, all'accertata diagnosi del male, l'iniziale spaventosa sensazione di essere giunta al confine della vita a mano a mano si stempera e si compone in un dolore contenuto e sorvegliato che si sposa con l'esigenza di un canto sofferto ma sostanzialmente (o sotterraneamente) fidente; dove anche le domande esistenziali si caricano di speranze spesso però deboli e incerte. Nella consapevolezza del tempo che passa, della solitudine della casa da cui la parte più giovane della famiglia e della vita ha spiccato il volo, Maria Ebe Argenti con sommessa dolcezza canta: " Dimmi che la tovaglia è ancora bella, / perché adesso la voglio apparecchiare / con tutto ciò che ancora mi rimane / dell'Anima e del cuore...". Con accenti di limpida poesia, di grande anima, di indomito cuore.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
DELL'ANIMA E DEL CUORE di Maria Ebe Argenti
RispondiElimina"Specchio delle mie brame, non mostrarmi
quella faccia e quegli occhi disperati."
E se cercassi e trovassi una faccia umanamente diversa, come farei a capire, se non leggessi attraverso il suo cuore e la sua anima, questo disegno che riesce a pennellare con grande abilità ogni verso poetico come meglio non si potrebbe.
Non so, pur leggendo più volte i suoi meravigliosi versi, se tuffarmi dentro l'oceano della sua poesia o creare, inventare attraverso uno studio profondo e umano, una dolce e delicata medaglia - fatta a forma di cuore - per questa melodica e "triste" poetessa che, attraverso un coraggioso percorso di vita, con luce soffusa, - ma con luce, cioè speranza - riesce, interpellando anima e cuore, a far cantare ogni suo vissuto momento e nostalgico verso, versando sul mondo una luce solare.
"Vedrò ancora dei mandorli il candore
e di mimose i capolini d'oro?"
Io le dico: E mi nascondo gli occhi tra le mani
per non guardare il volto della luna
mentre sorvola nuvole e veleni
arrampicati all'ancora del cielo.
Francesco La Commare
La ringrazio, insigne "poeta giramondo" Manrico Murzi. E grazie anche a voi, egregi poeti ed amici carissimi Giannicola Ceccarossi, Umberto Vicaretti, Pasquale Balestriere e Francesco La Commare, per i vostri straordinari commenti.
RispondiEliminaCome cantò l'estroso Camillo Sbarbaro "... A noi che non abbiamo / altra felicità che di parole" nulla è più gratificante del sentirci circondati dalle parole di chi occupa le superne sfere del pensiero poetico.
Un affettuoso abbraccio e ancora mille "grazie"!
Maria Ebe Argenti