Presentato nell'ambito della assegna I.P.La.C.
"Foglie", di Mariagrazia Carraroli (Balda
Editore)
Libreria HoraFelix, Roma,
07-12-19
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Nel saluto iniziale rivolto
al lettore, Mariagrazia Carraroli invita ad ammirare il mondo vegetale
"con la consapevolezza che la forza, la bellezza, il ristoro e il dono
vengono dalle radici che non si vedono, dal loro lavoro profondo, sotterraneo,
capace di far circolare il nutrimento in superficie". Questo preambolo la
dice lunga sull'animismo che intride la recente raccolta di liriche della nota
scrittrice, Foglie (Balda Edizioni),
nata all'insegna della fede nell'intelligenza che regola e governa dal profondo
la vita naturale. C'è un ordine implicito, misterioso, che viene prima
dell'ordine esplicito del mondo. Una fede nel mistero, che, in quanto tale, nulla
ha a che fare con il fideismo, con il dogmatismo. La poetessa si affida al non visto, all'oscuro da cui tutto promana, giacché "il fuori / matura sempre
dentro", lei dice. L'inverno prepara la primavera e impartisce superbe
lezioni: "Intento alla rocca dei silenzi / gli stupori delle stagioni / fila
e prepara / poi, assiduo, / con gesto di pioggia / bussa alla porta // che
tutto l’anima osservi / e tutto impari".
Questa è la lezione
impartita dall'inverno. Ed è l'"eterno giro della trasmutazione"
descritto anche nel trascolorare autunnale delle foglie che si rigenerano poi
foltamente "nel vento d'aprile". Si è sospesi tra Essere e Tempo,
come foglie, "in bilico tra orfanezza di ramo / e fiducioso abbraccio / di
radici". Ebbene, oggi c'è una generale e diffusa tendenza a sminuire il
valore della profondità. Si preferisce credere che la realtà sia esclusivamente
quella che appare in superficie, salvo poi restare interdetti e confusi,
sbigottiti e a volte terrorizzati dall'apparire in superficie di mostri e
fantasmi provenienti da un inconscio imbavagliato e tradito. Mostri e fantasmi
che non esisterebbero se non si frapponessero ostacoli al libero fluire in
superficie della vita interiore. La realtà è duale sempre, mai monistica. E
nella dualità (da non confondere con il dualismo schizofrenico) c'è il
bilanciamento, l'armonia, il dialogo, la leggerezza: quella elasticità mentale
purtroppo uscita di scena nella società urlante e babelica, sferragliante, dei
tempi che viviamo.
Tutto è a senso
unico e manca quella pluralità enigmatica propria della natura, che invece si
dà appuntamento in queste pagine dove aleggia lo spirito del bosco, l'anima del
mondo potremmo dire. "La natura non è altro che una poesia
enigmatica", dichiara Mariagrazia in esergo, citando Montaigne. E scrive: "Il
bosco parla / il bosco accoglie", "il bosco teme e freme se si sente
aggredito". E parla liberamente di elfi, la Carraroli, parla di gnomi, di
fate, della voce del bosco che canta filastrocche e ninnananne tra i rami. Un
mondo di relazioni, ovvero di simboli (da symbolon
che in greco significa connessione). Sono
personaggi fantastici, quelli di cui lei scrive, che rappresentano una realtà non fatta di cose, ma di relazioni appunto,
di interscambi enigmatici, di equilibri misteriosi. La realtà - lo insegna
l'odierna fisica quantistica, in ciò paradossalmente allineata con gli assiomi
dell'animismo antico - non è fatta di cose, bensì di relazioni, di quella
capacità di dialogo cui possiamo avvicinarci solo astraendoci dalla bolgia
metropolitana, dalla bolsa logica del vicolo cieco in cui ci siamo cacciati.
Non dovremmo mai dimenticare
il valore di un bosco: un'immensa riserva di ossigeno e di acque purissime; un
mondo di biodiversità e di catene alimentari
benefiche, con presenze di microrganismi, di funghi, di insetti, di uccelli e
di molti animali. La nostra vita non può fare a meno di questa ricchezza, se ne
deve occupare. E non soltanto con l'istituzione di un Parco, di un Ente
cui affidare la sua salvaguardia. Tutto ciò è meritorio, ma la Natura non può
essere svilita a Istituzione, perché essa è un tempio, anzi è il Tempio per
eccellenza e non un'Istituzione. Il bosco un tempo era sacro: luogo di sussurri
e di strepiti, di dialoghi incessanti, di alleanze e di scontri, di
circolazione di energia. Luoghi fatati, ricchi di scenari fiabeschi, di miti e
leggende che fanno sorridere l'uomo d'oggi, sedicente disincantato. Ma quale disincanto? I taglialegna, gli zappaterra di
cui parlavano Carlo Levi e Ignazio Silone, come pure Sciascia ed Alvaro, Pavese
e Pasolini: quelli erano disincantati.
Non noi, illuse larve metropolitane, rintanate nei nostri mondi di plastica,
nelle nostre scatole virtuali! Paradisi artificiali pestiferi, che ci rendono -
questi si - incantati, se con il termine intendiamo dire illusi, prigionieri di una malia.
Si snodano, in
queste pagine, versi dedicati a varie piante da frutto, come il diospiro, il
fico, l'albicocco; o a piante ornamentali come l'oleandro, a piante silvestri
come il rovo, l'olmo, i castagneti, i pini; e poi al tronco stecchito e ancora
al bosco in generale, con un continuo rimando metaforico alla condizione umana:
"dentro di noi / il più intricato bosco", scrive l'autrice. E tutto è estremamente fluido ed elastico, come sempre
nelle favole che noi scioccamente definiamo illusioni,
preferendo indossare corazze pesantissime, "grevi pensieri fossili /
incapaci di sorvolare il tempo / con ali di sogno e di silenzio", dice la
Carraroli. E stupenda la fiaba di Berto, il boscaiolo che vive in unità
di spirito, in simbiosi profonda con il bosco a lui caro, "a contatto con
il cuore della terra, con il respiro degli alberi e con le eteree presenze a
lui familiari". Poranceto e Carpineta sono i luoghi magici, nel cuore
dell'Appennino Emiliano, dove tutto ciò avviene, quinte di un teatro dove si
diviene "consapevoli d'un perduto legame con gli elementi, terra, aria,
acqua, fuoco".
Il nostro errore di
uomini sta nello smarrire questo legame archetipo e soprattutto nel credere che
occorra necessariamente smarrirlo per inseguire un progresso miope e scellerato.
Ma chi l'ha detto? dove sta scritto? ben venga il progresso tecnologico, se si
è all'altezza morale del progresso raggiunto, evitando l'aberrante e rozza
illusione di poterci liberare, o esserci finalmente liberati, dalla schiavitù
della Natura. Noi siamo terrestri, siamo figli della terra e non possiamo
tagliare il cordone ombelicale che ci lega alla madre da cui veniamo. C'è
qualcosa che decisamente non va nei nostri meccanismi psichici, se non sono in
grado di girare secondo ingranaggi naturali e universali. Dobbiamo imparare ad
affidarci allo Spirito del Bosco, o, come si diceva un tempo, all'Anima del
Mondo. Lei - e lui - hanno la capacità di riportarci sempre e comunque ai
nostri valori essenziali, a prescindere dai modelli di civiltà in cui viviamo.
E come è bella la
citazione tratta da Il segreto del bosco
vecchio di Dino Buzzati!: "due o tre volte, quella notte, ci fu anche
il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con
nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito". E qui cade a
proposito un'altra citazione, non meno significativa: quella dell'intervista
rilasciata a Michele Serra da Ermanno Olmi in occasione dei suoi settant'anni.
Il grande regista, che viveva ai margini del bosco e aveva diretto nel '93 il
racconto di Buzzati, dichiarava in quella circostanza espressamente: "Potrei
sopravvivere alla scomparsa di tutte le cattedrali del mondo, ma non potrei mai
sopravvivere alla scomparsa del bosco che vedo ogni mattina dalla mia
finestra".
Franco Campegiani
Nessun commento:
Posta un commento