Franco Donatini, collaboratore di Lèucade |
Franco
Donatini. Un futurista romantico.
Felici Editore. Pisa. 2019
Un libro ben fatto questo
nuovo di Franco Donatini, alla vecchia
maniera, quando si rispettavano le nostre tradizioni di incunabolisti. In
consonanza con la substantia, frutto di una capillare ricerca da studioso come
è nello stile dello scrittore. Un libro curato per veste grafica,
impaginazione, quarta, alette con in copertina l’immagine rielaborata tratta
dall’opera Autoritratto di Boccioni
1906. La prima cosa che, ictu oculi, salta alla mente è la scioltezza
scritturale; una forma fluente, asciutta, paratattica, pulita che ci mette da
subito a contatto con i molteplici input emotivi e contenutistici. D’altronde
molte sono le scosse ispirative, gli sproni che l’autore percepisce, visti i suoi interessi pluridisciplinari. Un
argomento nelle mani di Donatini si allarga a dismisura, tocca i vari punti che
lo riguardano e con cui interagisce: il sociale, l’umano, l’erotico, il
vicissitudinale, l’artistico… Lo scrittore pisano ha bisogno di considerare il
problema nella sua pluralità, nella sua proteiformità, cosicché
la ricerca si faccia scientifica, storica, diacronica, di tesi e antitesi in
una successione epistemologica di resa dialettica. Questo il suo metodo, la sua
polisemica intrusione epigrammatica che si distende su uno spartito fatto di
sequenze aderenti, ciascuna, ai momenti del dettato: narrativa, psicologica,
descrittiva. Donatini qui conferma tutta la sua versatilità scritturale di
fronte a qualsiasi argomento che intraprende: letterario, artistico,
scientifico, esplorativo… Lui docente universitario, scrittore, critico d’arte,
collaboratore e partecipante di trasmissioni televisive quali Linea Blu, Rai
Utile ed Evoluti per caso sulle tracce di Darwin. Questa volta gli interessi sono vòlti alla
pluralità della breve vita di Boccioni: UN
FUTURISTA ROMANTICO, il titolo, che già ci fa da prodromico ingresso ad un
lavoro vario e articolato. XIII i capitoli, più una nota biografica. Il testo è
intermezzato da foto di personaggi e luoghi che hanno avuto a che fare con
l’artista: la salita in bicicletta al Monte Altissimo, Boccioni al fronte con
altri soldati tra cui Sant’Elia e Marinetti, Cecilia Forlani la madre di
Umberto, Raffaele Boccioni il padre, Padova isola Memmia, villa San Remigio a
Pallanza, il maestro musicista Ferruccio Busoni, il pittore Giacomo Balla
maestro di Boccioni, il Ponte Nomentano sull’Aniene, il gruppo dei futuristi
(Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini), Margherita Sarfatti, la Prima
pagina del periodico napoletano Vela Latina dedicato alla presentazione del
movimento futurista, l’attrice napoletana Olga Vittoria Gentili… Il testo
inizia con un quadro geografico-descrittivo: titolo Autunno 1915: “Passato il
borgo di Malcesine, incastonato tra lago e montagne, la salita si fa sempre più
aspra e impervia. C’è da sputare sangue per salire in bicicletta il percorso
tortuoso che porta al Monte Altissimo…”, due righe che ci danno subito l’idea
della essenzialità; della intrusione emotiva nell’impatto narrativo. D’altronde
è proprio questa la caratteristica principale del testo: rappresentare emozioni
e luoghi fisici senza fronzoli né pleonastici oleogrammi; tutto è asciutto e scorrevole,
tutto è necessario, niente è superfluo; ciò che eccede viene eliminato senza
indugi, nel rispetto di una buona narrazione, di una efficace comunicazione.
Riportare lo scritto del risvolto di copertina non è certamente improprio dato
che ci mette a contatto con la traccia
seguita dallo scrittore: “Il libro narra
la vita di uno dei più significativi artisti del movimento futurista,
Umberto Boccioni, senz’altro il più affascinante per la sua esistenza intensa e
tormentata, ricca di esperienze umane e artistiche raccontate con uno stile
immediato ed efficace, che consente di approfondire gli aspetti più intimi del
personaggio. La narrazione è storicamente aderente e documentata, e percorre
l’intera vita del pittore soffermandosi sui suoi rapporti con l’universo
femminile e sulle amicizie con i pittori del movimento, da Severini, Sironi,
Balla, Marinetti. Emerge un personaggio sensibile, allo stesso tempo turbolento
e inquietante nei rapporti femminili, geniale sul piano della produzione
artistica. Il libro dedica un particolare approfondimento alle molteplici
relazioni che ha avuto con diverse donne, alcune appartenenti ai ceti alti
della società del tempo, svelando aspetti inediti, sul piano della sensibilità,
tali da rendere questo personaggio, al di là dell’adesione al futurismo, una
figura dal carattere prettamente romantico”. Il libro si chiude con importanti
riflessioni dello stesso Boccioni sull’arte, sul rapporto di questa con la
vita: titolo Manifesto futurista ai
pittori meridionali. “… Si può dire che la storia dell’arte italiana che va
dal 60 al 90 è in fondo una storia di aneddoti goliardici e bohémiens… Essere
pittore o scultore vuol dire essere mattacchione, di conseguenza, geniale… Essere
pittori o scultori non vuol dire essere artisti… Gli artisti napoletani, e
comprendo fra questi gli abruzzesi, i pugliesi, i siciliani, hanno vissuto fino
ad oggi in un cieco feticismo per la commissione, sia essa privata o
governativa… Nella nostra povera vita provinciale, lavorare pei negozianti
d’arte di Parigi sembrava toccare le vette della gloria… Così gli artisti
italiani d’oggi credono stupidamente d’essere nell’arte quando si esprimono
attraverso Besnard, Zorn, Sargent, Liebermann, Zuloaga o Sorolla, ecc. ecc… Tutto
quello che si racconta sugli artisti napoletani della seconda metà del secolo
scorso è sempre intorno alla vendita… Siete troppo sentimentali, e la vostra
arte è oleografica!... Avete delle bellezze grandiose, dei contrasti brutali,
impreveduti, terribili, delle giocondità sconfinate attraverso le quali il
semplice colore locale si innalza a sintesi universale della vita… Avete creato
un café-chantant italiano che noi futuristi crediamo superiore a qualsiasi
forma di teatro moderno e il parossismo ciclonico di Piedigrotta!...
Insomma un futurista sì, a sua
maniera, come lo può essere un arista,
ma con una vena di romanticismo nel pensare la vita, l’amore, la morte; tutto
ciò che la vita stessa comporta nel riflettersi nella pittura: quello sguardo
sperso nell’infinito alla ricerca del tutto inarrivabile che fu il pensiero di malinconica
inadeguatezza dell’uomo sulla terra sia per i Romantici che per ogni grande;
dire che ogni uomo porta in sé un alito di romantico respiro non è di certo una
esagerazione, dato che ognuno ambisce per natura al tutto, senza riuscire
sempre a manifestarlo: “… Essere pittori o scultori non vuol dire essere
artisti. Si possono vendere paesaggi, fare ritratti ai re o ai papi, essere
celebri e decorati, senza per questo avere il diritto di chiamarsi artisti”
(Boccioni). E aggiungerei che ogni umano arriva a provare emozioni che lo
portano nella sfera dell’assoluto, il difficile è tradurle in pittura, musica,
poesia… in arte insomma. Solo i pochi ci riescono.
Nazario Pardini
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