domenica 1 dicembre 2019

FRANCO DONATINI: "UN FUTURISTA ROMANTICO"

Franco Donatini,
collaboratore di Lèucade


Franco Donatini. Un futurista romantico. Felici Editore. Pisa. 2019
Un libro ben fatto questo nuovo di Franco Donatini, alla  vecchia maniera, quando si rispettavano le nostre tradizioni di incunabolisti. In consonanza con la substantia, frutto di una capillare ricerca da studioso come è nello stile dello scrittore. Un libro curato per veste grafica, impaginazione, quarta, alette con in copertina l’immagine rielaborata tratta dall’opera Autoritratto di Boccioni 1906. La prima cosa che, ictu oculi, salta alla mente è la scioltezza scritturale; una forma fluente, asciutta, paratattica, pulita che ci mette da subito a contatto con i molteplici input emotivi e contenutistici. D’altronde molte sono le scosse ispirative, gli sproni che l’autore percepisce,  visti i suoi interessi pluridisciplinari. Un argomento nelle mani di Donatini si allarga a dismisura, tocca i vari punti che lo riguardano e con cui interagisce: il sociale, l’umano, l’erotico, il vicissitudinale, l’artistico… Lo scrittore pisano ha bisogno di considerare il problema  nella sua  pluralità, nella sua proteiformità, cosicché la ricerca si faccia scientifica, storica, diacronica, di tesi e antitesi in una successione epistemologica di resa dialettica. Questo il suo metodo, la sua polisemica intrusione epigrammatica che si distende su uno spartito fatto di sequenze aderenti, ciascuna, ai momenti del dettato: narrativa, psicologica, descrittiva. Donatini qui conferma tutta la sua versatilità scritturale di fronte a qualsiasi argomento che intraprende: letterario, artistico, scientifico, esplorativo… Lui docente universitario, scrittore, critico d’arte, collaboratore e partecipante di trasmissioni televisive quali Linea Blu, Rai Utile ed Evoluti per caso sulle tracce di Darwin.  Questa volta gli interessi sono vòlti alla pluralità della breve vita di Boccioni: UN FUTURISTA ROMANTICO, il titolo, che già ci fa da prodromico ingresso ad un lavoro vario e articolato. XIII i capitoli, più una nota biografica. Il testo è intermezzato da foto di personaggi e luoghi che hanno avuto a che fare con l’artista: la salita in bicicletta al Monte Altissimo, Boccioni al fronte con altri soldati tra cui Sant’Elia e Marinetti, Cecilia Forlani la madre di Umberto, Raffaele Boccioni il padre, Padova isola Memmia, villa San Remigio a Pallanza, il maestro musicista Ferruccio Busoni, il pittore Giacomo Balla maestro di Boccioni, il Ponte Nomentano sull’Aniene, il gruppo dei futuristi (Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini), Margherita Sarfatti, la Prima pagina del periodico napoletano Vela Latina dedicato alla presentazione del movimento futurista, l’attrice napoletana Olga Vittoria Gentili… Il testo inizia con un quadro geografico-descrittivo: titolo Autunno 1915: “Passato il borgo di Malcesine, incastonato tra lago e montagne, la salita si fa sempre più aspra e impervia. C’è da sputare sangue per salire in bicicletta il percorso tortuoso che porta al Monte Altissimo…”, due righe che ci danno subito l’idea della essenzialità; della intrusione emotiva nell’impatto narrativo. D’altronde è proprio questa la caratteristica principale del testo: rappresentare emozioni e luoghi fisici senza fronzoli né pleonastici oleogrammi; tutto è asciutto e scorrevole, tutto è necessario, niente è superfluo; ciò che eccede viene eliminato senza indugi, nel rispetto di una buona narrazione, di una efficace comunicazione. Riportare lo scritto del risvolto di copertina non è certamente improprio dato che ci mette a contatto  con la traccia seguita dallo scrittore: “Il libro narra  la vita di uno dei più significativi artisti del movimento futurista, Umberto Boccioni, senz’altro il più affascinante per la sua esistenza intensa e tormentata, ricca di esperienze umane e artistiche raccontate con uno stile immediato ed efficace, che consente di approfondire gli aspetti più intimi del personaggio. La narrazione è storicamente aderente e documentata, e percorre l’intera vita del pittore soffermandosi sui suoi rapporti con l’universo femminile e sulle amicizie con i pittori del movimento, da Severini, Sironi, Balla, Marinetti. Emerge un personaggio sensibile, allo stesso tempo turbolento e inquietante nei rapporti femminili, geniale sul piano della produzione artistica. Il libro dedica un particolare approfondimento alle molteplici relazioni che ha avuto con diverse donne, alcune appartenenti ai ceti alti della società del tempo, svelando aspetti inediti, sul piano della sensibilità, tali da rendere questo personaggio, al di là dell’adesione al futurismo, una figura dal carattere prettamente romantico”. Il libro si chiude con importanti riflessioni dello stesso Boccioni sull’arte, sul rapporto di questa con la vita: titolo Manifesto futurista ai pittori meridionali. “… Si può dire che la storia dell’arte italiana che va dal 60 al 90 è in fondo una storia di aneddoti goliardici e bohémiens… Essere pittore o scultore vuol dire essere mattacchione, di conseguenza, geniale… Essere pittori o scultori non vuol dire essere artisti… Gli artisti napoletani, e comprendo fra questi gli abruzzesi, i pugliesi, i siciliani, hanno vissuto fino ad oggi in un cieco feticismo per la commissione, sia essa privata o governativa… Nella nostra povera vita provinciale, lavorare pei negozianti d’arte di Parigi sembrava toccare le vette della gloria… Così gli artisti italiani d’oggi credono stupidamente d’essere nell’arte quando si esprimono attraverso Besnard, Zorn, Sargent, Liebermann, Zuloaga o Sorolla, ecc. ecc… Tutto quello che si racconta sugli artisti napoletani della seconda metà del secolo scorso è sempre intorno alla vendita… Siete troppo sentimentali, e la vostra arte è oleografica!... Avete delle bellezze grandiose, dei contrasti brutali, impreveduti, terribili, delle giocondità sconfinate attraverso le quali il semplice colore locale si innalza a sintesi universale della vita… Avete creato un café-chantant italiano che noi futuristi crediamo superiore a qualsiasi forma di teatro moderno e il parossismo ciclonico di Piedigrotta!...            
Insomma un futurista sì, a sua maniera,  come lo può essere un arista, ma con una vena di romanticismo nel pensare la vita, l’amore, la morte; tutto ciò che la vita stessa comporta nel riflettersi nella pittura: quello sguardo sperso nell’infinito alla ricerca del tutto inarrivabile che fu il pensiero di malinconica inadeguatezza dell’uomo sulla terra sia per i Romantici che per ogni grande; dire che ogni uomo porta in sé un alito di romantico respiro non è di certo una esagerazione, dato che ognuno ambisce per natura al tutto, senza riuscire sempre a manifestarlo: “… Essere pittori o scultori non vuol dire essere artisti. Si possono vendere paesaggi, fare ritratti ai re o ai papi, essere celebri e decorati, senza per questo avere il diritto di chiamarsi artisti” (Boccioni). E aggiungerei che ogni umano arriva a provare emozioni che lo portano nella sfera dell’assoluto, il difficile è tradurle in pittura, musica, poesia… in arte insomma. Solo i pochi ci riescono.           

Nazario Pardini



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