domenica 3 gennaio 2021

ANNA VINCITORIO: "PAUL CELAN (LA SABBIA DELLE URNE)" E "VENEZIA E' UN VESTITO DI SALE"

                                                                PAUL CELAN

La sabbia delle urne

Giulio Einaudi Editore


Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèuca
de






  

All’ultima porta


Autunno ha filato nel cuore del dio,

Una lacrima ho pianto accanto all’occhio tuo…

Com’era la tua bocca, turpe, è iniziata la notte

A capo del tuo letto, tetro, il mondo è impietrito…

 

Nella notte fra l’8 e il 9 ottobre

1930, Paul Celan era sul treno diretto a Tour in Francia per iscriversi alla facoltà di medicina.

Il treno si fermò a Berlino e non proseguì per la Francia. Era La notte dei cristalli. Si infrange il sogno di Paul e inizia un turpe calvario dal quale non potrà liberarsi.

Già prima dell’avvento del ‘900, circolavano varie teorie che propugnavano l’esclusione in varie forme, degli ebrei, dalla società civile. Proudon (Beçanson 1809 – Parigi 1865) affermò che “l’ebreo è il nemico del genere umano” e che “è necessario rispedire questa razza in Asia e sterminarla”. Celan, ebreo orientale germanofono, figlio unico. Le sue conoscenze linguistiche fin dall’infanzia erano arricchite da canti e racconti chassidici (che fanno capo a un movimento popolare ebraico di carattere mistico, di rigore e intransigenza morale – seconda metà del ‘700 nell’Europa orientale). Probabilmente nelle lunghe sere a Czernowitz, sua città natale nella Bucovina, la madre sempre a lui molto vicina, arricchiva la sua fantasia con storie legate ai paesaggi. Per lui il paesaggio è importante; è punto di partenza di vie traverse spesso ignote che gli permettono di giungere a un contatto umano. In lui fortemente il senso del luogo e nel luogo la realtà; nella realtà il cammino e movimento, l’incontrarsi.

“Appena al di là dei castagni c’è il mondo/ Da lì giunge di notte un vento in carro di nuvole/ e qualcuno si alza qui/… Vuole portare costui oltre i castagni:/ Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!/ Appena al di là dei castagni c’è il mondo… Ma se la notte neanche oggi si schiara/ e torna il vento nel carro di nuvole:/ Da me c’è dolce e digitale purpurea da me!…allora non lo trattengo, non lo trattengo qui…/ Appena al di là dei castagni c’è il mondo” (La Oltre).

Il mondo per Paul Celan è importante: nel mondo gli uomini, l’amore, la

vita. Vita purtroppo, atrocemente violata con crudezza e mirata alla distruzione di un intero popolo. I suoi genitori, nel 1942, furono deportati in un campo di concentramento nazista, dove morirono. Lui, internato in un campo di lavoro, fu rilasciato nel 1944 e tornò a Bucarest. Paul Celan è ritenuto uno dei più eminenti cantori della Shoah attraverso i suoi testi poetici. Ricordiamo: Papavero e memoria – 1952, La rosa di nessuno – 1963, Obbligo di luce – 1970. La lingua da lui scelta è il tedesco. La madre aveva introdotto Celan, sin da quando era piccolo, ai tesori della letteratura tedesca (Rilke). È significativo, perché lui si era trasferito a Parigi dal 1948 dove ha vissuto fino al suicidio nel 1970. Intorno al 1947/48, prima di trasferirsi a Parigi, visse un breve periodo a Vienna e lì tentò di pubblicare la sua prima raccolta di poesie  La sabbia delle urne in 500 copie numerate. Il testo era pieno di refusi e non venne mai distribuito per volere dello stesso Celan. Dopo qualche anno, sul finire del 1952, prepara la seconda silloge Papavero e Memoria inserendovi alcune poesie della raccolta precedente. Solo recentemente il testo è stato recuperato in forma pressoché integrale e critica in edizione tedesca da Suhrkamp. La raccolta in Italia viene per la prima volta tradotta e pubblicata da Einaudi. Paul Celan – La Sabbia delle urne – a cura di Dario Borso.

La lettura del testo e la sua comprensione, richiedono molta cura. Celan aderisce al Surrealismo e sicuramente risente dell’influenza di Rimbaud, Apollinaire, Breton. “Vieni a filare il bianco lino delle ore./ L’azzurra stagione muore, oh inerme…/ Con la qua notte appoggiati alla mia tristezza./ Con la tua mano consola gli occhi miei.” (in Appendice – Testo sopra citato). Nella poesia, la conoscenza prevarica il reale. Quale l’azzurra stagione che muore? Quella dei sogni non avverati. La notte di una donna? Forse si appoggia alla tristezza del poeta che cerca consolazione; affiora una malinconia trasognata e struggente più animica che fisica. E ancora, su questo andare vago, colmo si ricordi. Il desiderio è presente ma la sua realizzazione è solo un canto. “Infinitamente verde cresce edera alle gote/ del silenzio tra i tuoi capelli sciolti…/ L’ala bianca del colombo vuole afferrare./ Un barlume rimane ciò che per me era una vita…” (ibidem – Canto del giorno). L’edera, pianta nel suo infinito verde della speranza cresce alle gote del silenzio. Di chi i capelli sciolti? È bello immaginare secondo il proprio sentire. Dalla speranza alla visione irreale di un immaginario che potrebbe gratificare il poeta, si avverte la menzogna poetica che sconfina in una reale tristezza: “in barlume rimane ciò che per me era vita”. “Crescono le trame del crepuscolo: dormi!/ L’incerto alloro regge ora la tua tempia/ E uno che ancora nessuno superò,/ attende che lo superi il sogno./ Con gli occhi aperti segue la tua barca lieve:/ Si scioglie la catena? Affonda nel vuoto?/ E, escluso dal tuo viso, rimpiange la rosa rossa!” (ibidem).

Nell’incertezza, il ristoro che viene all’imbrunire col sonno. Quel sonno magico dei poeti che indulge al sogno. Una barca scivola in acque ignote e affonda? E l’esclusione dal viso, di chi non è dato saperlo, rimpiange la rosa rossa simbolo di amore e appagamento. Quanto detto è vagheggiato dal poeta che è solo.

Importanza dunque dell’immaginario della menzogna poetica, della consolazione anche se effimera, che la poesia può dare. Il poeta desidera evadere e, laddove non riesce, cede alla disperazione, al suicidio. Non dimentichiamo il suo forte coinvolgimento nella Shoah. La poesia assume suoni cupi di alta tensione in Fiocchi neri. “Neve è caduta senza luce…/ Pensa che inverna pure qui, per l’ennesima volta/ nel paese ove scorre il fiume più largo:/ Oh ghiaccio rosso non terreno…/ quando la lastra rosea, creperà, quando nevischieranno le ossa/ di tuo padre, frante sotto gli zoccoli/ la canzone del cedro… Sanguinò via da me l’autunno, madre, mi scottò la neve/ cercai il mio cuore perché piangesse, trovai il fiato dell’estate era con me era come te,/ Mi venne la lacrima…”.

Il bianco della neve annientato dalla mancanza di luce. Aleggia una

tragica morte. Ricordi di paesaggi legati ai racconti dell’infanzia. Il ghiaccio rosso, le ossa paterne frante sotto gli zoccoli e, in questo scenario di morte, la canzone del cedro…

Surrealismo in alta poesia. Alle lacrime del poeta si sommano quelle del

lettore. Il ricordo della madre abbinato a un autunno di sangue; la neve non è più rossa ma scotta (Fiocchi neri – ibidem).

Il poeta cerca un aiuto per radunare “i chicchi del silenzio” ed “Esce

ancora di casa a cercare acqua nella sabbia”. Tutto è vano anche se, a sprazzi, affiora “l’azzurra ghirlanda”.

Penso di chiudere questa mia breve analisi con Fuga di Morte. Intanto va

premesso che, sia in questa poesia che in Fiocchi neri, c’è l’abbandono della rima (nel testo sopra citato, nella premessa pag. VIII dice: “Tra la fine del 1944 e l’inizio del ‘45, verranno Fiocchi neri e Fuga di morte, dove l’abbandono della rima consentirà di tematizzare quell’evento aprendo poi a nuovi rapporti, con la poesia romena contemporanea e con il secondo surrealismo particolare. Cfr C. Miglio Romania celaniana, in “Quaderni del premio Acerbi, VI (2005), Letteratura della Romania pag. 114-28 etc…”.

La Todesfughe – Fuga di Morte – chiude il testo a cui segue Appendice.

“latte nero dell’alba lo beviamo di sera/ lo beviamo a mezzodì e al mattino, lo beviamo di notte/ beviamo e beviamo…”

Lirismo intenso, immagini che sono come pennellate di angoscia.

“scaviamo una tomba per aria lì non si sta stretti…” e, come un refrain, “all’imbrunire i tuoi capelli d’oro Margarete/ i tuoi capelli di cenere Sulamith/ scaviamo una tomba per aria lì non si sta stretti…”. “affondate di più le pale…Grida suonate più dolce la morte la morte/ è un maestro tedesco…” Questo ripetersi ritmico di parole, cadenzato, tragico che travolge. Chi legge diviene esso stesso latte nero e lo inghiotte. Non si può non sentirsi presenti. Un dramma non è ricordo ma realtà che si ripete. È un canto di morte ma, allo stesso tempo in un inno alla vita e alla bellezza che la malvagità dell’uomo distrugge.

“i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith”.

Mi piace concludere con i versi di Primo Levi del 25 febbraio 1944

Vorrei credere qualcosa oltre,

Oltre che morte ti ha disfatta.

Vorrei poter dire la forza

con cui desideriamo allora,

Noi già sommersi;

Di potere ancora una volta insieme

Camminare liberi sotto il sole.

(Garzanti – I grandi libri Poesia – ottobre 2019 – Ad ora incerta –)

  Anna Vincitorio

                                              

Firenze – 15 novembre 2020

 


VENEZIA È UN VESTITO DI SALE

di

Isabella Michela Affinnito

 

Venezia intrisa di salmastro. Venezia e i suoi colori che seguono la traccia del sole dal suo sorgere al tramonto. Venezia che rinasce ogni volta dal pennello di un pittore o dalle note di un musicista.

Dimensione avvolgente, metafisica e reale insieme a seconda dello spirito

con cui si mostra. Venezia, nell’immaginario collettivo, misterica e accattivante. Ognuno di noi avvolto nella bautta ha vissuto il mistero che scivola tra i flutti delle sue calli. Maschere coi colori che competono con i tramonti “con lo strascico verde”.

Perché le maschere? Sono l’essenza dell’effimero che avvolge il reale

come un mantello. Tutto e niente; gioia, angoscia, mistero. “Le maschere danzano al chiaro di luna”. Venezia nella sua essenza è silenzio che copre più vite, quelle delle maschere cangianti nel loro essere ma quasi mai quello che realmente rappresentano. Musica che trascina e balli per le strade. Piedi e mani calzate celano le fatiche. Tutto è illusione ma è tutto vero. È una città che nella sua colorata molteplicità nasonde sussurri di speranze violate.

Malinconici irrealizzabili amori: Tadzio in Morte a Venezia di Luchino

Visconti. L’incanto di notti lunghe come le favole, dove le gondole “restano a galleggiare all’alba/ brillano come perle nere/ sulle onde che: salgono e scendono/ nel dolore eterno…”.

Venezia, avvolta dalla bellezza e dall’eleganza di maschere che celano e

al tempo stesso ne rivelano l’essenza. Nulla sembra reale, ma tutto è vero nel diverso sentire di ognuno.


Anna Vincitorio


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