Andrea Cattania: spazio, tempo, lontananze, vicinanze e... Lila, sempre!
La poesia, di per sé indefinibile, può tutto o quasi come dimostrano i versi di Andrea Cattania nella Opera Omnia edita da Guido Miano Editore che spazia in lungo e in largo sul piano tematico-argomentativo coprendo un arco temporale di una decina di anni, e contrassegnandosi come prodotto dell’età matura, in una disposizione a ritroso, ossia partendo dall’ultima raccolta in ordine temporale datata 2020 alla prima che risale al 2011.
E così il racconto poetico
incrocia, in prima battuta, il grande Raffaello Sanzio (la prima silloge del
libro si chiama Andrea Cattania incontra Raffaello Sanzio e le sue
geometrie esistenziali, 2020), gli
interrogativi sull’universo, sugli innumerevoli intrecci possibili nel
tentativo di svelare qualche linea di mistero con il rimando continuo all’abbraccio
fra materia e pensiero e il richiamo a situazioni di ogni tempo, con sogni
anche arditi, attese impossibili, ipotesi di futuro, coniugazioni azzardate, ma
sempre immaginate come fattibili, e desiderio di elevare lo spirito / a
vette mai raggiunte / dono sublime per l’umanità. E, a chiudere le strane
accattivanti combinazioni, c’è la voglia di blu, con l’aspirazione a sentirsi
in pace con il mondo, senza che null’altro può desiderare il saggio.
Ma il cosmo non è solo
immensità, spaziosità, senso dell’infinito ma anche sensazione di vicinanza
possibile, scavo interiore continuo, analisi attenta degli eventi, valore dell’esistenza,
pur nella precarietà della stessa, e necessità della valorizzazione costante
delle conquiste dell’uomo: Ognuno custodisce nel profondo / una ricchezza
immateriale di attimi / sospesi, mai svaniti, gemme rare. / Gocce di vita
sorprese sul nascere, / sopravvissute al flusso degli eventi / e riscoperte
come per incanto / quando tace al cadere del sole / il cicaleccio indistinto del
mondo. (versi tratti dalla seconda
silloge: I colori delle parole, 2019)
Tutto il percorso poetico si
snoda in modo lineare, anche se, come accennato, con procedimento a ritroso,
con un linguaggio robusto e sostenuto ma sempre agile e senza mai
sovrabbondanze di termini e di aggettivazioni; anzi si ha la sensazione che l’autore
proceda quasi per sottrazione di elementi. Dunque non si cerca mai l’effetto
sorpresa e non compaiono le sbalorditive incandescenze, i flussi magmatici, gli
accumuli di rimandi ad aggrumarsi intorno a nuclei, né mai Cattania cede alla tentazione autolesionistica
di distorsioni ad hoc o di screpolature create ad arte, o ancora di fratture
improvvise, tagli netti, rasoiate violente, o perseguimento di sinusoidi,
magari appoggiate a suoni borborigmatici o a dicotomie estremamente facili.
Nulla di tutto questo, per
scelta consapevole e intelligente. Il poeta sa giocare abilmente con le parole
che sceglie con cura ed attenzione pesando sempre la giusta carica di
significanze sottese, mantenendo sempre viva ed intatta la tensione emotiva
dinanzi alla bellezza straordinaria dell’universo e sa riproporre, in maniera
iterata e insistita, l’interrogativo sull’origine della vita e su suo
significato: Lentamente ha preso forma la vita se / stiamo riuscendo a
trovare la chiave / per abbracciare questa / grande bellezza che oggi ci
sgomenta, ma anche nella contemplazione della luna che appare più grande
e vicina e spinge alla apparentemente negata tentazione di un minimo di
confidenza con essa: Non voglio cedere alla tentazione / di affidarti
messaggi immaginari // nell’estasi blu del momento magico / vivo il silenzio e
l’incanto del sogno. (versi tratti
dalla silloge Lunga sarà la notte, 2017).
E, dopo le vaghezze del sogno, Andrea Cattania continua ad interrogare il
cosmo sulla nascita delle galassie e sul caos della vita che resta sempre la
danza di un’ape con l’inevitabile rimando alle limitazioni dell’uomo, che è
pur sempre scintilla divina se è vero che la mente umana è opera di Dio,
per approdare alla poesia che resta punto centrale, meraviglia delle
meraviglie: Se vivi respirando poesia / ti trasfiguri in una dimensione /
dove non hanno posto l’ignoranza / e le piccinerie del nostro tempo. // Nell’iperspazio
di bellezza effusa / non troverai lo stolto, / non l’incolto, l’insulso, il
perdigiorno.// Ti renderà felice assaporare / la purezza del respiro del mondo.
E il poeta non si concede tempo
per una pausa che già un’altra sezione incalza: Dimmi perché il vento stasera
(silloge del 2017). Ci sono rimandi a persone significative (e vale per Gabriel Calaya, con tanto di aspirazione e
prospettazione futura, per Mario Fonseca
e per i dieci coltelli del tuo cuore, ma anche per il minuscolo fiocco
di neve con la metamorfosi di cristalli di ghiaccio e soprattutto con la
bellezza dello spettacolo delle colline che si ammantano di neve o
ancora con l’incanto del tramonto inteso anche in senso figurato: Quando
sentiamo che la nostra vita / volge al tramonto ci pervade il senso / della
fragilità della struttura che / sorregge il nostro appartenere al mondo. / E’
la vena sottile che ci unisce / all’essere nell’armonia del Tutto.
E si procede oltre.
Nella silloge Gocce di luce
(2016) compaiono più riferimenti: la necessità di ricercare la chiave giusta
che possa aprire allo svelamento della pluralità dei segreti che nasconde l’universo;
la visione crudamente veritiera del placidi Tigri con gli orrori evidenti; il
bisogno di un momento di raccoglimento e di solitudine, che pure è gravato da
morte presente nell’ossimorico garrire delle rondini: Solo nella mia stanza,
/ è morta anche la gatta. / In questo cielo da ventotto marzo / garriscono le
rondini, / sventola la bandiera della pace.
E si tratta di un bisogno vero!
Segue la raccolta Il cammino del
pensiero umano (2016) con il rimando al filosofo Parmenide e la dubbiosa domanda di sempre sull’esistenza:
Ci muoviamo da venticinque secoli / lungo una linea di pensiero verso / la
Visione del Tutto. Ci illudiamo di spiegare il Perché. E non abbiamo / ancora
individuato gli strumenti / per rispondere all’eterna domanda.
E compare, difficile e
problematica, l’ipotesi della coniugazione tra fede e ragione con il rimando a Guglielmo d’Occam ma anche la possibile
combinazione “Dio e natura” con il riferimento al filosofo Giordano Bruno da un lato e il richiamo alla
bellezza di tutto quanto ci circonda come ci ricorda Cattania nei versi
dedicati a Lucrezio: Nel bosco delle Pieridi mi accosto / a una fonte
purissima e compongo / un canto limpido che sciolga / l’animo dai vincoli della
superstizione. Commuove anche il mini dialogo con la rondine, con il
racconto delle fascinose terre lontane e con le sempre nuove partenze: Sono da
tempo amico di una rondine. // Mi parla a volte di terre lontane, altre di sé e
dell’ebbrezza del volo. // Ieri mi ha detto forse partirò /tra breve, ma nel
suo garrire ho colto / un recondito accento di tristezza.
E c’è anche il richiamo ad una
vecchia barca ansiosa di ancoraggi in porto sicuro, senza più il rischio del
naufragio e poi, in qualche modo, attesa per certi percepibili sentori, l’apparizione
prima, o ultima in ordine temporale, di Lila, della donna amata dal poeta, e
felicemente corrisposto per un trentennio, volata via come uno sfumante sogno.
Il poeta ne avverte la presenza che viene affidata al respiro: Annidato nell’albero
virtuale / del mio amore per te / sopravvive alla fine il tuo respiro / e mi
scalda e mi illumina e mi inebria.
E con questo riferimento e il
conseguente passaggio alla silloge Inno alla vita (2015) siamo al canto
di amore disperato che è tutto terreno e spirituale insieme: Il mio canto d’amore
disperato /sale al cielo e lo intendono le stelle /e gli abissi del mare e le
alte cime. / Tu no, che vivi gli anni spensierati / e giovani e felici e non ti
avvedi / che a te vicino un uomo piange e soffre, / perché non gli è concesso
questo intenso / sentimento e sublime trasformare / se non in esili e inutili
versi.
Comprendiamo l’autenticità del
dolore dell’autore e ci facciamo garanti, per quel che può valere, della
validità dei suoi versi nell’idea della poesia eternatrice di bellezza. E l’amore,
come sempre e come per quasi tutti gli amanti di ogni tempo, porta con sé il
carico enorme delle emozioni, talora irripetibili, dei turbamenti, per lo più
gradevoli, delle confusioni, delle commozioni straordinarie, ma anche delle
sofferenze che a volte si fanno insopportabili: Vorrei non averti mai detto
ti amo, / vorrei non averti sfiorato i capelli / se questo mio amore / doveva
portarti / ambasce e dolore e un’amara incertezza. // Vorrei non averti mai
vista, se pure / sia stato l’incontro più bello.
E siamo al balbettio sincero e
trepidante o alle schermaglie amorose nella sempre presente illusione della “corrispondenza
di amorosi sensi”: Amo pensare che tu pensi a me. E questo vale anche
quando il dubbio si insinua, sottile, penetrante, oscuro, minaccioso: Amo
pensare a te / anche se mia, lo so, non sarai mai. / Non ti ho chiesto mai
niente, neppure / un fuggevole sguardo o una carezza, / mi basta solo sapere
che esisti...
E siamo all’innocenza dell’amore,
alla purezza del cuore, alla eterna fanciullezza dei sentimenti. La mente del
poeta è come sovraccarica dell’immagine di Lila che diventa un po’ figura da
sogno: La città si è svegliata / sotto venti centimetri di neve. / Lila
sorride e sembra affascinata, / sembianza eterea e immateriale e lieve. // Poi
lenta la sua immagine è svanita, / richiamata in un mondo senza vita. Il
poeta soffre la sua mancanza e tenta in tutti i modi di ricordarla: Oh se un
giorno la tua / bocca incontrasse la mia... E non importa dove, né in quale
mese dell’anno. Non importa nulla!
E torna ad affidarsi alla
memoria: La donna che amo è nata in un paese / vicino al mare. Nel suo sguardo
ancora / riluce il sole e profuma del Sud... e poi ancora: Com’era bello
stare accanto a te, / sentire il tuo respiro e la tua voce... e infine: Notte
insonne, intessuta di sospiri, / notte piena di te, di dolci abbracci / e
carezze virtuali... Già, tutto nell’immaginazione! E allora? Lila è
Lila, presente sempre, anche dopo la dipartita, appagante, discreta, fascinosa
come la luna che il poeta richiama: Questi versi che scrivo per te / vengono
direttamente dalla luna / alla velocità della luce. / Non curarti se sembrano
un po’ pallidi / se ne saprai percepire il calore / capirai in quel momento che
il mio amore / è l’esplosione nucleare che / può scatenare la nostra fusione.
Si torna ancora allo spazio
infinito con la raccolta Tra natura e tensione metafisica (2015) con
continui rimandi a pensieri, vagheggiamenti, immagini ipnotiche, suggestioni ma
anche neutrini, in un continuo raffronto diretto o indiretto e con al centro sempre
l’uomo, essere pensante per eccellenza eppure capace di intenerimenti profondi
e di abbandoni. Si tratta di attimi particolari che spesso si fissano alle
date. Accade ogni sera alle diciannove e quarantuno nel ricordo amaro di
Lila e del suo cuore che decide di fermarsi per sempre.
La sua partenza, per un mondo
di luce, induce il poeta a proiettarsi oltre i confini visibili e a tentare un
dialogo con Dio prima di tornare a cercare di ripiegarsi su se stesso per
riscoprire chiarezze ed incanti da vivere col sole invernale, per godere lo
splendore della luce negli occhi nel giorno del solstizio e per inseguire
immagini improvvise, annusando profumi di petali di pesco, ma anche aspirando
al senso dell’assoluto, dei cieli infiniti, delle felicità profonde quanto
passeggere, delle escursioni sulle colline, magari sempre con Lila.
E ci piace chiudere proprio con lei, simbolo di amore e di gioia, nel desiderio che torna incalzante nel cuore e nella mente di Andrea Cattania: E vorrei spettinarti, / oggi, e vorrei morderti le labbra: / poi, cingendoti i fianchi, / ti stringerei con la forza dell’uomo / che a te ritorna dopo lunga assenza / e ti fa sua per sempre.
Mario Santoro
Andrea Cattania, OPERA OMNIA,
pref. di Rossella Cerniglia, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp. 180; isbn
978-88-31497-25-1.
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