LA SPERANZA QUANTICA di GIUSY FRISINA
Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade
Giusy Frisina divide il suo Sul confine (Nel tempo-non tempo della
pandemia) in tre Fasi più una, quella conclusiva.
È una scelta dettata forse dal modo
stesso in cui si è sviluppata o - sarebbe meglio dire - si sono volute
identificare le contromosse per cercare di arginare il propagarsi di
un’epidemia virale che ha coinvolto il mondo intero mettendolo in ginocchio.
Una decisione che trovo originale sul
piano dell’inventiva letteraria ma anche sarcastica, dal momento che non
risparmia di apostrofare gli sbagli commessi (e, tengo a precisare, non tutti e
non necessariamente in cattiva fede).
Torniamo, però, alle “lettere”, alla
scrittura, alla poesia che è quello che più interessa. Ed è proprio dal testo
di apertura - non a caso posto ad esordio del primo stadio - che intendo
principiare.
La luna
al perigeo è “ragazza impudica ed ignara”; già perché così, come il nostro
satellite naturale, è la vita: come i bambini, non ha pudore, non arrossisce,
non si lascia incatenare da nulla (né da noi né dal tempo né dai pensieri).
"Vola oltre i numeri del giorno" ma, attenzione, lo fa perché non ci
sono altri modi per andare avanti. E lei va solo avanti. Non sa di “Cassandre
improvvisate sugli schermi” (che, in seguito, arriveranno anche a scrivere dei
libri).
E qual è la vita? La Nostra se lo chiede
e ce lo chiede: “Ma quale vita resta - se mai vita era questa -”? Anche prima della pandemia: era vita? Non
nasce dal nulla un virus se prima non ci sono le condizioni per farlo nascere, e
le condizioni le abbiamo create noi. Ecco perché non ci sono gli altri, ci
siamo noi: tutti morti non solo quelli di Covid. Ecco perché Gli altri siamo noi stessi.
L’isola
che non c’era - scrive Giusy - nella quale il silenzio regna ora sovrano,
potrebbe essere la Terra promessa “solo che l’umano cammino si accorga / di
tutto quello che di meraviglioso ha perso”.
Su quest’ultima, sua considerazione mi
sia consentito tuttavia di nutrire molto di più di un sospetto. Il cammino
dell'uomo ha attraversato non uno ma migliaia di questi momenti eppure non una
volta è cambiato qualcosa. Si, certo, se ne renderà conto - forse - ma non
sufficientemente da invertire la rotta. E non mi si prenda per pessimista o
catastrofista, nel senso che non nego una palingenesi - al contrario, sono
convinto che ci siamo in mezzo, o all’inizio, chissà? - ma che questa possa
essere operata dall'uomo non è plausibile ed è inverosimile. C'è solo da
sperare, oggettivamente, che Madre Terra non sia arrivata al culmine della sua
pazienza, cosa che dubito mai accadrà: le sue risorse non sono le nostre. Mi
sento perciò: di capovolgere il mio pessimismo in una forma - anche se estrema
e paradossale - di ottimismo, un ottimismo che non si accontenta di scendere
con il numero dei contagi e quindi far finta che nulla sia accaduto.
“Perché niente sarà come prima / ma non
si sa bene come...” - scrive ancora la Frisina - in conclusione della prima
fase - e la risposta le viene, o non le viene, di nuovo dalla luna (La luna dei fiori stavolta). La luna non
può rispondere ma non perché è una stupida palla di sasso; non risponde perché
sa già tutto. Chissà quante volte l'ha visto! Ciononostante il poeta
s'intestardisce a porgliela la domanda sapendo che nel suo silenzio c’è tutto
quello che si deve sentire.
Arriva a dire - nella terza di fase - “Nessuno
era già pronto / quando il mondo non era pronto / …. / Viveva come in una
visione / con la gioia nel non senso / mentre gli altri stavano facendo selfie
/ e sembrava che tutto quel baccano / potesse durare in eterno.”.
“Ma non so / se impareremo mai a giocare
a scacchi / per non distruggere la neve / o svuotare il mare dal mare di
plastica / per salvare le tartarughe d’acqua / e rifondare le foreste abbattute…”.
Ripeto: nessuno può saperlo ma di una cosa ho certezza: se anche dovesse
avvenire, non sarà per sempre. Nulla che provenga da chi nasce soltanto per
morire può essere eterno: è la nostra condizione, che ci piaccia o no. Quanto
meno è la condizione in cui, fin dalla nostra comparsa sulla Terra, abbiamo
voluto identificarci.
E, allora, c’è un’unica speranza ed è
quella che Giusy definisce Speranza
quantica (nella Fase conclusiva,
e non soltanto del libro).
I quanti sono energia, particelle di Dio. Non ci sono alternative per chi tenacemente vuole il futuro.
Sandro Angelucci
Giusy
Frisina. Sul confine. Blu di Prussia Ed. Monte Castello di Vibio. Collana Unicum (poesia da
collezione). 2020
Grazie della splendida interpretazione, caro Sandro. La Luna non sa rispondere , noi si....Abbiamo il dovere di rispondere pur nella consapevolezza di non avere mai l'ultimo verso in tasca. La speranza quantica ha un carattere mistico , è vero, ma accompagna l'eterna domanda domanda rimasta aperta: chi siamo, da dove veniamo? Siamo polvere di stelle e alle stelle torneremo e comunque "siamo fatti della stessa sostanza dei sogni", come diceva il grande Shakespeare ne "La tempesta", che comunque era una commedia e non una tragedia. Un abbraccio e un augurio grande. Giusy
RispondiEliminaLeggervi è annegare nel sapere e nella passione. Il testo mi è entrato nell'anima, grazie a Sandro assimilo altre visioni e ne faccio tesoro. Il contenuto della risposta dell'Autrice è dolce come lei: siamo 'polvere di stelle'e, soprattutto 'fatti della stessa sostanza dei sogni', di quei sogni che in quest'Isola rincorriamo con dedizione. Siete mitici, mi avvolgete in una coperta di luce e di speranza. Vi ringrazio entrambi e vi abbraccio forte!
RispondiEliminaCaro Sandro, come sai, mi interessa molto questa tua riflessione. Ho già avuto modo di commentare la stupenda poesia di Giusy, sostenendo che distruzione e rinascita sono attribuibili soltanto a noi, per cui "occorre prendere in mano la nostra esistenza e fare tesoro delle sonore lezioni". Tu dici giustamente: "Non ci sono gli altri, ci siamo noi". E Giusy conferma: "Gli altri siamo noi". A questo punto consentimi di aggiungere una considerazione: tra gli "altri" occorre considerare anche e prima di tutto la natura. Siamo noi la natura, per cui la palingenesi siamo noi stessi ad operarla. Si, proprio noi, come pure l'Apocalisse, nel bisogno estremo di rinnovarci, di tornare a capo. Ci diamo la distruzione, la invochiamo, più o meno consapevolmente, con tutte le nostre forze, per darci la possibilità di tornare sempre e comunque a capo. Non dico alla santità, ma all'equilibrio edenico tra il Bene ed il Male. Sta qui la "speranza quantica", a mio modo di vedere. Ovviamente la distruzione invocata potrà essere più o meno violenta, a seconda dell'intensità dello squilibrio che si vuole e si deve riequilibrare. In ogni caso occorre imparare ad accettare le disgrazie senza battere ciglio. E' il solo modo che abbiamo per tentare di trasformarle in benedizioni, mostrando - come dice la canzone - di credere ancora "negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani". Ringrazio sia te che Giusy per le riflessioni oramai urgentissime e impellenti che spingete a fare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
In questi freddi giorni della memoria il pensiero va alle vittime della Shoah ed a tutti gli esseri umani sterminati non dalla natura ma dagli umani stessi, pur se considerati "inumani" o "disumane", e vorrei dire giustamente. Ma per onestà filosofica debbo ammettere che non esiste una "natura umana" predefinita e che l'uomo è un essere quanto mai indeterminato, al punto da poter essere definito nello stesso tempo , proprio come diceva Pascal, "gloria e schifo dell'universo". Ma tra le mani abbiamo solo un pezzo di creta avanzata alla creazione, ed è la nostra benedetta e maledetta libertà. Ogni tanto si parla anche di grandi gesti generosi e disinteressati, quanto mai umani...Ora si tratterebbe solo di salvare la natura e noi stessi, impresa ardua, incomprensibile forse...eppure così limpida per il nostro bisogno di dare un senso alla verità e alla bellezza. Grazie per il tuo commento Franco, sempre profondissimo, e un caro augurio per questo anno iniziato. Giusy
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