Cinzia Baldazzi legge “Fantasia della ragione” di Edda Pellegrini Conte
Edda Pellegrini Conte
Fantasia
della ragione
Racconti e monologhi
prefazione di Nazario Pardini
Milano, Guido Miano Editore 2020
pp. 120, € 15,00
La scrittura di Edda Conte tra
immaginazione e raziocinio
Cinzia Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade
La raccolta di racconti e monologhi di Edda
Pellegrini Conte (ventisei in tutto, equamente distribuiti) induce quanti come
me sono affascinati dalla Fenomenologia, nonché dal problema dell’Essere, a un’intensa
considerazione dialettica del pensiero e del cammino letterario. In tale
atmosfera ideologica, nonché poetica, regna sovrana la Natura. In Fantasia della ragione «i prati sembrano
cieli stellati» e gli spazi conoscitivi, ponendo in connessione il soggetto con
l’oggetto, non lasciano in sospeso il destinatario all’interno di un orizzonte che
sembrerebbe a priori non oltrepassabile. Così, ne L’isola, il viaggio per mare condurrà i protagonisti Dotto e
Scrittore ad approdare infine all’isola dei poeti, contraddistinta da una
natura rigogliosa e accogliente: lì, le evoluzioni geometriche dei volatili in
cielo richiamano i versi di Dante e Leopardi alla mente dei due amici.
Tuttavia, per mezzo della fantasia
avvicendata alla ragione, la struttura tecnico-semantica scelta da Edda Conte
genera un macrocosmo in cui valutando “con le idee” transitiamo in una specie
ricettiva caratteristica dell’udire o
del vedere, del figurarsi, dove il sentire
viene assunto e orientato nel circuito di una decodifica della Natura non del
tutto sensibile. Come avviene in Realtà e
fantasia:
Nel sole o in ombra ogni cosa
è scritta nella sua memoria; il profumo del biancospino ricorda l’odore di
casa; i sassi si zittiscono sotto i suoi passi. Questi ambienti sono il “suo
mondo”…
L’input
capace di condurre dall’universo della mente a quello dei fenomeni crea così
un’opera di traslazione che l’antica grammatica del greco classico faceva
coincidere con il verbo μεταφέρω, origine del vocabolo “metafora”.
Più avanti, in Lucio e il gioco delle parole, alla risposta del padre su cosa sia
il futuro («Ora è buio. Quando ci sarà la luce sarà domani. Questo è il Futuro»),
il ragazzino riflette:
“Lo chiederò alla lucciola;
lei ha la luce. Forse per lei è sempre futuro”. Ma la lucciola non ha parole,
la sua luce è piccola e lampeggia appena. “Forse è stanca…”, afferma Lucio.
Ne scaturisce così, in forma avvincente,
impossibile da trascurare, l’intelaiatura logico-intuitiva di un messaggio incline
ad accogliere sfumature del reale adeguate a comprenderlo, a rielaborarlo in
base alla sua esistenza nonché grazie a un incantato e ininterrotto “poter
essere” (chissà, un giorno, il minuscolo ed enigmatico coleottero, una volta riposato,
risponderà). Una simile poetica appare fin da subito “in chiave programmatica” (per
usare la dicitura di Walter Binni), con richiami testuali e rinvii interni alla
raccolta (come la ripresa del tema in Il
prato e la lucciola).
La riflessione dell’autrice coltiva nel
profondo la scoperta dei significati autentici a fondamento della vita morale (in
un archetipo lontanamente esopiano): «Perché narrare storie?», si chiede
nell’epigrafe: «Per rallegrare lo spirito di grandi e piccoli, / ma soprattutto
per ricordare al mondo / che la fantasia è la madre del sorriso». Sul piano
referenziale, però, il complesso delle azioni, degli stati emotivi, dell’Io esplicito,
non si limita a contemplare il contesto alle soglie di un margine ideale, ma si
mette in gioco, a volte in un ruolo antagonista, per realizzare gli obiettivi concreti
e difendere sia le istanze dell’utopia sia il puro raziocinio: esemplari in tal
senso sono le difficoltà, i ripensamenti, le sofferenze, le svolte umane nei
due brani rispettivamente in apertura e chiusura della sezione racconti, ovvero
La storia di Narrante e Il sonno del senno.
I valori dell’Umanesimo, così sapientemente
rappresentati dalla Conte, offrono un’occasione di recupero se il τόπος
dell’esistenza, anziché esigere di ancorarli, stigmatizzarli nel firmamento
delle stelle fisse, si rivelerà proficuo nel reinventarsi con un immaginario basato solo su se stesso, alimentato
da un personale impegno organizzato sull’agire, sulla decisione del “voler
essere” e, come artista, del “voler narrare”.
Le incursioni di Edda Conte nel territorio
metapoetico sono frequenti, sia nel nutrire l’invenzione dei racconti, con
l’esordio dedicato a La storia di
Narrante e proseguito con L’isola
(tra citazioni dantesche e leopardiane) e L’abbraccio
di un sogno (dal finale ungarettiano), sia nell’esporre specifiche
attenzioni ispirative dei monologhi: il Canto
notturno e L’infinito di Giacomo
Leopardi [Forse s’avess’io l’ale, L’isola], Eugenio Montale [Ciò che non vogliamo], Ugo Foscolo [Pioggia], Ovidio e Catullo [Monologo del tempo].
Nessun ambito esclusivo di punti di riferimento
supremi, d’altronde, se non la salda consapevolezza in grado di appellarsi alla
libertà dell’uomo, appoggiata, non giustificata, dalla sublime disponibilità
divina: esemplari sono l’incontro tra i credenti e lo scettico [L’ultima pagina], la Natività [E se la fine fosse l’inizio?], la Fede [Nio e il Buon Natale], le domande al
Creatore [Con Dio]. Dunque, coglie
nel segno Nazario Pardini quando asserisce come nell’opera della Conte sia
possibile rinvenire «la vita, la brevità del suo svolgersi, il memoriale, le
radici, gli affetti, l’onirico, la parola, la favola, il prato, la lucciola,
l’isola, il vento» e ancora «la fine, l’inizio, la realtà, la fantasia, il
senno, il tempo, Dio», rilevando quanto non esista nulla di più spirituale
della conoscenza, del Sapere, lungo il «volo della scrittrice in braccio alla
sua creatività verso il superamento del limen a portarla in mondi di onirica
bellezza». Sottili tracce della Fenomenologia heideggeriana, ritrovate qua e là
nel libro, sono rielaborate appunto in termini di αἴσθησῐς
letteraria: ad esempio, Divagazioni sulla
bellezza connette e fa agire in maniera feconda e inestricabile i concetti
di Tempo, Natura e Bellezza.
In un analogo iter simbolico, nell’aura ontologica sviluppata da Fantasia della ragione, con quale dilemma
dell’Essere - in noi e nel microcosmo - dobbiamo fare i conti? Il rischio di
smarrire la strada risulta alto:
Ormai, immagine e corpo, Senno
comincia a muovere i primi passi nel mondo. Un mondo di tentazioni, confuso,
caotico, apparentemente felice, ma chiaramente dissennato. In qual modo potrà,
con il suo voluminoso corpo, raggiungere la mente dell’uomo?
Lo status antropomorfico assegnato a un
soggetto virtuale, la personificazione di uno stato mentale, portano a far governare
il monologo Il sonno del senno da una
logica “a misura d’uomo”, preservando il testo dall’astrattezza: accanto al
Senno, prendono vita Fantasia, Piacere, Vizio, Violenza, Follia (non
diversamente da quanto accade al Sonno ne L’abbraccio
di un sogno).
Seguendo queste pagine siamo così catturati
dall’ansia sincera di rispondere con l’intuizione fantastica alla pietà, ai
timori, alla nostalgia della mémoire,
quasi fossimo coinvolti - nell’immediato - in un progetto all’altezza di porre interrogativi,
inaugurare prospettive critiche su sicurezze erronee o beni acquisiti in misura
indebita. Temiamo, quindi, il falso, al pari del troppo consueto: «danno
fastidio le bucce di mela nel piatto, con i semi dell’uva e qualche chicco
scartato ammuffito sputato» [L’orchidea
dell’anniversario]. Come sottolinea ancora Pardini, il «linguismo
scorrevole, paratattico, apodittico, conclusivo» riserva anche «spazio al
lettore per eventuali letture personali, soggettive».
Trapela in alcuni passi, nelle pagine della
Conte, una sorta di ermeneutica heideggeriana (da me conosciuta in particolare
grazie allo studioso Franco Volpi) tesa a rendere visibili gli elementi
nascosti, protagonisti del nostro genuino senso dell’essere nelle modifiche graduali
e nelle derivazioni: in una ψυχή formata di naturalità e intelligenza, con
l’arte condivisa dalla sensibilità accanto al raziocinio, in un’estensione
corporea contigua al meditare. Nell’insieme emblematico, polisemico, così
costruito e incrementato, non manca di certo il vuoto: suggerisce turbamento, paura, sebbene proponga una sfera del
nulla priva di valenze assolute. La Conte gli ha riservato, verso il finale
della sua opera, il breve soliloquio Sul
vuoto (del tempo), in cui la fitta serie di osservazioni e pensieri è
interrotta da alcuni interrogativi:
E la mente vuota?
La mente svuotata da ogni
pensiero è quanto richiede la filosofia Zen per arrivare alla concentrazione,
fino a percepire il suono di una sola mano, e infine raggiungere l’Illuminazione.
Nondimeno, il Κρόνος scorre nella sua
relatività, immerso nel “vuoto” forse minaccioso, in linea quindi con la
materia. Testimonianza di tali ragionamenti espressi in forma narrativa
riguardano l’idea di futuro [Lucio e il
gioco delle parole], il viaggio nello spazio-tempo [La favola del MaiMai], il senso di non-essere e il nulla [Monologo del Tempo], il vissuto
quotidiano [L’orchidea dell’anniversario].
Si chiede l’autrice: «Cosa resta?».
Senz’altro «il pensiero, la mente». Allora evochiamone il ritorno in campo, affinché
l’hic et nunc riflesso nella ποίησις della
nostra Edda Conte divenga espressione di un linguaggio dove i significati
possano agevolare l’apertura progressiva, a tutti, del mondo che ospita loro e noi.
Cinzia Baldazzi
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissima Edda. Ho letto di getto questa tua ultima magia approdata su Leucade e poi l’ho riletta più volte per apprezzarne ogni suo singolo significato simbolico. Se la mia penna fosse in grado di scrivere il messaggio di emozioni che il cuore mi detta nel commentarla, non saprei trovare parole sufficientemente idonee per lodare la sensibilità della tua immaginifica arte allegorica. Sarebbe come pretendere di eseguire una meravigliosa sinfonia suonando con un pianoforte non accordato. Leggerti è sempre un dono di insegnamento e, se finora la mia stima nei tuoi confronti è stata grande, ora è divenuta immensa. Grazie per la pazienza che sempre mi concedi con irrinunciabile altruistica amicizia. Ti stringo forte in un abbraccio insieme al nostro Nocchiero Nazario.
Lino D’Amico
Il mio grazie a Cinzia Baldazzi,
RispondiEliminaE' una meravigliosa lettura, una esaustiva esegesi di ineguagliabile spessore filosofico, un'attenzione ad ogni particolare di questo mio libro , che amo in quanto parte di me, del mio pensare, del mio vivere la storia nel mondo.
Grazie, carissima eccellente critica, notevole per cultura, sensibilità e personalissime qualità espressive.
Mi unisco al prof Pardini per esprimerti tutta l'ammirazione che meriti.
Il piacere di leggerti è grande e raggiunge la profonda soddisfazione che il pensiero conclusivo della tua esegesi mi comunica, per come percepisco la tua partecipazione al mio stesso sentire il valore del "pensiero".
Con un abbraccio grato ti esprimo tutta la mia stima.
Ti auguro Buon Anno 2021, con la mente ed il cuore.
Edda Conte
Temo che le parole sono povere nel descrivere , tutto questo capolavoro
RispondiEliminaMi ha emozionato molto questa frase:
,,Nel sole o in ombra ogni cosa è scritta nella sua memoria; il profumo del biancospino ricorda l’odore di casa; i sassi si zittiscono sotto i suoi passi. Questi ambienti sono il “suo mondo”…
Sembra anche il mio mondo
Complimenti all'autrie e la grandissima Cinzia Baldazzi , che ogogni volta ci stupisce con le sue recensioni ,oppure prefazioni 🍀🎁😊
E'una bella scrittura quella di Edda Conte che avvince e spinge verso innumerevoli riflessioni.
RispondiEliminaComplimenti all'autrice,a Nazario Pardini che ne ha curato la prefazione ed anche a te che offri stimoli con la tua analisi ad ampio raggio e le tue attente considerazioni.
Complimenti vivissimi!
Il libro sarà sicuramente bello e in base a quello che ho letto sopra, molto interessante.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la recensione di Cinzia, posso dire che è molto profonda, tanto è vero che viene voglia di acquistare il libro.
Brava l'autrice e Cinzia ottima maestra.
Rita Iacomino