Caro Nazario,
Adriana Pedicini, collaboratrice di Lèucade |
Dunque…inizio
dalla parte centrale del corpus Dagli scaffali della biblioteca. Definirei le
poesie ivi comprese dei παίγνια, dei giochi letterari, alla maniera di Catullo.
Che poi giochi non sono se si vuole alludere a qualcosa di effimero e
superficiale, bensì il frutto di un grande lavoro di cesello unito a profondi
motivi ispiratori che, partendo dai veri e propri idilli dell’inizio di questa sezione,
fanno della poesia la compagna migliore a superare le intemperie della vita: ‘Resto solo. Ma nell’aria continuano a
volare/parole e melodie; indifferenti/al giungere di nubi ed acquazzoni’.
(III)
Una
corona, una ghirlanda di componimenti poetici tutti modulati sul dialogo o sul
contrasto: botta e risposta, dove s’intrecciano numerosissimi esempi di
intertestualità esterna. Ne viene fuori una carrellata di testi di
personaggi/autori verso cui il Nostro prova una sorprendente empatia, riuscendo
a captare le sottili sfumature di animi inquieti, che poi sono anche le sue. A
cui accosta il suo racconto poetico senza evidenti fratture stilistiche con i
suoi interlocutori che disturbino la lettura. Talvolta crea anche delle isole
di metapoesia, riflettendo su dati teorici, come quando fa riferimento alla
pari dignità e necessità, in un testo poetico, del contenuto e della forma. Lo
fa attraverso le parole attribuite a D’Annunzio e Leopardi.
È qui
che risalta, come sarà poi nella prima e seconda sezione del libro, la
necessità degli affetti domestici, in particolare della madre, come si evince
da numerosissimi esempi di Autori che gli chiedono, nell’immaginario colloquio,
di recitare i versi sulle tombe di quelle, quale estremo tributo ad un affetto
inesauribile.
Non è
da credere tuttavia che la saudade sia l’unica tonalità delle poesie.
Al
contrario, troviamo spirito, immediatezza, salacità, audacia stilistica e
lessicale, variazione ritmica, una scelta resa possibile dall’affinità con il
poetare del Veronese.
L’ammissione
di Nazario Pardini nel novero dei Poeti avviene con una trovata metaforica in
cui si esplica attraverso una fiaba il rapporto tra ricchezza e povertà, tra
felicita e tristezza, la cui differenza è determinata dall’homo faber, ma
consolidata dall’Amore.
Incontri
felici, incontri istruttivi, incontri mesti come quello con Saba, intriso di
profondo affetto per la sua Lina. Circola in questa poesia una sorta di critica
dell’opera di Saba, ma con una leggerezza tale che sembra sia davvero il poeta
triestino a parlare. Tanto dolore, ma mai quanto traspare dai versi dedicati a
Pavese, lasciato solo a combattere contro i suoi mostri, generati forse dalla
solitudine a seguito della scomparsa del padre e non compresi dai
contemporanei.
Spesso
Nazario Pardini presta la voce, ossia le parole, al pathos di Poeti divisi tra
il desiderio di bellezza e la mostruosità del reale, come nel caso di
Cardarelli: ‘Ora sono qui/ dentro i miei
canti o dentro le memorie/di una vita infelice e menomata’.
La
dolcezza di Sentimento del tempo e, interpretando il Poeta, l’invito all’ Allegria, che sola può dar vita alla
pace, che sola può dar luogo all’Amore, sembra superare perfino il dolore della
guerra nella voce rotta di Ungaretti, cifra del suo animo cupo.
Anche
nei Poeti della Biblioteca il rimembrare la vita trascorsa, soprattutto gli
affetti, è sinonimo di dolcezza e commozione, come il Nostro ben rappresenta
descrivendo la figura mesta di Francesco Pastonchi
‘Vorrei che tu portassi La mia fiaba sulla
sua tomba (della nonna)” “La commozione gli arrivò negli occhi/che umidi di
pianto si serrarono’.
Un
perfetto gioco di intarsi intertestuali avvicina Leopardi a Saba e Bertolucci e
alla poetessa Giuseppina Cosco. Su tutti aleggia la tristezza e in particolare
dai Poeti meno frequentati sale la preghiera che almeno lui continui a leggere
i loro versi.
Davvero
bella e delicata l’accorata preghiera di Caproni-Pardini nel ricordo struggente
della madre.
La
poesia che consola, la poesia che completa vite monche, la poesia che ironizza
sui lati grotteschi della vita, la poesia che reifica le illusioni di una vita,
la poesia che ricorda, la poesia che crea nuove realtà emotive nel ricordo.
Tutti sono impastati di queste inclinazioni, ma c’è bisogno del colpo d’ala,
della parola che voli alta come volo d’aquila in un cielo terso e
incontaminato.
E tale
potenzialità non è negata certo a NAZARIO che sa creare spesso
un’identificazione perfetta col poeta interlocutore o comprimario sicché si
stenta a distinguere il prestito letterario dalla sua creatività, come
nell’incontro con il Montale di Ossi di seppia.
A
questo punto appare legittimo il desiderio di essere compreso tra i grandi
della biblioteca perché anche su di lui non vinca Libitina.
‘mi piacerebbe tanto che i miei versi/trovassero
del posto in biblioteca’…XXVI
Prima
e dopo questo corpo centrale, quasi con una composizione ad anello, vibrano le
poesie per i familiari, per la donna amata, per i ricordi del passato che poi
non sono altro che evocazioni di vita vissuta con la suggestione di poterla
rivivere. Non romantica nostalgia, ma recupero concreto, reale, di sensazioni,
visioni, affetti, oggetti e persone vere e situazioni reali che hanno lasciato
l’amaro della ferita o il balsamo della carezza nell’animo di Pardini. Emergono
in queste liriche la dolcezza della casa dell’età giovanile, tutte le tessere
del mosaico di una memoria che è intrisa di realtà, che non vuole recuperare la
madelein di un evento, di un incontro, ma è la struttura portante di una vita.
Tanto che, quando subentrano stanchezza e solitudine, è sempre la memoria la
via salvifica. Inevitabilmente si fa la conta dei valori acquisiti, dignità
innanzitutto, si rimpiangono le parole non dette, le cose non fatte e si
soppesa la propria condizione attuale. E tanti eventi, tante figure passano
davanti agli occhi come scene di un film, come le pagine ingiallite di un libro,
che non sono destinate a scomparire, ma persistono ed è bello andare a rileggerle
perché tutto è vero, reale, intriso di concretezza e verità. E di Amore: per il
padre, per i fratelli, per i nipoti, e infine per quella che fu e rimase la sua
donna, Delia, sempre agognata e mai raggiunta.
Sarebbe
materia per un film, un racconto di ampio respiro, un romanzo verista: c’è la
casa, l’orto, la collina; ci sono i bambini, i pianti, i ruzzoloni, la scuola,
ma anche le gioie, gli affetti, l’amore e le prime passioni; l’amore per
l’arte, i silenzi, le assenze, le presenze costanti dell’animo, nell’animo. E
tutto è tenuto insieme da una grande capacità di donare amore, di viverlo e
proiettarlo come luce su tutto, e di riassorbirne a sua volta la luce, perché
essa ritorna sovente indietro, cosicché la solitudine cessa di essere tale se
può colmarsi di tanti ricordi. Se poi si aggiunge il sogno, la capacità di
perpetuare lo stato di grazia ingenerato dalla figura dell’amata, anche di
questo motore vitale ci si avvantaggia, e la mente, sebbene s’inganni, gode
della vicinanza di colei che ha fatto sognare il Nostro Poeta, sebbene le
braccia rimangano conserte a stringere il nulla, come già fu per Enea e la sua
Didone. Ma reale è la bellezza che sotto forma di profumo inebria l’innamorato
che ancora attende simili visioni, quelle dei sogni giovanili, gli unici a non
essere scalfiti dallo scempio che il tempo opera sui corpi.
Nella
finzione letteraria conclusiva Nazario si ritira in silenzio nella biblioteca,
soddisfatto di stare accanto al suo Catullo e condividere con lui gli slanci e
le schegge di felicità di un’età trascorsa per sempre.
Adriana
Pedicini
Adriana! Che splendida sorpresa. Ti ritrovo in un'esegesi magnifica, da autentica studiosa e da donna vibrante, passionale quale sei, sull'Opera del nostro Poeta che ci ha conquistato tutti. Sei dettagliata, analitica, eppure immersa nel clima dell'Autore, che parte dai paese delle memorie e approda alle dieci poesie d'amore dedicate alla sua 'Delia', figura che si staglia altissima nell'immaginario comune. Sapessi quanto sogno di identificarmi in lei. Ovviamente ti soffermi a lungo sulla sezione centrale, di rara originalità, che vede un Poeta perso tra i grandi della nostra letteratura in fuga dalle pagine dei tomi della biblioteca... Ha il piacere di incontrarli, di discutere con loro, di far ascoltare le sue liriche amorose. Un' Opera che, come sottolinei in modo superbo è: 'La poesia che consola, la poesia che completa vite monche, la poesia che ironizza sui lati grotteschi della vita, la poesia che reifica le illusioni di una vita, la poesia che ricorda, la poesia che crea nuove realtà emotive nel ricordo'. Adriana mia, non ti vedo da tanto, eppure ti ritrovo come se non ti avessi mai lasciata: potere dei ricordi, del loro incanto indelebile. Grazie di avermi fatto calare nella tua realtà e nella dimensione della Poetessa che legge il Poeta, ovvero nella critica letteraria più alta che si possa concepire. Ti porto nel cuore insieme al nostro Condottiero, che permette questi incontri rigeneranti.
RispondiEliminaMaria...i più profondi sentimenti si esprimono forse col silenzio e io, leggendo la poesia delle tue lodi, da me immeritate, non posso che rimanere "a bocca aperta", incapace di proferire parola. Ma una cosa almeno devo sottolineare. Non c'è via che sia impervia rispetto alla circolazione delle idee, dei sentimenti, del comune vivere la realtà più vera che possa esistere, perché immediata, riluttante a farsi imbrigliare dalla menzogna....verrebbe subito scoperta!ed è la poesia. Pertanto anch'io, dopo aver ringraziato te, ringrazio con te il nostro Nazario che di questo cenacolo poetico è l'anima più nobile, più alta...in una parola il Maestro.Ti abbraccio. Adriana Pedicini
RispondiEliminaCarissima Adriana
RispondiEliminaSono molto felice di ritrovarti su quest'isola, ricordo con grande simpatia le nostre presentazioni a Roma.
Un grande abbraccio anche al nostro Condottiero che permette questi incontri inattesi e gioiosi.
Loredana D'Alfonso