sabato 1 agosto 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "L'INCANTO DELLA MEMORIA" DI GIOVANNI SCRIBANO




NAZARIO PARDINI LEGGE
“L’INCANTO DELLA MEMORIA”
DI GIOVANNI SCRIBANO

Natura, memoria, fede e musica nel canto di Giovanni Scribano

“Conosco la tenerezza di quegli occhi / due ciliegie blu marino dai riflessi / di cime imbiancate. / E ritornano anche l’ore pesanti / con quell’odore caldo / di sudore sui capelli / e di fuliggine nel camino. / E ricordo brulli spazi / e rosse lune e innumerevoli sere / trascorse a osservare i canali in lontananza, / mentre lei, mia madre, / nelle notti profumate di tiglio sedeva sulla soglia. / Già la rabbia marcava i miei passi / giorno dopo giorno / senza che io potessi contenere / l’erompere dei pensieri. / La sua voce da spazi immoti / s’innalzava verso le stelle, / risuonando fra campi e città, / sussurrando dorate parole. / La luna frattanto giocava / coi tetti” (Al riaffiorar dei ricordi). Un poeta proteiforme, plurale, polisemico; eclettico e versatile Giovanni Scribano. Il suo mondo poetico ha attraversato i confini regionali per farsi conoscere da tutti gli amanti della poesia e non solo. La sua è una narrazione intima, ontologica, forbita di andate e ritorni, di rievocazioni, di abbracci a fatti e avvenimenti che hanno disegnato il percorso della sua vita. E si sa che le memorie sono la condizione necessaria che determina il flusso del bel canto. 
È sufficiente leggere la poesia incipitaria per rendersi conto di quanto il memoriale abbia contato nella produzione artistica del poeta. Già dall’inizio, quel verbo all’imperfetto indicativo (conoscevo la tenerezza di quegli occhi…), ci porta a compiere un viaggio di epigrammatica intrusione emotiva, che pésca dal passato amori e stati d’animo degni di essere storicizzati. Basta il verbo a condurci da subito nel mondo del bel canto, dove i fatti sono sedimentati nel profondo prima di uscire a nuova vita; si sono enfatizzati, si sono dilatati col contributo del tempo.
Tirare in ballo gli aneddoti dei vari scrittori non è di certo vano, dal momento che proprio loro confermano la validità delle tematiche che Giovanni Scribano fa sue nel tragitto epistemologico: “Tra noi e l’inferno o il cielo c’è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo.” (Blaise Pascal 1623-1662, Pensées); John Donne, 1572-1631, scriveva: “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”; “È proprio questa l’anima fondante del canto; lo stesso Federico Garcia Lorca, 1898-1936, pur fedele al suo elegante e musicale “castillano”, poco tempo prima di essere ucciso pubblicò “Seis poemas gallegos” in dialetto galiziano per dare maggiore sonorità eufonica al suo poema: “Imos silandeiros orelha do vado / pra ver ô adolescente afogado. / Imos silandeiros veiriña do ar, / antes que ise río o leve pro mar” (Andiamo in silenzio orecchio del guado / per vedere l’adolescente annegato. / Andiamo in silenzio, poca aria, / prima che quel fiume lo prenda via mare…); “D’altronde tutti concordiamo con Quinto Orazio Flacco 65 a.c.- 8 a.c.), quando affermava che “prima di Agamennone vissero molti eroi, ma tutti, non compianti o sconosciuti, sono avvolti da una lunga notte, perché a loro mancò un sacro vate” (Vixere fortes ante Agamemnona / multi; sed omnes inlacrimabiles / urgentur ignotique longa / nocte, carent quia vate sacro, Carmina, l. IV, 9, vv. 25-28); “E, come diceva Platone (428-348 a.c.), “… Al tocco dell’amore ognuno diventa poeta”; “Vita, con la quale la poesia stessa è inscindibilmente legata, come afferma john Keats (1795-1821) nell’ode l’Autunno, ove esprime il desiderio di essere un “uomo” e di ritornare un giorno “nelle radici ..., da cui ci stacchiamo come frutti sfacentisi, non per perire, per verdeggiare di nuovo al sommo dei rami dell’albero della vita e respirare insieme con la natura”; “È nel ricordo e nel tempo che gusto quelle lacrime” afferma Luigi Pirandello (1867-1936)…”; “È dopo un viaggio in cerca di falsi miti che si apprezza quella verità che avevamo davanti agli occhi ogni istante” afferma Joachim du Bellay (1522-1560); “Tornate all’antico e sarà progresso” Giuseppe Verdi (1813-1901); mentre Alfredo Panzini (1863-1939) definisce i poeti “simili al faro del mare”; “La musica è amore in cerca di una parola”, Sidney Lanier (1842-1881): “Il sentimento poetico si ottiene nell’unione tra poesia e musica, giacché nella musica, forse, l’anima raggiunge quasi interamente il grande fine per il quale, se ispirata da un sentimento poetico, essa lotta… per raggiunge la creazione della Bellezza Suprema…”; “La memoria è tesoro e custode di tutte le cose.” Marco Tullio Cicerone (106-43 a.c.); “Cos’è un uomo nella Natura? Un nulla davanti all’infinito, / un tutto davanti al nulla, / qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto.”, Blaise Pascal (1623-1662); Thomas Mann (1875-1955) sulla creazione artistica: “conoscere in profondità e rappresentare in bellezza”; “… si dice al mio paese che dall’oro non nasce niente ma dallo sterco può nascere un fiore.”; “ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare” Victor Hugo, (1802-1885); “Dove siete diretti?” la domanda ai viandanti nello Heinrich von Ofterdingen (1798-1801), di Novalis. La risposta “Sempre verso casa”: il viaggio quale odissea, quale ricerca, quale formazione, quale metafora della vita, quale nostoi; Se gli anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se scoperchiamo una tomba, la natura vi pone il nido di una colomba: incessantemente occupata a rigenerare, la natura, circonda la morte delle più dolci illusioni della vita”, François René De Chateaubriand (1768-1848), dans le “Genie du Christianisme”; “le parole mostrano il loro legame con la musica... La parola nasce dal ritmo, come la musica. La poesia utilizza il ritmo in modo letterale e la filosofia, che non canta, si muove sulle tracce del ritmo e attraverso di esso vede. Vede il Ritorno. Vede l’Enigma” (Carlo Sini). Parafrasando Jules Renard (1864-1910), possiamo dire che “Nella casa della poesia la stanza più grande è la sala d’attesa”; “Nec morti esse locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caelo (“Per la morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto cielo”, Publio Virgilio Marrone (70-19 a.c.), Georgiche , IV, 226-7); “... Conoscere è ricordare..”, Socrate (470-399 a.c.); “La ragione non ha mai asciugato una lacrima e la filosofia può riempire pagine di parole magnifiche, ma dubitiamo che gli sfortunati vengano ad appendervi i loto vestiti” René De Chateaubriand (1768-1848); “Noi siamo quello che ricordiamo / il racconto è ricordo / e ricordo è vivere” Mario Luzi (1914-2005).
Una serie di pensieri che ci dicono dei vari momenti della poesia; una serie di estratti che messi assieme, assemblati in un discorso unico, ci accostano a ciò che Scribano intende per “poema”: immagine, sentimento, rievocazione, saudade, scosse creative. Ed è da qui che dobbiamo iniziare per leggere i suoi versi, per capire i suoi voli en haut, verso il Cielo, partendo dalle umili cose che fanno la storia degli uomini.
Questo è Giovanni Scribano, il suo mondo, la sua poetica, la sua vicenda; e in lui la poesia è vita come la vita è poesia: amore, natura, musicalità, memoriale, fede sono i cardini sui quali poggia la sua narrazione: una architettura poetica che avvince e convince e che nella natura trova le parole del suo dire. Cosa e chi sarebbe lo scrittore senza l’apporto delle policromie paniche? Sono in esse i lessemi, i monemi atti a concretizzare il suo pathos; è nella natura il percorso della sua storia. Una storia che trova nell’approdo dell’isola la luce della sua ricerca spirituale; del suo escatologico travaglio esistenziale: “Le cicale friniscono, / occhieggia l’agrifoglio, / s’apre l’anima al tuo sole / splendente. // Signore, disseta / la mia sete di luce. // Ascolta il mio canto. // Signore, illumina il mio cammino, / non rinuncio a sognare. / Volo fino al tuo cuore, / la strada è la preghiera” (Preghiera).
Nazario Pardini


Giovanni Scribano, L’incanto della memoria. Prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp. 80, isbn 978-88-31497-21-3.


1 commento:

  1. Il magistrale Nazario Pardini si cimenta nell'analisi dell'Opera di Giovanni Scribano, che si prospetta di altissimo interesse per la perfetta cifra stilistica dei versi e per il ricorso al paese della memoria che, una volta di più, testimonia quanto il passato non possa dirsi tale, visto che rappresenta un continuum con la vita presente e futura di ognuno. Nel testo la natura regna sovrana, ispira l'Autore e Nazario si chiede: "chi sarebbe lo scrittore senza l’apporto delle policromie paniche?" In effetti i Poeti e gli elementi della natura sono indissolubilmente legati, sembrano un tutt'uno, e non v'è da stupirsi, in quanto i veri miracoli poetici ci circondano e solo da essi si può trarre spunto per creare e per trovare ispirazione. La Poesia va a cercare i veri Artisti, lo disse il grande Neruda, e mi piace ripeterlo. Si verifica una sorta di incantesimo e l'Autore de "L'incanto della memoria" dimostra in ogni aspetto di possedere la purezza incandescente del Poeta vero. Mi complimento con il recensore eccellente e con L'Autore, che spero di poter conoscere. Abbraccio il primo e saluto ammirata entrambi.

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