Carla Baroni, poetessa |
Caro Nazario,
qualche tempo fa è
apparsa sul tuo blog una serie di articoli sui taroccamenti, disguidi, o altro
di alcuni premi di poesia, tutte cose che non invogliano certamente a prender
parte a simili concorsi. Comunque, dato che questo è l'unico modo per fare
conoscere i nostri lavori e dall'esterno non è facile giudicare l'affidabilità
o meno di un concorso, si continua a partecipare fidando nell'onestà dei
giurati e degli organizzatori. Premetto che non sono una che protesta quando
vede l'ingiustizia di certe graduatorie e anzi ringrazio anche per una semplice
segnalazione quando, a mio giudizio, avrei meritato molto di più: mi riservo
soltanto il diritto del mugugno che esercito solo con gli amici più
intimi. È forse questa apparente rassegnazione, questo accettare con il sorriso
sulla bocca che vengano talvolta premiate poesie che sono la evidente parafrasi
di testi che dovrebbero essere noti, soprattutto di Montale, – perché copiare
significa anche questo- che fa di me la giuggiolona con scritto giocondo sulla
fronte. Ed è per tale motivo, per sfatare cioè questa fama immeritata che mi
sono involontariamente guadagnata, che voglio riferire che cosa mi è capitato
al Rhegium Juli di quest'ultima edizione.
Vengo
avvertita con non molto anticipo che sono finalista per una silloge inedita di
poesia che contiene anche molte liriche premiate in altri concorsi. Al Rhegium
ho sempre partecipato con una raccolta perché, data la distanza da Ferrara mia
città, il compenso per la poesia singola copre appena le spese. Ma per la
silloge si promette, in caso di vincita che viene proclamata solo nella
cerimonia conclusiva, la pubblicazione di ottocento copie della raccolta
inviata, pubblicazione che viene poi distribuita - anche se in veste molto
modesta- al colto e all'inclita procurando una certa notorietà.
Da
come mi viene risposto quando confermo la mia presenza alla serata finale
capisco subito che non ho alcuna speranza di vittoria: se stessi a casa farei
un grande piacere all'organizzazione. Però ai premi si fanno conoscenze, si
intrecciano amicizie e parte delle spese sono pagate.
Non
sto a dilungarmi a descrivere la premiazione: dico soltanto che non si è
classificata alcuna silloge perché, alla richiesta fatta da me pubblicamente,
nessuna di esse aveva raggiunto il
punteggio necessario per essere vincente. In definitiva mi ero fatta dodici ore
di treno (unica condizione per essere rimborsata delle spese di viaggio) e
altrettante le avrei fatte al ritorno per sentirmi dire, in sintesi, che le mie
poesie erano così brutte – e così quelle degli altri candidati - da non
meritare alcun riconoscimento. Mi ero accorta che mi avevano fatto leggere, in
un ventaglio di quaranta poesie, quella di minore impatto però...
Analoga
conclusione per la poesia dialettale ma i partecipanti erano tutti del luogo e
non avevano fatto alcuna spesa.
Poiché
la clausola interna addotta a giustificazione non appare nel bando, poiché, in
caso di parità, il premio avrebbe dovuto essere diviso tra i concorrenti,
poiché un vincitore già da oltre due anni attende la pubblicazione della sua
raccolta, poiché inoltre sembra che l'anno scorso la sezione silloge non fosse
prevista, quali conclusioni si possono trarre da tutto ciò? Ognuno la pensi
come vuole ma si ricordi che questo non è un premio gratuito ma viene pagata
una tassa di lettura il che configura anche diversamente le responsabilità
degli organizzatori di fronte alla legge.
E
allora faccia attenzione chi mi ha seguito in questo mio sfogo prima di
dissanguarsi in tentativi inutili in concorsi a pagamento. Già una trentina di
anni fa qualcuno, più esperto di me, mi aveva avvertita che esistono perfino
premi che figurano solo sulla carta: insomma chi li riceve restituisce la somma
assegnata, gli rimane soltanto la gloria se gloria è.
Credo,
a questo punto, che dovremmo mettere i piedi per terra e costituire un sindacato
poeti. Ne salterebbero fuori delle belle!
Ciao,
grazie dell'ospitalità.
Carla Baroni
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