Le faville volarono nel cielo
di una notte d'estate.
Si spensero i falò col primo giorno.
Ceneri calde sulla fredda rena,
incise di romanze e di sorrisi,
furono sparse dalla tramontana.
LA TREBBIA
E l'arsura trapassa la pezzuola
che difende la gola dalla pula.
Odori agri,
compagni di calure,
ritorni violenti di campagna
diffusi dalle manne trangugiate
alimentano immagini procaci
sopra le braci
di fuochi di fascine.
DA: Nazario Pardini: LA CENERE CALDA DEI FALO'
ETS. Pisa. 1997
Leggendo la prima lirica del Professor Nazario sono rimasta in una sorta di limbo estatico. Le immagini liriche 'si vedono', sono di incandescente purezza e trascinano in una dimensione della poesia, spesso sconosciuta, quella del 'battesimo esistenziale'. Non esiste questa definizione, l'ho coniata or ora e me ne assumo la responsabilità. Intendo alludere a un soave nostalgico cantico della vita, di ciò che è, di ciò che si perde, di quanto resta... Una perla. Incastonata nel tempo di ognuno. Una lezione di poesia che in in sei versi racchiude l'attimo eterno che ci è concesso di vivere... "La Trebbia", bucolica, porta in sé gli stessi semi di esistenzialismo, di ritorno al passato, senza saudade, con l'ispirazione pura, che credo si possa tranquillamente definire vocazione. La commistione di espressioni liriche ed altre quotidiane regalano al testo il potere raro dell'Arte assoluta: " ritorni violenti di campagna / diffusi dalle manne trangugiate... Grata per una simile lezione...
RispondiEliminaMaria Rizzi
Errata corrige: regala al testo
RispondiEliminaCarissima Maria,
Eliminatroppo buona e, al contempo, maestra di un linguismo che affabula e convince. Sì, entra nell'anima, arruffa i sentimenti, li scompiglia, e li ri-porta, 'puliti', alla vita con la netta coscienza della sua vicenda tristemente felice. Immensamente breve per dire il tutto.
Grazie
Nazario
Ecco, sugli scogli di Lèucade, altre due perle di Nazario Pardini. Faville spente sul far della notte e ancora "ceneri calde" a donare l'ultimo calore di un sorriso, su di una spiaggia dove l'estate brucia ceppi e canti giovanili di "romanze". Memorie, forse, dei vent'anni, quando alla luce delle stelle, si poteva passare anche la notte, a dirsi addio al vento della "tramontana". O alle "immagini procaci sulle braci di fuochi di fascine. Non sulla "rena" soltanto, ma sulle aie delle campagne, dove la pula della trebbiatura "trapassa la pezzuola" e brucia la gola come "manne trangugiate". Anche qui, nel vento che adduce il turbinio di immagini e di pensieri.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Grazie, Umberto, per il tuo commento che va nel profondo del dettato poetico, rivelandone, con autoptica incisività, i più segreti significanti.
EliminaUn abbraccio
Nazario
Ecco: i versi di Nazario sono alimentati dalla brace dei ricordi, ma sono "cenere calda". Le scintille dei "fuochi di fascine" hanno preso il volo nel cielo estivo e sono state disperse dalla tramontana perché il tempo è inarrestabile.
RispondiEliminaLa parola, questa parola, però, ha assorbito tutto quel calore, ne ha fatto una riserva inesauribile.
E il poeta vi attinge come si tira su l'acqua dal pozzo (un'acqua che anziché spegnere accende, sia chiaro): con un secchio mai troppo pieno ma colmo dei riflessi delle stelle che illuminano la sua anima e la sua terra.
Ineccepibili stilisticamente, queste poesie trasmettono il caldo buono della vita.
Sandro Angelucci
Grazie Sandro,
RispondiEliminaper la tua perspicace interpretazione.
Nazario