SOLTANTO UNA VITA romanzo di Ninnj Di
Stefano Busà, Ed. Kairos, 2014
a cura di Rosanna Di Iorio
Ho incontrato Ninnj Di Stefano Busà
attraverso le sue poesie e ho amato il canto puro dei suoi versi, la profondità
del suo sentire la vita, la delicatezza ferma e serena dei suoi principi, il
suo bisogno di donare bellezza dedicando la propria intelligenza e il proprio
cuore alla poesia. È innanzitutto una poetessa tra le più accreditate fra i
contemporanei, oltre che critico letterario e saggista, ed oggi si propone
anche come narratrice con il romanzo “Soltanto una vita” la cui trama, che
potrebbe appartenere ad ognuno di noi, viene descritta con intensa
partecipazione etico-sentimentale e pur snodandosi in un contesto socialmente
alto, comunemente disattento ai veri sentimenti, fin quasi all’indifferenza,
quest’opera è intrisa di intenso lirismo e suggestione poetica nonché di un
connubio perfetto tra filosofia e poesia. Esiste un modo di comunicare le
proprie opere con molta delicatezza senza far rumore, un modo di entrare in
punta di piedi nel mondo degli altri, che nasce e si sviluppa da una
disposizione personale che si ripromette di coinvolgere le persone nel nostro
mondo interiore, per favorire uno scambio emotivo altrimenti difficile da
realizzare. È l’intento, la strada che ha imboccato l’Autrice col suo romanzo
“Soltanto una vita”, dove nel raccontare una storia apparentemente nella
normalità, cerca di fermare le emozioni, in uno stato di grazia, coinvolgendoci
nelle esperienze esistenziali dei suoi personaggi, proiettandoci nel loro
mondo, in un percorso ideale che potrebbe coincidere con quello di ciascuno di
noi, in questa meravigliosa esperienza che è la vita. Tra i protagonisti della
storia Julie Lopez e George Martinez, dopo tante traversie, sboccia un amore
idilliaco, costellato tuttavia da inevitabili dolori, come l’aborto, un male
devastante che colpisce la donna, ma insieme riescono comunque a superare le
difficoltà tenendosi ben stretti al loro immenso amore. Avranno infine figli e
nipoti e finiranno il viaggio sempre nel nome dell’amore. Amore che, come
scrive la Busà, bisogna costruire, credendoci sempre, alimentandolo, per poi
donarlo. Viverlo: perché non abbiamo molte vite…ma una soltanto…! (da qui il
titolo).
Ella richiede al lettore la condivisione
di una esperienza emotiva vasta, allargata, completa, esigendo una comunione
nel sentire, nel rivelare sentimenti e passione. Soltanto una vita, rappresenta
una testimonianza dell’esistente, che l’autrice traduce in una visione che va
al di là dell’orizzonte percettivo delle apparenze, richiedendo una
partecipazione più attiva, in cui tutti i sensi siano coinvolti e con essi il
mondo spirituale, quello dell’animo che riassume tutte le sensazioni e le
proietta in una sfera onnicomprensiva o sinestetica. La ricerca della verità
che l’Autrice persegue, osserva lo schema aristotelico, per sillogismi,
esplicitandosi nella contrapposizione e poi nella sovrapposizione tra io e tu,
tra autrice e lettore, tra amante e amato, tra uomo e Dio. La saggezza e la
verità sono dentro di noi, alla portata di ognuno, nella nostra intima
quotidianità. Basta cercare! L’Amore invece è gioire per lo la stessa gioia,
piangere per lo stesso dolore, sognare lo stesso sogno! Amare è condividere la
vita. Operazione difficilissima, ma non impossibile, perché si svolge
procedendo con equilibrio su un filo teso sul vuoto, mentre si dà la mano ad un
altro. Amare è anche e soprattutto la condivisione di una ricchezza infinita,
inesauribile, di un tesoro che, se si acquisisce, si può sfruttare per sempre e
resta custodito nel profondo, inattaccabile a qualsiasi agguato. Nelle prime
pagine si susseguono suggestioni, impressioni colte con vivezza, con la vivezza
proprio del sogno. I turbamenti insorgono perché le ore liete, la gioia, la
felicità corrono insieme al tempo, perché siamo immersi nel panta rei, tutto
scorre e anche noi siamo destinati a passare con i nostri affanni e le nostre
gioie. Si resta prigionieri della solitudine aspettando dietro il vetro della
finestra l’arrivo del domani, mentre la vita scorre davanti agli occhi e non si
può fermare. Se la coscienza della morte ci fa paura, la cognizione dell’abbandono
e della separazione dagli affetti più cari non è meno temibile. Julie, si sente
quasi inglobata in una vera e propria prigione kafkiana, un teatro del dolore a
cui il lettore prende parte con la stessa dignità, con la stessa sensibilità
della protagonista. Ma piano piano, nell’incontro con George, dopo le varie
vicissitudini, si stabilisce un colloquio a due, in un comune anelito alla
rinascita - com’è bello capirsi con gli occhi! Non osavano più sperarlo!”- in
un patto che si realizza per tornare a vivere, nel modo in cui ognuno
garantisce la Rinascita dell’altro. Patto che esplode, incontenibile,
musicalmente sonoro, caldo, esuberante, profumato, luminoso, in un inno alla
vita. Che è un inno all’amore, un delicato incontro con l’altro, con colui che
richiede un piccolo spazio nella sua vita ed ottiene un immenso giardino,
oppure è la semplice descrizione della felicità, o una preghiera di
ringraziamento al Creatore. Così le emozioni sgorgano, debordano, si affollano.
Quanta armonia e quanto equilibrio vi sono in questo romanzo! Quante
impressioni, soffuse di gioia infantile, primaria, quasi arcaica, delicatamente
sognante. Julie e George si sposano e come in ogni storia vivono momenti di
gioia e dolori, di paure e speranze, ma Julie riesce a coltivare con la
pazienza di una tessitrice, con la grazia di una giardiniera, il senso della
vita. Con le sue parole l’Autrice ci vuole insegnare che la vita bisogna
viverla ed amarla così com’è, senza mai disperare tanto da rinnegarla. Cercando
di compiere l’esistenza in amorosa leggerezza, in sognante adesione alle
sollecitazioni più profonde dei sentimenti. Perché “Credere nella vita/vuol
dire accettarne anche il peso del suo dolore”. Una grande verità che ci rende
maturi, ci fa crescere spiritualmente e ci arricchisce di un patrimonio
armonico di sensi che non viene compromesso dalla forza bruta degli eventi.
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