Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucadse |
Da Grido,
Rupe mutevole edizioni, 2015
Vorrei
avere un tuo minuto
tuo, non mio
per viverlo come lo vivi tu
e capirti.
tuo, non mio
per viverlo come lo vivi tu
e capirti.
Un solo
minuto per essere te, non me
per entrare nel tuo corpo, nella tua mente, nel tuo spirito
vedere la tua anima,
e poi spaventarmi e tornare in me
perché solo in me posso vivere.
per entrare nel tuo corpo, nella tua mente, nel tuo spirito
vedere la tua anima,
e poi spaventarmi e tornare in me
perché solo in me posso vivere.
So che un
solo minuto della tua vita mi renderebbe folle
non potrei tornare ad essere me.
Lo so.
Ma in che altro modo posso amarti?
non potrei tornare ad essere me.
Lo so.
Ma in che altro modo posso amarti?
Io resto
io, tu resti tu,
non conosco il tuo mondo,
lo immagino riflesso del mio
ma è altro.
non conosco il tuo mondo,
lo immagino riflesso del mio
ma è altro.
E un tuo
minuto val bene una vita di pazzia,
se vivendolo saprò cosa ho saputo darti.
se vivendolo saprò cosa ho saputo darti.
Claudio
Fiorentini
Dalla prefazione di Nazario Pardini
... Claudio
si sdoppia per leggersi meglio; si vuol vedere come persona estranea, come immagine
allo specchio per ritrarsi con ironia e curiosità, con ardore e intensità epigrammatica,
raffrontandosi con la vita, il tempo, l’amore, la nullità dell’esistere, e il
divenire implacabile dell’essere che non dà punti di riferimento a cui
appigliarsi.
Una silloge forte e
tormentata, dove il Nostro si agita con guizzi formali e scarti semantici per
indagare sul percorso terreno; conoscerne il dubbioso profilo, i nascosti
segreti con tutto ciò che comporta il fatto di esserci. Nostos e nostoi,
latebre da scoprire, saudade da patire. D'altronde c’è in ognuno di noi mortali
questa psicosi del ritorno, del riavvicinamento al luogo che ci vide nativi,
inconsapevolmente; e forse da là arriva l’inquietudine che ci fa umani, con
tutti gli interrogativi che tale vicenda comporta. Un ritorno che non significa
solo casa, paese, città, donna, famiglia, ma piuttosto l’altra parte di un noi
da cui forse siamo partiti e da cui ci siamo gradatamente allontanati. È una
malinconia inspiegabile che ci attanaglia, e che ci spinge verso un oltre
indefinito e indefinibile, a cui difficile è approdare. Un porto senza faro,
che sembra dirci “Costruisciti la tua luce; delinea la tua rotta, se vuoi
giungere a toccare le mie coste”. Ma il mare è immenso, le onde irrequiete e
tormentate come il nostro animo che si sperde facilmente in quell’immensità.
Sì, in quel piano azzurro che ci dà l’idea, anche, di una libertà totale,
plurale; quella che sempre abbiamo sognata e mai trovata; ma, anche, simbolo
del nostro andare come viandanti sperduti in una società liquida. Della nostra
diatriba interiore fra l’essere terreni e il pensare di non esserlo, che non ha
affatto il senso di un escatologico prurito, ma qualcosa che ha a che vedere
con la nostra struttura mentale, con quella del nostro Autore che non accetta
la sua mortalità, passivamente, biologicamente, come facente parte di un
insieme di un processo naturale destinato a finire....
E' sempre un onore esser su Lèucade, e ringrazio il Prof. Pardini per questo approdo
RispondiEliminaClaudio Fiorentini
Poesia intensa generata da una riflessione intimistico-analitica di estrema profondità. L'interferenza fra l'io e il lei; fino a che punto i due poli si fanno e si possono fare uno. Le parole scorrono veloci e istintive su un piano musicale di piacevole accoglienza. I miei complimenti all'Autore e alle sue capacità introspettive e sagaci che ho avuto occasione di scoprire in altri suoi scritti.
RispondiEliminaProff. Angelo Bozzi
Grazie Prof Bozzi, sono felice di leggere il suo commento
RispondiEliminaCF