giovedì 21 maggio 2015

FRANCESCO CASUSCELLI: "MORIRE DI FRAGILITA'"

Una  poesia intensa, attualissima, ispirata, penso, a una delle tante vittime di una crisi profonda che ha coinvolto operai  e datori di lavoro in queste ultime vicende emotivamente e economicamente sconvolgenti. Niente, sicuramente, è sufficiente a giustificare un’azione tanto tragica: un suicidio. La vita è vita;  è sacrosanta; che ci venga tolta da chi ci ha scelto per tanto irripetibile avventura. Ma l’insieme di cui facciamo parte, il sistema, non ne ha di colpe? Non dovremmo riflettere un po’ di più sui valori dell’esistere in questa società liquida che ci spersonalizza e ci tramuta in viandanti sperduti? che fa del materialismo l’unico fine a cui attendere e da cui dipendere? Il poeta delinea a tinte forti l’avvenimento riuscendo a farne un caso di riflessione e meditazione; un caso sociale, umano; una tristezza personale e collettiva, coinvolgendoci con le sue potenti incursioni verbali; impiegando una versificazione ora ipermetria ora più breve a seconda dell’intensità dei passi. Morire di fragilità; sì!, una fragilità che porta a rifiutare il bene più grande che ci possa essere concesso; fino a far pensare che con la morte si possano risolvere tutti i problemi da cui siamo assediati: “Quanta tristezza per morire di fragilità./ Lacrime amare ingoiate tra singhiozzi spezzati…”, scrive il Poeta. Disperazione, responsabilità, una fine liberatoria. “Una vittima di sistema,/ un vaso di terracotta svuotato” aggiunge. E i mattoni della costruzione si sfaldano tra i tanti di falso acciaio. L’Autore è talmente coinvolto che si rivolge direttamente alla vittima: “Il peso non l’hai potuto sopportare,/ ti ha schiacciato l’impotenza,/ morire nella solitudine in quella fragilità,/ spesso sorgente di sensibilità”. A tu per tu con  il male;  con un peso opprimente, che ti ha vietato di chiedere aiuto; dacché ti ha convinto che questa mano non ti può essere tesa da uomini impegnati in una sfida all’ultimo sangue; in una corsa senza respiro, che abbandona i più deboli ai bordi della strada: vivere o morire. E tutto “accade accanto a noi/ nel silenzio amaro dell’impotenza”.

Nazario Pardini

 

 

Morire di fragilità


Quanta tristezza per morire di fragilità.
Lacrime amare ingoiate tra singhiozzi spezzati, 
lacrime, un concentrato di disperazione, 
sgorgate sotto la pressa di due sillabe di responsabilità.

Una vittima di sistema, 
un vaso di terracotta svuotato
tra tanti di falso acciaio 
non più mattoni della società 
ma frantumi dalla società 
senza un nuovo uso 
scarti difficili da smaltire
impastati come malta dalla vita 
e lasciati indurire deformi.

Il peso non l’hai potuto sopportare,
ti ha schiacciato l’impotenza,
morire nella solitudine in quella fragilità, 
spesso sorgente di sensibilità. 

Non è poi così difficile cadere, 
percorriamo strade sul vuoto, 
costruiamo futuro mentre qualcuno scava il terreno, 
a nostra insaputa. 

Rimaniamo soli mentre precipitiamo,
senza forza neppure per aggrapparci alla vita.

Ecco,
morire di fragilità 
accade accanto a noi 
nel silenzio amaro dell’impotenza.

Francesco Casuscelli 



La poesia è già stata pubblicata sul blog del Poeta 
http://sospensionimolecolari.blogspot.it/2014/03/morire-di-fragilita.html


3 commenti:

  1. E' una grande emozione esser ospite su Lèucade, e ringrazio con riconoscenza il Prof.re Pardini per aver consentito l'attracco su questa magica isola di poesia.Inoltre, mi commuove il commento introduttivo che coglie il pathos e rende ancora più preziosa questa mia composizione.
    Un caro saluto
    Francesco

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Poesia rigorosa e sofferta, poesia che indica il travaglio di una società a fronte di un dolore più universale:
      Ecco, morire di fragilità
      accade accanto a noi
      nel silenzio amaro dell’impotenza. indica più verosimilmente la tragedia di una umanità sofferente alla cui logica s'inchioda il genere umano, vittima di un sistema che non consente risorgenze, rinascenze, temperanze: una logica del potere, della sopraffazione che non costruisce, ma demolisce valori e significati, precipitandoci nel vuoto nichilista e inconcludente della storia.

      Ninnj Di Stefano Busà

      Elimina
    2. Sono contento di ricevere il suo autorevole commento. Quanto scritto, sia dal prof. Nazario, che dalla poetessa Ninnj, mi conferma che affrontare questi argomenti amari, che purtroppo la cronaca ci impone, è una necessità morale a cui il poeta che vive dentro di me, non riesce a sottrarsi.
      Un caro saluto, con stima
      Francesco

      Elimina