mercoledì 20 maggio 2015

P. BALESTRIERE: LETTURA DI "UN SOGNO CHE SOSTA" DI G. RESCIGNO

Gianni Rescigno
UN SOGNO CHE SOSTA
Genesi Editrice, Torino, 2014
NOTA DI LETTURA DI PASQUALE BALESTRIERE

 
Gianni Rescigno premia Pasquale Balestriere
al Premio Città di Pontinia 2010

Già sulla soglia del libro il poeta ferma per un attimo il lettore con un ammicco che è nel titolo sotto forma di allitterazione/paronomasia: Un sogno che sosta. Appena il tempo di chiedersi ragione di questo titolo e la risposta è lì, in quarta di copertina, dove è riportata la prima poesia del libro. Eponima. Eccola, nella sua bella intensità epigrammatica: Da dove venimmo /là torneremo: questa / vita un sogno che sosta / tra acqua e vento / caduta di foglie / e festa di fiori.  (“Un sogno che sosta”). Dunque l’espressione un sogno che sosta definisce la vita, la nostra breve -ce lo suggerisce il verbo – dimora in questa dimensione, tra segni di bella ambiguità semantica (acqua e vento possono avere valore positivo o negativo) , mentre invece sono collocati su poli opposti, ma invertiti (anche se contigui),  gli estremi - o, se si vuole, i dati salienti- della vita (“caduta di foglie”  e “festa di fiori”). La vita, un sogno: per la brevità, per la vaghezza, per le speranze che la connotano.
Leggo Rescigno e penso a Saba. Hanno in comune un aspetto di scrittura che è l’adozione di quelle che G. Debenedetti chiama “parole senza storia”, lessico quotidiano per celebrare la quotidianità, che è il mondo a cui si ispira l’arte del Nostro, sui versanti della memoria, degli affetti e della natura. Ma attenzione! Le “parole senza storia” del linguaggio giornaliero sono qui  liberate dalle incrostazioni e dall’ovvietà dell’uso comune e ricollocate nel ruolo primigenio di significanti essenziali, solidi, reali. Restituite alla loro purezza. Perché Rescigno ha scelto di recuperare il senso più vivo e vero della vita attraverso parole vive e vere. E qui sta l’eccezionalità dell’impresa.
Nessuno creda però che questa ricerca di verità e di semplicità implichi nel poeta di Santa Maria di Castellabate la totale rinuncia del linguaggio figurato, del quale solo uno sprovveduto potrebbe osteggiare  in toto e a priori l’impiego: cosa che, invece, oggi purtroppo accade. Prendiamo ad esempio il caso della metafora, colpevolizzata e condannata fuor di misura solo perché nel corso dei secoli ne è stato fatto uso e abuso. Più logico mi pare che,invece della metafora,occorra mettere alla gogna i poetastri che se ne sono serviti senza discernimento  e ritegno, giacché essa è solo uno degli strumenti a disposizione del poietès che canta in versi la vita. E va usata,  come qualsiasi segmento dell’universo della retorica,  non  a titolo gratuito o come orpello più o meno allettante, ma  per pura necessità creativa, quando cioè essa serve per incarnare appieno il fantasma poetico. Proprio come accade in Rescigno, poeta che sa bene il senso della misura e la bellezza dell’armonia, se scrive versi come questi: ....vanno gli anziani a concedersi / lunghi respiri di mare / prima del ritiro del sole (“Prima del ritiro del sole”); oppure:  ... il vento salirà le scale / e ti sembrerà che è il mio passo / ad avvicinarsi al tuo cuore (“Se il vento salirà le scale”); o anche:T’ascoltavo dondolando il cuore / al ramo d’un ciliegio già ingiallito / sicuro di portarlo in volo / al paese della stella più lontana (“L’ora della luna”); o infine: E sui rami più sottili / delle sere, divina e perpetua / canta la speranza e chiama l’uomo (“ Ascoltate i poeti”). Si potrebbe attingere a piene mani acqua  di poesia da questa ricchissima fonte placando la sete di grazia e di verità: qui ogni lacerto poetico è perfuso di saggezza e venustà, di ricordo  e di passione, sfociando talvolta in confessione di umana stanchezza (Sei soltanto un’anima stanca,/ un mucchio di ore inutili / da consegnare a qualcuno /che ti aspetta dietro il cristallo / e che ti dirà ben tornato amico. / E tu gli poserai il capo sulla spalla / senza piangere.   Davanti allo specchio”), talaltra in fulminante intuizione (Quale inafferrabile fiore / vola la parola. “Il fiore la parola”), con forte effetto di rima interna; oppure in acuta ma rassegnata commozione , come nella lirica “Assunta”, persona di grande religiosità e di dolci parole nei confronti di tutti, che, colpita da un ictus, avendo visto per tre mesi la morte là nella strada a un passo da casa -perché non aveva il coraggio per entrare- e non potendo più parlare, la invita con un cenno della mano. L’ultimo verso, un endecasillabo di rara bellezza (E le fu luce negli occhi la voce) esprime, a livello fonosimbolico,  una dolcezza librata sulle liquide, non interrotta ma impreziosita dai suoni palatali di “luce” e “voce”.
Se c’è dolore nella poesia di Rescigno (e come potrebbe mancare nella vita di un uomo?) si legge, al più, in note di tristezza, a tal punto esso è composto e rattenuto. E ciò perché la voce poetante è in totale saggio accordo con la vita, la cui concezione mi pare sia ispirata a tre capisaldi della dottrina cristiana: fede, speranza, carità; e stimo che il loro significato  vada ben oltre l’ambito puramente spirituale, trovando linfa e nutrimento in un’ampia e sofferta umanità.
La poesia di Rescigno  è “necessaria” per un duplice aspetto:perché è un’esigenza ineluttabile dello spirito del suo autore; e perché nel  manifestarsi si serve del tratto di penna davvero indispensabile a significare il lampo creativo, nulla di più. Poesia rastremata, dunque, votata all’essenzialità espressiva ma, prima ancora, impulso intenso che prorompe dall’interiorità e reclama spazio vitale. Tutto questo in versi soffusi di dolcezza e di amore, di realtà e di memorie e, infine, del fascino avvolgente della  poesia di un uomo innamorato della vita.



Pasquale Balestriere

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