Maurizio Soldini collaboratore di Lèucade |
PORTA
PORTESE
di
Maurizio Soldini
Calpesta pietre e petali d’oleandro
la scarpa ginnica indossata dall’Imam.
Si percepisce con la coda dell’occhio,
il suo fez color bianco all’uncinetto,
con l’occhio come una preghiera,
attento
ai banchi per trovare i jeans.
È un giovane che vuole vivere,
come tutti i ragazzi del mondo,
e si accorge che il vento lo avvicina
ai tramonti d’estate e in aprile si
prepara
a sconfiggere il morso del cane.
C’è un gruppetto di suore, davanti,
tra la folla, che guardano scarpe
vintage.
Le suore di solito comprano scarpe e
calzini,
ma non hanno timore di guardare i
vestiti
e chissà quanti ne indossano
nell’anima.
C’è gente di tante nazioni e le lingue
si mescolano come in un cocktail,
l’italiano funge da seltz e solo
ogni tanto spunta un romano verace.
Non manca il gioco delle tre carte,
persiste dal tempo dei cinquant’anni
ormai passati, da quando andavamo
coi nostri padri e c’era una marea di
biciclette.
De Sica immortalò nel film neorealista
quell’abitudine di venirle a comprare,
qui, perché costavano meno e era vero.
Sono scomparse del tutto o quasi anche
le pulci
e rimane solo qualche tavolo sbilenco
e alcune sedie spaiate e sgangherate.
I libri sono sempre più ingialliti
dal tempo e aspettano qualcuno che li
adotti.
Sono quelli che costano meno
nello spazio di un tempo distratto.
Non manca qualche matto,
che la sua pena ha da vendere a rate.
Sono assidui anche i borseggiatori,
ma hanno cambiato nazione.
Una volta venivano dal popolo affamato
e selezionavano il ricco dal povero,
adesso vengono da lontano e non
importa
se hai appena mangiato, o se sei
digiuno
e se, magari, sei venuto a cercare un
paio
di scarpe per camminare o un pantalone
per coprirti o una sedia per sederti.
Camminare in questa strada delude
l’aspettativa, in quest’aprile, dopo
mezzo secolo, da quando a ridosso
della guerra ti stupivano gli elmetti,
forati dalle pallottole e immaginavi
soldati
e crani crivellati di colpi e, anche
se giovane,
rivivevi, incosciente, la guerra, tra
stellette dorate,
su divise grigioverdi, e si cercavano
cappelli e mostrine da esibire tra
amici.
Allora il clima era diverso e l’aria
profumava di gioia, quando accostavi
la seicento a san Michele a Ripa,
accanto al carcere minorile, guardando
i finestroni chiusi dalle sbarre,
dietro
le quali immaginavi coetanei senza
libertà.
I pizzardoni erano la maestà,
invece adesso sembrano coatti
dentro il ruolo e pare che la testa
l’abbiano altrove, tra una
chiacchiera,
un panino con l’hot dog, un caffè
e un cenno alla riunione sindacale.
Porta Portese ha cambiato faccia,
non è più la stessa e si stenta, si fa
fatica,
a riconoscerla da come era, forse
perché la capinera ha smesso di
cantare,
forse perché siamo cambiati, noi.
Una volta sognavi di navigare il
fiume,
adesso sai che non ti puoi bagnare
nelle stesse acque profumate dai
tigli,
perché non ci si può bagnare
nella stessa acqua, e il sole non è
più
lo stesso di quando pedalavi nel
cortile.
Anche se il glicine continua a fiorire
e stende un tappeto ai tuoi piedi.
Anche se oggi è diverso il concetto,
perché l’età si presta, ma il cuore
è lo stesso e tu sai che l’importante
è continuare il sogno, è continuare
ad amare, perché la meglio gioventù
riposa in te e ti accompagna adesso
più di prima. Ieri eravamo bambini,
oggi siamo cresciuti, e Porta Portese
non è più quella dei balocchi e di
cuccagna,
ma una semplice via, dove vai a
passeggio
in compagnia di chi si è fatto adulto
e si accontenta di baciarti dove può,
sì, in questa via, fatta reale, come
casa sua,
in cui ci sei, e questo basta e
alimenta il sogno.
Maurizio Soldini
Porta Portese; immagini che corrono in un tempo ladro e vorace; scene da film pasoliniano dove tutto è semplice ma umanamente complesso; una via che si fa interprete principale: vede, osserva e conclude con in cuore un po' d'amarezza per i suoi figli ambulanti che camminano un po' spersi in un mondo dove le capinere hanno smesso di cantare. Ma alla fine è il sogno che conta "in questa via, fatta reale, come casa sua, in cui ci sei, e questo basta e alimenta il sogno". Il poema di Soldini emoziona; è coi piedi per terra e l’anima al cielo nel suo proposito di debordare; di dare ai contenuti qualcosa di più. Riesce a tradurre la quotidianità in versi di rara empatia; anche l'architettura metrica è una continua sperimentazione che volge a concretizzare l’abbondanza di pathos. Ci trovo la vita in tutte le sue vicissitudini dolci-amare.
RispondiEliminaProf. Angelo Bozzi
Ho avuto occasione di leggere, in questo ormai famosissimo blog, molte poesie di diversi autori. A me piace particolarmente la ritmica di questo poeta: composizioni di grande equilibrio fra forma e contenuto. Equazioni di non comune fattura fra significanti e giochi metrici. I miei complimenti.
RispondiEliminaMaria
Complimenti a Soldini per questa pittura loquace, realistico-personale.
RispondiEliminaFranco
Il poema di Maurizio Soldini è un racconto di come cresce l'uomo nei confronti di quello che lo circonda. Di come bastano odori e luoghi per destare nell'anima i ricordi più teneri della vita. In questi versi il poeta prende per mano il lettore e lo conduce tra i suoi sentimenti portandolo nell'apoteosi in cui il cuore si unisce ai sogni e canta:
RispondiEliminaperché la meglio gioventù/riposa in te e ti accompagna adesso/più di prima.
Versi intensi, con un linguaggio apparentemente semplice, che offrono una rara bellezza.
Francesco
Caro Francesco, ti ringrazio per la tua attenta lettura, che, mio malgrado, riesce a cogliere la bellezza anche in un testo come questo, che tende alla prosa su pedale basso, sfiorando l'anti-lirica della sostanza, pur non rinunciando ad un sommesso lirismo formale, perché la poesia non perda l'abitudine al canto.
EliminaMaurizio Soldini
Ringrazio per la lettura il prof. Angelo Bozzi, Maria e Franco.
RispondiEliminaIn particolare il professor Bozzi coglie nella lettura del poemetto stilemi pasoliniani. Non per niente vi è riferimento se non proprio sostanziale almeno formale nella citazione della "meglio gioventù".
Ringrazio come al solito anche il Professor Nazario Pardini, che, oltre a ospitarmi per l'ennesima volta su "Lo scoglio di Leucade", in privato, ha commentato questo poemetto apparentandolo tra l'altro al "realismo lirico" di Capasso.
Maurizio Soldini