martedì 12 maggio 2015

FRANCO CAMPEGIANI: "OLTRE" MOSTRA DEL PITTORE VITO LOLLI

Vito Lolli collaboratore di Lèucade

Franco Campegiani collaboratore di Lèucade

"Oltre", mostra di pittura del Maestro Vito Lolli
La memoria profonda

Il Circolo Artistico La Pallade Veliterna" ha recentemente promosso in Velletri (Roma), presso la Sala Marcello De Rossi - Polo Espositivo Juana Romani, una mostra di pittura del Maestro Vito Lolli. Intitolata Oltre, l'esposizione è stata inaugurata il 10 maggio e resterà aperta fino al 31 dello stesso mese. Pittore appartato e fuori da ogni moda, da ogni circuito ufficiale, Vito Lolli compie percorsi del tutto inediti e innovativi, per comprendere i quali può essere utile (non indispensabile) farci accompagnare da lui stesso nel processo mentale da cui sgorgano le immagini che nella mostra vediamo.
Conosco da anni l'autore e devo dire che, oltre ad essere l'artista di sorprendenti qualità creative che qui mostra di essere, egli è uno studioso formidabile che porta avanti una ricerca estetica di cui risulterà utile una rapida informazione. I lettori di questo blog hanno già avuto modo di avvicinarsi all'orizzonte della sua pittura, leggendo recentemente un suo saggio dal titolo Cos'è l'arte, dove filosofia, mistica, scienza e analisi del linguaggio si fondono in modi insoliti tra di loro.
Quale è la matrice delle visioni artistiche, si chiede Vito Lolli? Da dove nascono le immagini che si animano nella mente del poeta e dell'artista? Da una Memoria, egli dice, anteriore alla nascita del Tempo, una Memoria dimenticata (e addirittura "fatta per dimenticare") che è una sorta di Eterno Presente o di Coscienza Cosmica: quel Logos che, secondo l'etimo, raccoglie e tiene unite tutte le cose prima della loro caduta nello spaziotempo, ovvero prima del loro smembramento.
Da qui l'esigenza del rimembrare, del riunire gli elementi dispersi, che è tipica del fare artistico. Non è vero, infatti, che lo sguardo dell'artista e del poeta si distraggano nelle variazioni del molteplice, che si perdano nella frivolezza del mondo esteriore, come aveva creduto Platone. L'artista, al contrario, ha sguardi tutti puntati sull’unità del molteplice, o sulla molteplicità dell’uno. Ciò che gli interessa è di immergersi nel mondo fenomenico per prendere contatto con la radice da cui la vita viene.
E’ la cosiddetta cosa in sé a catturare le sue attenzioni: quell’inseità che giustamente Kant ha dichiarato inaccessibile alla ragione, ma che tuttavia è alla portata dell'esperienza creativa quando sappia immergersi nel processo universale della creatività. Non in linea con la cultura visiva dei nostri tempi, questi dipinti sono tuttavia legati all’uomo d’oggi, alla sua imprescindibile esigenza di ristabilire un contatto con l'Essere. Una figurazione inusuale, un simbolismo misterico che irrompe dall’Oltre e che spiazza gli abituali labirinti mentali.
Non dobbiamo chiederci pertanto che cosa significano queste immagini. Non significano niente, perché questo non è un discorso razionale, e neppure un discorso onirico, un miraggio della fantasia. Qui la mente razionale ed inconscia è posta totalmente fuori giuoco. Scavalcata, per tornare alle scaturigini della Coscienza universale. L’artista, rivelatore di miti, torna a farsi ispirare dalla Musa. Quello che lui dipinge non è costruito a tavolino, non è il frutto di una sua elaborazione, ma è la riproduzione di immagini accese nella mente da una memoria profonda, caduta in oblio.
Non è memoria del tempo passato, ma è risveglio di un tempo che è fuori dallo scorrere del tempo: l'eterno presente, l'alfa e l'omega, le origini originarie e sempre originanti. Tutto ciò è detto splendidamente nel mito di Mnemosyne (la Memoria), che è anche il nome di una delle due fonti cui è d'obbligo bere per avere accesso agli Inferi. Lei consente di ricordare ciò che si è visto nell'aldilà, mentre l'altra fonte, intitolata a Lete (la dimenticanza), fa scordare le cose del passato.
E' esattamente questa la condizione di spirito necessaria per avvicinarsi ai dipinti di Vito Lolli. Bisogna fare tabula rasa di ogni sovrastruttura e di ogni pregiudizio. Ed è questa la salutare lezione del Nichilismo: l'azzeramento di tutti quei valori ripetuti a pappagallo che non nascono dalla macerazione interiore e che pertanto non possono essere autentici. "Ciò di cui non si può essere certi, è meglio tacere", ammoniva Wittgenstein. Giusto monito, ma c'è da aggiungere che il silenzio è la patria di quelle certezze da cui ogni linguaggio viene. 
Osserviamo il teatro del Vuoto di Giorgio De Chirico. Gli ideali sono ridotti a manichini e gli dèi sono fuggiti dal mondo. E' l'intero percorso della cultura occidentale, metafisico e nichilistico nello stesso tempo, a crollare miseramente. Non a caso il nichilismo dechirichiano ha preso il nome di Arte Metafisica. La domanda è: la fine è definitiva, oppure è soltanto il prologo di un nuovo inizio, di una nuova avventura culturale? Ebbene, questi dipinti mostrano quale alta tensione morale e vitale possa svilupparsi nei territori del silenzio.
Il silenzio è l'unico vero valore da coltivare nella torre di babele in cui oggi viviamo. E' dal silenzio che da sempre germogliano i nuovi linguaggi, le nuove culture, i nuovi valori. Le immagini che qui vediamo nascono dal vuoto mentale, quel vuoto mentale che è condizione indispensabile affinché possa rifarsi il pieno, garantendo la  rigenerazione dell'animo umano. C'è bisogno, di tanto in tanto, di questo blackout, di questo cortocircuito, di questa inversione cardiaca.
Il filosofo Michel Foucault è giunto, per questo, ad una sconcertante profezia: la civiltà verrà distrutta dal linguaggio quando questo diverrà babelico, interrompendo i propri rapporti con le cose. A quel punto esso diverrà narcisistico, autoreferenziale, e resterà impossibile comunicare. Così dovremo forzatamente riappropriarci del linguaggio mitopoietico, del linguaggio creativo dei simboli, del linguaggio della concretezza e delle relazioni vitali. Sta qui il potere insostituibile dell'ispirazione.
Ma non si pensi allo spontaneismo di chi apre bocca e le da fiato, eliminando ogni valenza ed ogni fatica tecnica. Basta dare un’occhiata a questi dipinti per capire l’enorme importanza del lavoro tecnico. Se ci soffermiamo a considerare la luminosità di queste tele, o anche la profondità spaziale vertiginosa delle visioni, possiamo intuire di quale eccezionale bagaglio tecnico disponga l’autore. Va tuttavia detto che qui la tecnica torna ad essere un mezzo e non un fine. Ma non uno strumento al servizio delle Idee (ne andrebbe di mezzo l'autonomia dell'arte), bensì al servizio della Musa: il che è ben diverso, come credo di avere chiarito.

Franco Campegiani


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