Aurora De Luca collaboratrice di Lèucade |
Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade |
Nota di Aurora De Luca su SANDRO ANGELUCCI, Si aggiungono voci, LietoColle, Faloppio
(Co), 2014
‹‹Alla
foce del cielo/ ho visto spume candide di mare. / Non c’erano veleni/ e
bambini/ riempivano i secchielli di rugiada. […]›› (da
Alla Foce).
Parte Prima.
‹‹Come arriva veloce l’abbandono. Vivere è
vagare in ciò che decide il destino[..]››: con queste parole di Consuelo
Hernandez ha inizio ICARO, prima sezione della raccolta, e lo sguardo è alto
sul mondo, l’occhio ha una visuale piena di stupore sconvolgente. Icaro si
invola oltre la realtà che ci chiede di
fare in fretta, ha per vocazione l’infinito, dimentico d’essere corpo
d’uomo.
Si aggiungono voci, dunque, a
cantare la terra, voci di merli e di bacche, di ali nient’affatto divine ma
naturalmente pure, a queste si aggiunge la voce del poeta a cantare la terra
quotidiana, una voce che non potendo essere né vento né spuma anela a farsi
silenzio. In Molestie il poeta scrive
d’essere quasi fermo e di aspettare qualcosa ‹‹[...] Un silenzio/ che sento
arrivare/ che viene dal nulla/ che redime, sorseggia/ e sequestra il canto››.
È Icaro il poeta? Uomo che si
beffa della gravità e la cui colpa è la superbia?
Questo poeta è un nuovo Icaro,
sulle cui spalle grava una croce dal peso di polvere di cielo: non desidera
alcuna altra stella poiché sulla stella che desidera cammina già, ammette di
avere le ali e di essere un demone, solo
coì posso sentirmi un angelo.
È un Icaro tormentato, uomo
tra uomini abbrutiti, schizofrenici,
impazienti che bestemmiano e spargono catrame; merlo tra merli selvatici,
che conosce cosa voglia dire picchiare,
risalire e poi planare, fino a sera, finché c’è fede e amore e forza nelle ali.
Eppure il canto è pervaso di
calore, tutto rientra nell’utero materno,
è mosso verso la vita ed essa si rinnova e si depura in un ciclo che rigenera
nascita dove c’è morte. Le punte aspre divengono voli, gli stridori divengono
becchi d’uccelli che portano gli insetti dentro ai nidi. Una poesia questa che
rende al lettore quadri ora impressionisti, ora caravaggeschi, ora
naturalistici, ora sacri, ora scomposti: ‹‹Non conosco le voci/ ma salutano il
Sole questi canti/ mattutini. / Appartengono al coro/ degli amanti. / Sono la
civiltà della luce e del calore. / Resta/ da solo l’uomo/ se neppure con il
pensiero/s’aggrappa alla speranza. [..]››.
Questo Icaro ha fede nella
vita, crede ci sia qualcosa di buono,
nonostante il degrado, qualcosa che
possa trovarsi in un buongiorno detto col sorriso, o nel tentativo di salvare
il salvabile da una casa abbandonata, in un piccolo rivo di fontana che ancora
non si dissecca, nelle ali di farfalle che si amano effimere, nell’erba ai
bordi della strada. Qualcosa di buono è nello stesso poeta, che si inventa
stormo angelico di rondini, in noi che viviamo
di silenzi e di poesia e che resistiamo.
Parte Seconda.
‹‹Passano gli anni, / e anche
se la vita mi accusa di immobilità, / anch’io ho viaggiato. /Come particella di
polvere / ho svolazzato per la casa e ai libri mi sono afferrata. / Come un
insetto ho riposato sul bordo dei fossati, / o semplicemente sono stata una
donna che sera dopo sera/ ha guardato verso il mare/ cercando navi dimenticate
dalla foschia/ e che tornano alla memoria, / senza una speranza diversa dalla
morte››: questo il sogno umanissimo, espresso sempre con le parole di Consuelo
Hernandez, che apre IL GRANDE RESPIRO, seconda sezione della raccolta. Al poeta
è dato soltanto (soltanto ma è tutto)
di unirsi al peccato e alla gloria, di stare genuflesso di fronte al mistero di
spalle all’altare del vento, egli è nient’altro (ma è tutto) che un primitivo.
Egli è il suo scrivere, un grande respiro che gli sopravvive, ama la clava che
è divenuta penna. Svelare è il rischio che deve
prendere, con la consapevolezza che non ci sono lacrime che il poeta non
abbia pianto, anime che non porti dentro. Eppure la sua voce si fa come la
goccia di miele che si dissolve nel latte bollente: un grumo di bellezza che si
scioglie nel turbinio violento della vita umana.
Icaro-poeta respira sul mondo,
o meglio, respira mentre cammina per le strade nel mondo ‹‹Il vento mi parla
mentre cammino. / Tra le grida del mondo/ io ascolto rapito. [...] E questo
vento che parla, e Dio, e Caino? / Non mi occorre nient’altro: / la parola,
l’eterno suo dire, / per conto mio››. Ne esce una danza, un corteggiamento, due
amanti che bisognano l’uno dell’altra ‹‹[…] Per corteggiarci: / il nostro non
sapere / che tu sei qui ed io ti sono accanto. / Uniti dal mistero, e dentro il
tempo/ eternamente amanti››.
Il ritmo si fa più vivace,
come un passo che corre, un petto che ansa salendo e
scendendo, la visione di una vita che si schiude nell’armonia tra le tragedie,
che salta, s’aggrappa, s’inganna,
scommette.
Aurora
De Luca
Si resta nudi di parole di fronte a recensioni simili. Aurora De Luca si é cimentata in un'esegesi della superba Silloge del nostro Sandro Angelucci con capacità di critica letteraria a dir poco magistrale. Lei é diventata parte viva delle 'voci' che animano questo libro di luce e di ascesa e, al tempo stesso, di denuncia ... Sono ammirata e vorrei saper scrivere come lei... Lo dico senza piaggeria con l'età di colei che potrebbe esserle mamma... Grazie a entrambi. Iniziare l'anno così é balsamo sul cuore.
RispondiEliminaMaria Rizzo
Grazie Professor Nazario per lo spazio dedicatomi e soprattutto per lo spazio dedicato a questa silloge così profonda.
RispondiEliminaGrazie Maria per quanto scrivi e per quanto affetto mi dimostri, affetto che è reciproco, di sincera stima.
Mi sono trovata in sintonia con la poesia di Sandro, il che è tutto merito suo.
Vi abbraccio, augurando a tutti voi un inizio luminoso!
Aurora