mercoledì 27 gennaio 2016

MARIA RIZZI SU "LA CHIAMEREMO VITA" DI FRANCO DE LUCA


Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade


La chiameremo Vita

Il romanzo di Franco De Luca “La chiameremo Vita” (Tullio Pironti Editore 2016) è la dimostrazione che occorre avere un nome celebre, magari quello del suo omonimo scrittore partenopeo, Erri De Luca, per vendere un milione di copie con “Montedidio”, un libro scritto in vernacolo e non accessibile a tutti.
Con quest’affermazione non intendo sminuire l’artista napoletano, ma mettere in risalto le logiche editoriali che governano il nostro paese.
In America, in Inghilterra, in Svezia, un romanzo di valore può divenire un best seller grazie al tam tam dei lettori.
In Italia si vendono i libri dei personaggi televisivi o quelli studiati a tavolino dai grandi Editori.
Il talento viene penalizzato in modo mortificante.
Ho terminato il testo di Franco e mi sono resa conto che per due giorni le immagini, i protagonisti, i personaggi, continuavano ad affollarmi la testa. Mi chiedevo come fosse possibile che un uomo umile, poco convinto delle proprie possibilità narrative, avesse potuto cimentarsi in un secondo romanzo
ancora più convincente del primo.
“La chiameremo vita” induce a pensare a un uomo anziano, che ha imparato moltissimo dagli anni, dalle esperienze, e sa trasmetterle con grazia, purezza, con l’antico pudore e con squarci di altissima letteratura.
Franco è giovane, ricorda Massimo Troisi nei modi e nell’apparente timidezza e anche nel corso di un banale incontro, sa mostrare la profondità di analisi e l’umanità, che riversa in questo romanzo senza riserve.
L’ha chiamato vita e, sorridendo, ho pensato che non avrebbe potuto avere altro nome. E’ un riassunto d’amore dei giorni e delle storie di ognuno. Ogni Autore nelle proprie opere mette molto di sé, anche se ricorre a storie totalmente inventate, credo sia fisiologico, ma l’arte di quest’Autore consiste nell’identificarsi in ogni sua creatura e, soprattutto, nella sua città.
Napoli è la ‘vita’ di questo romanzo superbo. Franco ci trascina nell’ anima di questa città particolare e rende
visibili negozi, case, vie, piazze, ristoranti. Io so come si mangia da “Giggino sopra lo scoglio”, ‘in pieno centro storico’, nel quale il mare continua a ribollire, creando gorghi e mulinelli.
Conosco la bottega di Erminio, barbiere unisex, animato da un teatrino di personaggi della miglior tradizione
cabarettistica napoletana. Ho visitato la casa di zia Ester, novella Emily Dickinson, che vive da reclusa, comprando i generi alimentari tramite il classico ‘panaro’, che a Napoli in molte zone continuano a calare dai balconi e che conserva in un ‘diario’ la storia della famiglia.
Antonio, il protagonista, professore di Lettere, si destreggia tra ‘la pazza’, ovvero Serena, dalla quale è soggiogato; Laura, l’amica di sempre, complice, intuitiva e, a tratti, misteriosa, come sanno esserlo solo le donne, la zia Ester, nella sua casa senza tempo e molti altri personaggi, che assurgono tutti al ruolo di co –protagonisti, in quanto vivi, palpitanti, magnifici…
Magnifico è Prisco, il ragazzo più asino della classe, che in realtà instaura con Antonio un rapporto alla pari e tra errori di grammatica e confusione sui classici della letteratura, ne cattura gli stati d’animo come la goccia d’ambra cattura gli insetti. Magnifici sono i vicini di casa, con la piccola Noemi, che ogni volta che incontrano Antonio si sciolgono in scuse infinite per il chiasso provocato dalla ragazzina… Magnifici i frequentatori del barbiere unisex, Bruno – Frack Sinatra e Maria Del Giudice. Il primo presume di conoscere meglio di chiunque altro il repertorio della musica napoletana e, sotto gli occhi languidi della donna, trasforma la sala del barbiere in localino trash.
Il protagonista, in apparenza frastornato, attratto dall’ambiguità, a causa di un passato irrisolto, si rivela nel corso del romanzo, un uomo fuori dal tempo, che sa attribuire alle situazioni e agli stati d’animo la giusta valenza, e sa divenire abile minatore degli scavi interiori. Viaggia nei meandri delle anime di ognuno, dando al Natale la connotazione che ha perso da sempre e regalandola a noi lettori, attoniti e superficiali.
Franco possiede il dono di un mondo interiore ricco di sfaccettature: ha la giusta dose di ‘femminino’, che gli consente di evitare ogni forma di volgarità e di superficialità; è ricco di senso dell’umorismo autentico; è puro come acqua di fonte ed è intenso, sempre più in alto rispetto al banale, allo scontato, al quotidiano.
Vola altissimo e, tra una battuta e una descrizione dettagliata, si diletta in quartine, che scrive all’impronta per gli studenti, dà lezioni sulla canzone napoletana, insegna a cucinare i cibi di Giggino e spiega vini da da esperto sommelier e rende il diario della zia Ester una sorta di secondo struggente romanzo, che permette di naufragare nella storia dei suoi nonni, nella guerra, negli amori che hanno dato origine al suo presente.
Franco scrive e non vi è tecnica nel suo stile appassionato e lirico. Sembra nato per elargire sogni, lezioni di integrità, di calore, di autenticità. Le espressioni in dialetto intarsiano come pietre preziose questo romanzo di sangue e radici.
Lo ringrazio per avermi concesso di essere talea della vita che ha narrato e gli sussurro, a fior di cuore, che mi piacerebbe da non dire saper scrivere così…
                                             
 Maria Rizzi

1 commento:

  1. Mi scuso per i due refusi: la preposizione 'da' é ripetuta ed é presente una congiunzione in più... una 'e' per l'esattezza!
    Maria Rizzi

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