Maurizio Donte collaboratore di Lèucade |
Op. 244
Quando verrà
Quando verrà
la tenebra a coprire
le ossa nude e l'inverno
avrà steso l'eterno
suo velo di silenzio sulla pietra,
dimmi, cosa sarà del tempo nostro
di vita. Sopra quelle care spoglie
scende l'oblìo, e resta una parvenza
di memoria finché vive di noi
chi si ricorda; è vero,
questo è il nostro destino:
esser polvere che trascina il vento.
Così giace la storia
di ognuno: dopo la tempesta tace
ogni cosa e si ferma la parola.
Per noi sigillo è la morte che viene
e nessuno ritorna
per dirci cosa mai c'è oltre la soglia,
dove si apre, o si chiude, l'esistenza.
Conosco del dolore ogni risvolto:
ogni singola cosa che mi logora
il pensiero. E d'amore,
il suo rovescio amaro:
e tutto ho visto, e niente m'è rimasto.
Non so di me che cosa mai sarà,
né so che cosa aspetta,
là, dove si ripiega
il giorno. Timoroso
son del domani; come dell'istante
prossimo che scandisce
l'orologio del tempo
che finisce. E va via il tumultuoso
fiume, che della vita
travolge ogni momento:
fugge lontano, e non s'arresta mai
neanche per un secondo;
così, rapidamente,
trasforma il nostro vivere in ricordo.
Sotto un cielo remoto
dove brillano immoti
i gelidi astri e si stendono
gli inutili pensieri dei viventi
e vi regna una pace che sconforta.
Quale è, allora, il motivo
del viver nostro? Quale la ragione
del morire che vedo
venire a me, così rapidamente?
Cosí svelti a svanire
son dunque i nostri giorni...
Nei tentacoli oscuri e nelle pieghe
riposte della mente
cerco una luce che mi spieghi il presente
stato, ed il Vero sull'esister nostro.
Ed il perché nel nostro divenire,
altro non ci vien dato che il soffrire.
le ossa nude e l'inverno
avrà steso l'eterno
suo velo di silenzio sulla pietra,
dimmi, cosa sarà del tempo nostro
di vita. Sopra quelle care spoglie
scende l'oblìo, e resta una parvenza
di memoria finché vive di noi
chi si ricorda; è vero,
questo è il nostro destino:
esser polvere che trascina il vento.
Così giace la storia
di ognuno: dopo la tempesta tace
ogni cosa e si ferma la parola.
Per noi sigillo è la morte che viene
e nessuno ritorna
per dirci cosa mai c'è oltre la soglia,
dove si apre, o si chiude, l'esistenza.
Conosco del dolore ogni risvolto:
ogni singola cosa che mi logora
il pensiero. E d'amore,
il suo rovescio amaro:
e tutto ho visto, e niente m'è rimasto.
Non so di me che cosa mai sarà,
né so che cosa aspetta,
là, dove si ripiega
il giorno. Timoroso
son del domani; come dell'istante
prossimo che scandisce
l'orologio del tempo
che finisce. E va via il tumultuoso
fiume, che della vita
travolge ogni momento:
fugge lontano, e non s'arresta mai
neanche per un secondo;
così, rapidamente,
trasforma il nostro vivere in ricordo.
Sotto un cielo remoto
dove brillano immoti
i gelidi astri e si stendono
gli inutili pensieri dei viventi
e vi regna una pace che sconforta.
Quale è, allora, il motivo
del viver nostro? Quale la ragione
del morire che vedo
venire a me, così rapidamente?
Cosí svelti a svanire
son dunque i nostri giorni...
Nei tentacoli oscuri e nelle pieghe
riposte della mente
cerco una luce che mi spieghi il presente
stato, ed il Vero sull'esister nostro.
Ed il perché nel nostro divenire,
altro non ci vien dato che il soffrire.
Maurizio Donte
Maurizio Donte.
grazie professore
RispondiEliminaEchi di leopardiana memoria in questa lirica di Maurizio, che sceglie il verso libero e vi si destreggia con maestria. La tecnica dell'enjambenent è usata con ispirazione e capacità tecnica e collabora a rendere il componimento intenso e incalzante. Un poeta completo quest'Autore, che continua a sorprendere e a convincere! Grazie, un abbraccio e auguri....
RispondiEliminaMaria Rizzi
Gentilissima, Maria: Leopardi è sicuramente il mio primo maestro, a lui mi ispiro da sempre, ma rimane un faro di luce così intensa da essere del tutto inavvicinabile. grazie davvero, per questo commento, te ne sono molto grato.
RispondiEliminaNon so come dire per esprimere il mio plauso su questa poesia; la trovo chiara e lineare e con tutti quegli interrogativi che ogni umano vivente si pone,almeno una volta, nella propria vita. Sono domande esistenziali che purtroppo non hanno e non avranno mai risposte se non attraverso la fede (per chi crede). Se ogni "umano vivente" si ponesse più spesso tali perchè conseguentemente l'uomo e quindi l'intera società della quale fa parte, ne risulterebbe assai migliore e perciò più consona al modo d'essere e di esistere. Mi fa piacere che il poeta M. Donte (che ritengo sia assai più giovane del sottoscritto) si ponga già tali interrogativi e in modo incalzante da esternarli anche in poesia, come modestamente il sottoscritto con una lirica quasi dello stesso contenuto. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaCommosso dal suo commento, esimio Cinnirella, la ringrazio di cuore. Si, è vero, se tenessimo presente più spesso il monito del Qoelet, "et omnia vanitas", forse e sottolineo forse, il mondo, la società, sarebbero migliori. grazie ancora
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