Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
La Sapienza de "'U
Pazànu"
SU
VITO LOLLI
BLOG GENNAIO
http://nazariopardini.blogspot.it/2016/01/vito-lolli-il-ramoscello-dulivo.html
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VITO LOLLI
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Carissimo Vito,
entrambi - lo sappiamo - cerchiamo l'alleanza con l'assoluto, ma abbiamo idee
diverse sul come guadagnarla, ed è giusto che così sia, perché nessun uomo può
avere quello che tu definisci lo sguardo
totale di Apollo: come dire lo
sguardo stesso di Dio. Noi possiamo puntare all'Unione, alla Ri-unione, alla
Cooperazione fraterna, ma non potremo mai avere la visione superiore dell'Uno. Non
possiamo essere l'Abbraccio, ma
possiamo cercare di tenerci abbracciati:
questo si. L'uomo può superare molti limiti, ma non quelli inerenti la propria individualità. Possiamo, e dovremmo,
cercare l'universale che è in noi, restando
ancorati al particolare che noi
stessi siamo, senza distruggere la nostra personalità. Come è possibile ciò? Dipende
dall'uso che riusciamo a fare della dea Ragione, e con ciò entro nel vivo
dell'argomentazione da te introdotta parlando dell'enigmatico Epimenide.
Tu concludi il tuo
articolo con una domanda: dove andare a cercare la Sapienza, se noi stessi siamo
il Labirinto, e ci troviamo pertanto nel Labirinto da noi stessi creato? La
risposta, ovviamente, non può essere quella di distruggere il Labirinto, ossia
la Stoltezza, perché ciò equivarrebbe ad un suicidio (detto per inciso,
apprezzo l'idea che la Stoltezza, o l'Inganno, coincida con la Conoscenza,
anche nel Genesi indicata come l'origine di tutti i nostri mali). Non abbiamo
altra via, allora, che quella di percorrere il Dedalo tentando in qualche modo di
uscirne, come può insegnarci per l'appunto Odisseo. Ma in che modo uscirne, se
non facendo appello alle nostre più segrete risorse interiori? Dentro di noi
c'è tutto, la Stoltezza e la Sapienza, sta a noi dirigere la prua. Dentro di
noi c'è l'Umano e c'è il Divino. Non Dio direttamente, ma la Scintilla che Lui ci ha donato.
La Sapienza dell'uomo
sta nel far dialogare la propria relatività con la propria assolutezza, la
propria Ragione con il proprio Spirito, e non nel tenere i due piani radicalmente
separati tra di loro. Apprezzo moltissimo, Vito, la tua concretezza nel dire che
"non esiste una sapienza astratta, perché c'è sempre il vissuto di
qualcuno, il sapiente... (che) vive con gli dei". Ma voglio essere ancora
più concreto, chiedendomi: chi sono in fondo gli dei? Forse è giunto il tempo
di uscire dalle metafore, visto che, dopo la prima epifania, queste inevitabilmente
degenerano diventando dei luoghi comuni. Diciamo allora le cose come stanno:
parlando degli dei, noi non facciamo altro che parlare dell'uomo. Parliamo
sempre e comunque dell'umano, anche quando parliamo del divino.
Il divino di cui ci
è dato parlare è il divino dell'uomo stesso: quella particolare sfera
dell'umano che tacita la presunzione ed ha a che fare con le armonie universali,
con gli archetipi, con le coordinate che, prima di eclissarsi, l'Artefice del
Tutto ha impresso in ogni creatura dell'opera creata. Ogni uomo, allora, come
ogni essere vivente, possiede questa Sapienza che viene direttamente dalla
Creazione universale. Non dovrebbe esserci bisogno di Tavole o Decaloghi, di
santoni o di guru, perché le Leggi sono incise nel profondo più profondo di
ogni mente e di ogni cuore individuale. Basta saper essere semplici, o tornare
ad esserlo, secondo costituzione archetipa, secondo stampo originario. In che
modo ciò è possibile? Interrogando quel Maestro interiore, quel polo di
saggezza atavica che la Creazione ci ha dato e che ci invita alla verginità.
Non occorrono
lauree, perché quella Sapienza non si apprende dai libri, ma viene succhiata
insieme al latte materno. E' un sapere che viene all'uomo dalla nascita, per il
semplice fatto di nascere umano. Anche tu ricorderai, credo, come li ricordo io
(pur avendo tu qualche anno meno di me), i tanti personaggi della vita popolana
che colpivano per la loro schiettezza, per il loro candore, per la loro
autenticità. Mi viene in mente "'U
Pazànu". Ricordi anche tu? Dovresti ricordartene, visto che siamo
concittadini e che anche tu vivi nello stupendo scenario dei Castelli Romani. Chi
fu "'U Pazànu"'? Un
contadino tipico dei nostri luoghi natali, dotato di quella particolare arguzia
dei popolani di un tempo che ora non esistono più. Scomparve negli anni
Novanta, ma giunto all'età di cento anni, la nostra Città, Marino, decise di
dedicargli una festa memorabile.
Fu invitata la
televisione e l'intervistatore, un noto conduttore televisivo di cui non
ricordo il nome, rivolse a "'U
Pazanu" alcune domande, tra cui l'inevitabile: "Può spiegarci il segreto della sua longevità?". La
risposta fu questa: "Me so' sembre
fattu i fatti mii e a quistu 'nge so' fattu mai sapé gnende". Traduco:
"Mi sono sempre fatto gli affari
miei (veramente la parola fu un'altra) e
a questo (indicando il cuore) non gli
ho mai fatto sapere nulla (anche qui il termine fu un altro)". Mi sono chiesto più volte che
cosa potesse insegnare Budda a 'U Pazànu.
Nulla (con tutto il rispetto che merita Budda, ovviamente), perché 'U
Pazànu" fu un vero Sapiente, un uomo semplice che sicuramente svolse, nel
silenzio delle vigne e nelle amarezze della sua vita grama, dei particolari
percorsi interiori. Uscì dal Labirinto semplicemente dialogando con se stesso.
Cosa che non sa fare il logorroico Orfeo, nascondendo la verità e precipitando nella
disperazione totale.
Franco Campegiani
Ripensando alle macerazioni di V. Lolli e alle risposte sul tema SAPIENZA sia di M.Rizzi (“Forse non esiste sapienza tra gli uomini… E se la sapienza potesse identificarsi con questa capacità dell'uomo dionisiaco di sovvertire le regole sociali, creando un Vangelo dell'armonia universale, nel quale ciascuno si sente riconciliato con il prossimo e diventa addirittura tutt'uno con esso?..”) che di F. Campegiani …(“Non dovrebbe esserci bisogno di Tavole o Decaloghi, di santoni o di guru, perché le Leggi sono incise nel profondo più profondo di ogni mente e di ogni cuore individuale. Basta saper essere semplici, o tornare ad esserlo, secondo costituzione archetipa….Mi sono chiesto che cosa potesse insegnare Budda a 'U Pazànu. Nulla,… perché 'U Pazànu" fu un vero Sapiente, un uomo semplice che sicuramente svolse, nel silenzio delle vigne e nelle amarezze della sua vita grama, dei particolari percorsi interiori”) …Forse è il caso di ripensare senza schemi precostituiti e risposte dotte, definitive, esaustive, a che cos’è la sapienza.
RispondiEliminaSuggerisco da Thich Nhat Hanh, Il segreto della pace, Oscar Mondadori , 2003 :
“Nel mio eremo in Francia c’è un cespuglio di japonica, il melo cotogno giapponese. Di solito fiorisce in primavera, ma in un inverno dal clima piuttosto tiepido i boccioli erano comparsi in anticipo. Una notte arrivò un’ondata di freddo e portò con sé il gelo. Il giorno dopo, durante la meditazione camminata, notai che tutti i boccioli del cespuglio erano morti; mi venne da pensare:- A capodanno non avremo abbastanza fiori per decorare l’altare del Buddha-
Poche settimane dopo il clima cominciò ad intiepidirsi. Camminando in giardino vidi nuovi boccioli: la japonica manifestava un’altra generazione di fiori. Chiesi loro.- siete gli stessi fiori che sono morti per il gelo o siete altri fiori?-
I boccioli risposero:- Thàv, non siamo gli stessi e non siamo altri. Quando le condizioni sono sufficienti ci manifestiamo, quando le condizioni non sono sufficienti torniamo a nasconderci. È così semplice! -quando le condizioni sono sufficienti le cose si manifestano; quando le condizioni non sono sufficienti le cose si ritirano in attesa che arrivi il momento giusto per manifestarsi di nuovo-.”
Ringraziamenti sentitissimi a Maria Grazia Ferraris, che dimostra di aver colto nel profondo il pensiero del caro amico Franco. L'esempio che suggerisce cade davvero a pennello: è una metafora straordinaria il passo citato. E dovrebbe spingere a riflettere, a interrogarsi sulla complessa semplicità della vita.
EliminaCon stima,
Sandro Angelucci
Bella metafora, quella di Thich Nhat Hanh. La citazione cade a pennello e ti sono grato. Anch'io parlo di condizioni climatiche. Dico infatti che le condizioni affinché germogli la Sapienza sono quelle del dialogo dell'uomo con se stesso: con quella coscienza arcana di se stesso che ritengo sia al di fuori di ogni schema.
RispondiEliminaFranco Campegiani