Segnaliamo la silloge di poesie Arimane
dell'autore Henry Ariemma nato a Los Angeles e ora risiedente a Roma. Arimane è la sua sesta raccolta di
poesie; ha ottenuto recensione nella rivista internazionale di poesia Gradiva e
Menzione Speciale al Premio Anterem. Il libro è distribuito dalla Libro.co
(libroco.it) e può essere acquistato su Ibs, Feltrinelli, Amazon, Mondadori
online o anche direttamente su ladolfieditore.it.
Henry Ariemma in
A R I M A N E si pone
quegli interrogativi di annosa storia umana che mai trovarono soluzione. Già
nel Gioachimismo (e lungo sarebbe ripercorrere il tragitto di coloro che, scrittori, filosofi, pensatori, teologi, si sono occupati del tema) viene contemplato il dilemma del bene e del male; l’interrogativo che ogni
umano si pone o si è posto: Si
Deus, unde malum?
“Se dio è tutto, è
bene, è giustizia, è …, come è possibile l’esistenza del male? Perché dalla
luminosità del divino non è nato solo il bene, senza peccato?”. Un dilemma che
coinvolge tutti noi credenti o no a livello teologico, filosofico,
esistenziale, poetico…E l’autore indaga, riflette, stuzzica, chiama; invoglia a
prendere parte alla sua storia, al suo
racconto ricco di vicende mitologiche, epiche,…, religiose,
filosofiche.; quello che noi possiamo aggiungere è che, come già avevamo scritto
in altra occasione, il verso di Ariemma corre liscio, affabulante, compatto, e
disposto nelle sue varianti a concretizzare tanto pensiero: “… D’altronde non è
facile far seguire un verbo alle incursioni emotive della vita. L’animo è
gonfio delle esperienze vicissitudinali, è zeppo di impressioni e accostamenti
memoriali che tanto pesano; per questo l’andamento prosodico del nostro non si
accontenta di una morfosintassi di sapore canonico ma va oltre la parola, oltre
il semplice significato dell’etimo, per agguantare quegli abbrivi che con tanta
effusione, cercano di sottrarsi alle ristrettezze del terreno vivere per una
libertà di cui il mare è l’immagine più consona; una libertà vaga e
indeterminata come vaga è la ricerca di un essere volta a risolvere quei perché
che tanto sanno di insoluzione; di meta irraggiungibile per il potere umano…”.
Ma, affidandosi alla prefazione di
Giulio Greco, alla sua colta e intrigante dissertazione, ci appare
chiaro e approfondito il discorso sotto l’aspetto umano e poetico: “… Nella visione politeistica il male, il dolore, il limite
della condizione universale erano attribuite a diverse divinità in lotta
con quelle del bene, che dovevano
essere placate con sacrifici. Il monotesimo, invece, facendo
risalire ogni realtà
a un Essere unico, lascia
insoluto il quesito, perché non è amissibile mettere in dubbio la bontà di Dio.
Nei secoli filosofi e teologi
si sono affannati a trovare una
spiegazione razionale al problema senza riuscirvi, probabilmente perché kantianamente oc- corre accettare i limiti della
Ragion Pura, capace
di raggiungere soltanto il “fenomeno” della
realtà. Ariemma affronta la questione sotto
il profilo esistenziale in due sezioni,
dedicate la prima ad Arimane,
il dio del male, e la seconda
a Spenta Mainyu, lo spirito del bene,
partendo dall’esergo platonico, secondo il quale «Dio è innocente», e dalla citazione di un poeta persiano che i nomi di “bene” e di “male” appartengono non
alla realtà, ma agli uo- mini. Nelle prime
composizioni, infatti, si riafferma il concetto «Solo
parlare e si intuisce la storia...», «perché il male / ancora meraviglia le carni». Forse
agostinianamente il male
non può avere
una consistenza ontologica, non esiste
se non come
mancanza di bene («la coperta
/ non allargava / la funzione unica / dell’ a m o r e») o addirittura, secondo il concetto di Provvidenza, come
nei Promessi Sposi («Il
male libera. / Fa
capire ogni bene»), costringe l’essere
umano a porsi interrogativi, a scoprire i propri limiti
(«L’erba mi ricordi / di quella
casa... / Cumulava dove voleva»), ad accettare situazioni inspiegabili («capire dell’amore la scusa / al rompere
abitudini tristi / di più umane scelte...»), a vivere la condizione della
solitudine («È stata
la lettera / nella casa la
causa / di future distanze») e le conseguenti bar-riere tra le persone, come
«piano di ricordi
a difesa» da una presenza femminile mai delineata, lasciata unicamente come testimonianza di accadimenti per- sonali.
Ogni gesto, ogni parola, ogni sentimento sono parte di un’esistenza ed esistono di per se stessi,
anche se confinati in confini
ontologici e gnoseologici privi di senso
(«Il dubbio non fa vedere
/ total- mente il male»)
e privi di colpa («Bisogna essere pieni di tutto / il bene, non essere
peccato»). Ma l’uomo
non accetta la situazione e si ribella mediante l’utopia, la speranza, l’ideale («A essere
di- visi / sono promessi
ritorni / di richiami intuiti»), cui fanno da contrappunto le domande di Giobbe,
del pastore errante dell’Asia e di ogni
essere dotato di ragione: «E le costellazioni perse?». Nella sezione
dedicata a Spenta
Mainyu notiamo un immediato cambiamento di prospettiva nella dedica «con
amore» a Francesca e ad Alma,
concetto ripreso nella prima
composizione («È l’amore
il cardine / del nostro
esistere»). Anche in questo caso
la ragione non
è in grado di offrire
una spiegazione
soddisfacente. Non resta
che l’umiltà di accettare i propri limiti, senza però rinunciare all’esplorazione del reale mediante la forza del
sentimento («vedere nella fessura / più stretta
l’attimo / nella sua essenza»), alla suggestione della bellezza («Ai tuoi gesti / danzano
carni appetibili»), alle
dolcezze che la vita
sa concedere («Al
nonno, piaceva old
spice / e whisky old parr, la birra polar / e il televisore a manovella zenith Speranza, superamento del male? No, solo concretezza, realismo, visione
equilibrata. Il bene e il male,
come nella parabola evangelica del
grano e del
loglio, nella nostra
vita sono così
intimamente intrecciate da coinvolgere in profondità la responsabilità
individuale sia nel progetto sia nella realizzazione dell’esistenza. Ci troviamo di fronte a una breve,
ma suggestiva raccolta, densa
di domande e di interrogativi capitali, spesso “incosati” in gesti, in situazioni, in figure
appena appena tratteggiate. Ma la poesia conserva proprio il fascino di battere sul cuore e sulla mente del
lettore adulto e di spingerlo a porsi interrogativi degni dell’essere umano…”. (Dalla prefazione di Giulio
Greco).
A voi la lettura di un’opera
plurale e polivalente in cui ognuno ritrova parte dei suoi interrogativi
irrisolti; o coglie il tanto intricato volgersi della vita.
Nazario Pardini
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