domenica 15 ottobre 2017

HENRY ARIEMMA: "ARIMANE"


Segnaliamo la silloge di poesie Arimane dell'autore Henry Ariemma nato a Los Angeles e ora risiedente a Roma. Arimane è la sua sesta raccolta di poesie; ha ottenuto recensione nella rivista internazionale di poesia Gradiva e Menzione Speciale al Premio Anterem. Il libro è distribuito dalla Libro.co (libroco.it) e può essere acquistato su Ibs, Feltrinelli, Amazon, Mondadori online o anche direttamente su ladolfieditore.it. 



Henry Ariemma in A R I M A N E si pone quegli interrogativi di annosa storia umana che mai trovarono soluzione. Già nel Gioachimismo (e lungo sarebbe ripercorrere il tragitto di coloro che, scrittori, filosofi, pensatori, teologi, si sono occupati del tema) viene contemplato il dilemma del bene e del male; l’interrogativo che ogni umano si pone o si è posto: Si Deus, unde malum?
 “Se dio è tutto, è bene, è giustizia, è …, come è possibile l’esistenza del male? Perché dalla luminosità del divino non è nato solo il bene, senza peccato?”. Un dilemma che coinvolge tutti noi credenti o no a livello teologico, filosofico, esistenziale, poetico…E l’autore indaga, riflette, stuzzica, chiama; invoglia a prendere parte  alla sua storia, al suo racconto ricco di vicende mitologiche, epiche,…, religiose, filosofiche.; quello che noi possiamo aggiungere è che, come già avevamo scritto in altra occasione, il verso di Ariemma corre liscio, affabulante, compatto, e disposto nelle sue varianti a concretizzare tanto pensiero: “… D’altronde non è facile far seguire un verbo alle incursioni emotive della vita. L’animo è gonfio delle esperienze vicissitudinali, è zeppo di impressioni e accostamenti memoriali che tanto pesano; per questo l’andamento prosodico del nostro non si accontenta di una morfosintassi di sapore canonico ma va oltre la parola, oltre il semplice significato dell’etimo, per agguantare quegli abbrivi che con tanta effusione, cercano di sottrarsi alle ristrettezze del terreno vivere per una libertà di cui il mare è l’immagine più consona; una libertà vaga e indeterminata come vaga è la ricerca di un essere volta a risolvere quei perché che tanto sanno di insoluzione; di meta irraggiungibile per il potere umano…”. Ma, affidandosi alla prefazione di  Giulio Greco, alla sua colta e intrigante dissertazione, ci appare chiaro e approfondito il discorso sotto l’aspetto umano e poetico: “… Nella visione politeistica il male, il dolore, il limite della condizione universale erano attribuite a diverse divinità in lotta con quelle del bene, che dovevano essere placate con sacrifici. Il monotesimo, invece, facendo risalire ogni realtà a un Essere unico, lascia insoluto il quesito, perché non è amissibile mettere in dubbio la bontà di Dio. Nei secoli filosofi e teologi si sono affannati a trovare una spiegazione razionale al problema senza riuscirvi, probabilmente perché kantianamente oc- corre accettare i limiti della Ragion Pura, capace di raggiungere soltanto il “fenomeno” della realtà. Ariemma affronta la questione sotto il profilo esistenziale in due sezioni, dedicate la prima ad Arimane, il dio del male, e la seconda a Spenta Mainyu, lo spirito del bene, partendo dall’esergo platonico, secondo il quale «Dio è innocente», e dalla citazione di un poeta persiano che i nomi di “bene” e di “male” appartengono non alla realtà, ma agli uo- mini. Nelle prime composizioni, infatti, si riafferma il concetto «Solo parlare e si intuisce la storia...», «perché il male / ancora meraviglia le carni». Forse agostinianamente il male non può avere una consistenza ontologica, non esiste se non come mancanza di bene («la coperta / non allargava / la funzione unica / dell’ a m o r e») o addirittura, secondo il concetto di Provvidenza, come nei Promessi Sposi («Il male libera. / Fa capire ogni bene»), costringe l’essere umano a porsi interrogativi, a scoprire i propri limiti («L’erba mi ricordi / di quella casa... / Cumulava dove voleva»), ad accettare situazioni inspiegabili («capire dell’amore la scusa / al rompere abitudini tristi / di più umane scelte...»), a vivere la condizione della solitudine («È stata la lettera / nella casa la causa / di future distanze») e le conseguenti bar-riere tra le persone, come «piano di ricordi a difesa» da una presenza femminile mai delineata, lasciata unicamente come testimonianza di accadimenti per- sonali. Ogni gesto, ogni parola, ogni sentimento sono parte di un’esistenza ed esistono di per se stessi, anche se confinati in confini ontologici e gnoseologici privi di senso («Il dubbio non fa vedere / total- mente il male») e privi di colpa («Bisogna essere pieni di tutto / il bene, non essere peccato»). Ma l’uomo non accetta la situazione e si ribella mediante l’utopia, la speranza, l’ideale («A essere di- visi / sono promessi ritorni / di richiami intuiti»), cui fanno da contrappunto le domande di Giobbe, del pastore errante dell’Asia e di ogni essere dotato di ragione: «E le costellazioni perse?». Nella sezione dedicata a Spenta Mainyu notiamo un immediato cambiamento di prospettiva nella dedica «con amore» a Francesca e ad Alma, concetto ripreso nella prima composizione («È l’amore il cardine / del nostro esistere»). Anche in questo caso la ragione non è in grado di offrire una spiegazione soddisfacente. Non resta che l’umiltà di accettare i propri limiti, senza però rinunciare all’esplorazione del reale mediante la forza del sentimento («vedere nella fessura / più stretta l’attimo / nella sua essenza»), alla suggestione della bellezza («Ai tuoi gesti / danzano carni appetibili»), alle dolcezze che la vita sa concedere («Al nonno, piaceva old spice / e whisky old parr, la birra polar / e il televisore a manovella zenith Speranza, superamento del male? No, solo concretezza, realismo, visione equilibrata. Il bene e il male, come nella parabola evangelica del grano e del loglio, nella nostra vita sono così intimamente intrecciate da coinvolgere in profondità la responsabilità individuale sia nel progetto sia nella realizzazione dell’esistenza. Ci troviamo di fronte a una breve, ma suggestiva raccolta, densa di domande e di interrogativi capitali, spesso “incosati” in gesti, in situazioni, in figure appena appena tratteggiate. Ma la poesia conserva proprio il fascino di battere sul cuore e sulla mente del lettore adulto e di spingerlo a porsi interrogativi degni dell’essere umano…”. (Dalla prefazione di Giulio Greco).
A voi la lettura di un’opera plurale e polivalente in cui ognuno ritrova parte dei suoi interrogativi irrisolti; o coglie il tanto intricato volgersi della vita.


 Nazario Pardini

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