Alzheimar
fest
Pagina
intensa questa della Ferraris, di polisemica significanza, di plurale
coinvolgimento empatico: letteratura, poesia, scienza, medicina, società,
etica, filosofia, storia; un ensemble culturale di portata umana e umanitaria.
“Alzheimar fest, un nome che sembra una contraddizione, un ossimoro gigantesco.
L’opera di Maurizio Cattelan “La signora
degli orologi” è una delle opere che l’Autore
ha regalato all’Alzheimer Fest. Un dono prezioso.”. Ed è proprio
Cattelan che, con la sua intrepida creatività, ci mette di fronte al problema
di una malattia dai risvolti tragici a livello psichiatrico e sociale. Ma è la
poesia a dare un senso ontologicamente devastante, e umanamente contaminante a
questo stato “del non essere”; quella della poetessa Roberta Dapunt. “…Tutta la
sua raccolta poetica , “ Le beatitudini della malattia”, ha un destinatario-protagonista privilegiato,
incarnato nella persona malata di Alzheimer di nome Uma: la madre, forse, o la
nonna della poetessa. Un'anziana, molto amata e rispettata, che ha perso i
contatti con la realtà esterna, e con il suo stesso corpo” ("da un giorno
all'altro/ non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non/ hai
capito").
“Mater
familias… dalla fede rocciosa e semplice
("fossi io la fede sceglierei te come fortezza"), viveva in assoluta
armonia con il suo ambiente: monti innevati, stalle, larici, abeti, e
tranquillo silenzio…” "Chiamami quando avrai finito di lavarti./ Ti
vestirò le calze, ho posto le pantofole ad aspettare/ i tuoi piedi dalle dita
intrecciate". Poesia dal calore universale; di weltschmertz misura; versi
scaturiti da un’anima che ha vissuto il dolore sulla propria pelle: il tempo,
la vita, l’occasione, la memoria, il sentimento, il rapporto, la malattia,
l’innocenza, il fatto di vivere, di essere, di esistere, il principio, la fine,
il presente, il passato, il futuro, l’amore, l’indifferenza, lo sguardo, gli
occhi, la vicinanza: tanti orologi, fermi, in movimento, presenti, a dire
dell’ora, di un quando immobile ad un essere che esiste, e non esiste; che è
fuori dai marchingegni temporali; che non dà peso al fatto di esserci. Poesia,
società, festa, dolore, cultura, humanitas. La casa, questo contiene quella
parola tanto triste. E casa significa ritorno; scoperta di una verità che
credevamo lontana; di una verità attorno a cui abbiamo razzolato, inconsci, da
una vita; al cui calore ognuno di noi
torna sempre, dopo un viaggio senza mete, per sentirsi al sicuro, nel proprio
nido. Si cammina e si cerca; si viaggia e ci si perde, finché ci ritroviamo,
alfine, nel ritorno. Il tempo consuma, rode, e distrugge; e quanto soffriamo
nel trovarci di fronte i cari senza
ricordi! là, abbandonati al nulla, smemorati, spersi in un buio fitto che
toglie la forza di abbozzare un sorriso a chi li ama! Che cosa non faremmo per
cambiare le cose! per riportarli ai
fremiti degli affetti! alla storia che essi hanno costruito coi loro abbracci! Lavorarono, amarono, furono capi di famiglia,
accesero i forni per realizzare profumi di pane, coltivarono terre fino
rovinare le ossa…; tramandarono gli echi delle loro voci quelli che ora lì
davanti a noi guardano dalla finestra senza più vedere.
Opera che ci induce alla riflessione quella di
Cattelan, che ci fa riflettere, soffrire, e vagliare; quella di un uomo che
affida il suo sapere, la sua conoscenza, ma soprattutto la sua sensibilità a
cose loquaci, umanizzate, portatrici di alti significati umani e sovrumani.
Perdersi nei meandri del nulla, nelle viscere del non essere, equivale ad annullare
la coscienza della nostra nullità? O significa mettere i cosiddetti sani di
fronte al senso della vita; della morte; dare motivo a noi tutti di lottare
contro le grinfie della sorte, nella speranza di averla vinta sul tempo che, spavaldo,
si permette di azzerare la mente; il patrimonio degli affetti per i quali
vivemmo e che ci tennero in vita. Lottare per queste creature che ci guardano
assenti, difendendole, amandole, curandole, abbracciandole, significa prendere
il loro posto nel crudele gioco dell’esistenza; farsi nuovi, arricchiti delle
loro privazioni, per continuare una storia intrisa della loro presenza.
Nazario Pardini
L’Alzheimar fest di Gavirate (1-3
settembre 2017).
Alzheimar
fest, un nome che sembra una contraddizione, un ossimoro gigantesco.
L’opera di Maurizio Cattelan “La signora degli
orologi” è una delle opere che l’Autore ha regalato all’Alzheimer Fest. Un dono
prezioso.
Cattelan
è infatti tra i nomi più quotati dell’arte contemporanea. I suoi lavori sono
entrati nell’immaginario di questo millennio. Discusso, imprevedibile,
controverso, ironico, sorprendente. Il fatto che sia stato tra i primi a
sostenere l’ iniziativa sociale ha convinto che l’Alzheimer Fest è una faccenda
forte, ma anche tenera: questa vecchina
a letto, che legge chissà cosa, ha il volto della vecchiaia come dovrebbe essere. Una faccia
interessata, concentrata, affettuosa, solitaria ma non sola. Gli orologi
intorno a lei, come tanti convitati di legno e ingranaggi, non sembrano
preoccuparla. Il tempo impazzito e sempre diverso che misurano quelle lancette
può anche essere letto come il segno del tempo un po’ sballato dell’Alzheimer.
Un ballo non sincronizzato. Ma la signora degli orologi non si impressiona. E’
il battito del cuore, con le lancette dei suoi molteplici interessi, a fare da
sano metronomo alle vite di ogni età. Libera dai vincoli del tempo, degli
orologi e dei calendari. Lei è al centro del tempo, che è il suo.. e continuerà
ad esserlo.
Il
tentativo di Cattelan è quello di fondere insieme vita e arte, realtà e
fantasia. Le opere dell'artista suscitano al primo impatto un sorriso, ma al
tempo stesso inquietano, disturbano lo spettatore, spingendolo ad una
riflessione. I temi celati nelle opere dell'artista sono seri e profondi: la
morte, l'amore, la vecchiaia, il senso della vita, il fallimento, l’attesa….
La
parabola di un nome diventato sinonimo di malattia.
In
fondo il nome Alois Alzheimer ha un
suono rotondo, gradevole… è quello di un
neurologo psichiatra tedesco che nel
1901, interrogò con cura una sua paziente, la signora Auguste D. di 51 anni
inspiegabilmente sofferente.
Strani
i suoi disturbi cognitivi, vuoti di memoria, improvvise perdite del senso della
realtà. Le mostrò parecchi oggetti e
successivamente le domandò che cosa le era stato indicato. Lei non poteva però
ricordare. Inizialmente il medico registrò il suo comportamento come "disordine
da amnesia di scrittura": la signora Auguste D. fu la prima paziente a cui
venne diagnosticata quella che in seguito sarebbe stata conosciuta come
malattia di Alzheimer.
Negli
anni successivi vennero registrati in letteratura scientifica undici altri casi
simili; nel 1910 la patologia venne inserita per la prima volta dal grande
psichiatra tedesco Emil Kraepelin nel suo classico Manuale di Psichiatria,
venendo da lui definita come "Malattia di Alzheimer", o "Demenza
Presenile". Il termine, inizialmente utilizzato solo per le rare forme
"early-onset" (ovvero, con esordio clinico prima dei 65 anni), dopo
il 1977 è stato ufficialmente esteso a tutte le forme di Alzheimer….
Il
nome di Alzheimer ha cessato di evocare la sua gradevolezza uditiva e si è
caricato di angoscia sia per chi ne è vittima sia per i parenti che condividono
l’esperienza. Incertezze e angosce.
Dimmi e dimenticherò,
mostrami
e forse ricorderò,
coinvolgimi
e comprenderò.
(Confucio)
Eppure
dice la poetessa Roberta Dapunt, scrittrice di lingua ladina, che vive e lavora
nel maso di Ciaminades, con grandissima sensibilità:
”
Alzheimar. Dentro questo nome c’è la parola Heim. Vuol dire casa, o meglio la
propria abitazione. Succede che prima ancora di una dimora, si ha come propria
abitazione se stessi, il proprio essere, nella condizione naturale di avere
vita. Il contrario è non essere o meglio: mancare. È la voce più onesta per chi
non abita se stesso. Più volte ho pensato a quanto sia contrastante questo
nome, che nella sua definizione non possiede nulla di Heim, propria
abitazione.”
Tutta
la sua raccolta poetica , “ Le beatitudini della malattia”, ha un destinatario-protagonista privilegiato,
incarnato nella persona malata di Alzheimer di nome Uma: la madre, forse, o la
nonna della poetessa. Un'anziana, molto amata e rispettata, che ha perso i contatti
con la realtà esterna, e con il suo stesso corpo ("da un giorno all'altro/
non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non/ hai capito").
Ma
questa madre antica, come è stato osservato, la quale osserva il mondo senza vedere, in piedi immobile
accanto alla finestra, o seduta in attesa del niente, era stata un'
infaticabile lavoratrice dei campi, una forte donna di montagna, mater familias
che radunava intorno a sé la sua gente per il rito quotidiano del pranzo, o per
il rosario serale, e per la Messa alla domenica. Persona dalla fede rocciosa e
semplice ("fossi io la fede sceglierei te come fortezza"), viveva in
assoluta armonia con il suo ambiente: monti innevati, stalle, larici, abeti, e
tranquillo silenzio. Un mondo scandito dai riti religiosi - Vespri, Quaresime,
Pasque - che ora si ripropone in un'inedita beatitudine, ad aggiungersi a
quelle evangeliche: la beatitudine della malattia.
I suoi
versi testimoniano la dedizione umile di chi ancora sa affaccendarsi come
Marta, profumare il corpo come Maddalena, dissetare come la Samaritana : "Chiamami
quando avrai finito di lavarti./ Ti vestirò le calze, ho posto le pantofole ad
aspettare/ i tuoi piedi dalle dita intrecciate".
Il
tempo: tutti sanno ricordare quello che è appena avvenuto… ma dimenticarlo
mentre avviene è assolutamente straordinario.
Alice
nel suo paese delle meraviglie chiedeva a Bianconiglio:-Ma quanto è <per
sempre>? E lui rispondeva: < A volte, solo un secondo>. Ecco, sapienza
antica.
In
questo clima partecipativo di straordinaria festa gaviratese, patrocinata dal
Corriere della Sera, è stata ben accolta
anche la mia proposta di una conversazione che avrebbe voluto
chiamarsi , dal titolo di una novella di G. Rodari, “Vado via coi gatti..” e che ha preferito invece adottare quello più
semplice ed esplicativo di I VECCHI DI RODARI . Ė stato chiamato in causa con tutto il suo peso il “gaviratese” immortale novellatore Rodari.
E con grande successo. L’iniziativa sociale dedicata agli adulti , che si è
tenuta a Gavirate (il luogo della sua giovinezza), l’Alzheimer fest
dell’autunno del 2017 , mi ha impegnata e coinvolta in una conversazione sul tema RODARI e il
mondo dei vecchi: straordinaria scelta,
che mi ha visto rileggere le sue filastrocche, le sue favole, le sue novelle
con spirito nuovo.
Il
tema è stato sicuramente inconsueto. Eppure G. Rodari – lo dovremmo sapere- non
parla solo ai bambini, è un fantastico e
grande autore che sa parlare anche agli adulti, ad ogni generazione.
Sa cogliere nella sua vasta esperienza di
scrittore novellatore la complessità e la ricchezza di ogni momento che
viviamo. Le sue parole incisive- che sono state ricordate con letture opportune durante la
conversazione col pubblico- evocano, divertono, insegnano, commuovono sempre chi
lo ascolta, a qualunque età.
Rodari
non ha conosciuto personalmente la vecchiaia: è morto a solo sessant’anni nel
pieno della sua attività, quando i suoi progetti editoriali lo spingevano
sempre più verso una letteratura “per adulti”. Eppure sapeva capire,
partecipava. Vale la pena di rileggerlo.
Oggi la "cura" ci ruba a noi stessi e le responsabilità quotidiane ci portano lontani dal nido e dai teneri abbracci con cui gli avi "lavorarono, amarono, furono capi famiglia, accesero i forni per realizzare profumi di pane, coltivarono terre fino a rovinare le ossa" (così poeticamente Nazario Pardini). Oggi l'"esser-ci" ha il senso heideggeriano dell'estraniazione dall'essere, anziché quello della sua epifanica rivelazione. Si è costretti a vivere una vita inautentica: l'esistenza anonima di tutti dove nessuno è se stesso e ciascuno è prigioniero del "si dice, si pensa, si fa". Così all'anziano, che non ha più un ruolo da svolgere nella quotidiana menzogna, non resta che una via da percorrere: chiudersi in se stesso, uscire dalla realtà... Gli orologi ritratti da Cattelan sono impazziti e l'anziana signora smarrisce la cognizione del tempo, smarrisce la memoria di cui la vecchiaia, per natura, è depositaria da sempre. I suoi ricordi non occorrono più, non occorre più la sapienza di Uma, la mamma (o la nonna?) di Roberta Dapunt, una "madre antica... forte donna di montagna... che radunava intorno a sé la sua gente... persona dalla fede rocciosa e semplice... (che) viveva in assoluta armonia con il suo ambiente". Oggi l'umanità ha voluto strappare le radici dell'incanto (un incanto che portava sulle proprie spalle il dolore), così non le resta che precipitare nel buco nero del disincanto e della disperazione, coinvolgendo tutti nella demenza (giovani e vecchi), senza pietà. E allora fa bene Maria Grazia Ferraris, in questa circostanza, a ricordare Gianni Rodari, straordinario costruttore di favole e di sapienze ataviche, rammentando il tempo senza tempo di un'innocenza che è forza d'animo e si sbaglia a confondere con l'ingenuità.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie: tocchi il cuore del problema.
RispondiEliminabellissima pagina per riflettere, anche per ispirarsi.
RispondiEliminaOdori
Non sempre sono vuote
le bianche pagine di un libro aperto
dipende sempre da chi legge
chi vi respira odori. Sanno di buono
del pane caldo dell’inverno
di mani ammorbidite a primavera
quando nei solchi lo impastavano
con lievito di sole e di sudore
con le stagioni delle attese
le nenie variopinte degli autunni.
La neve ammanta i finestrini
disperde gli echi di campane
ma non lo sguardo delle voci
l’inchiostro delle penne di memorie.
Non sempre sono vuote
le bianche pagine di un libro aperto
dipende sempre da chi legge
chi vi respira odori. Sanno di buono
di una capanna sulle pietre
di una cometa sul camino
sanno di grappoli e cortecce
incensi nelle crepe degli abeti.
Em@nuele Aloisi.