RITORNO A
TINDARI
“Tindari, mite ti so…”
Ascolterò la voce delle pietre
e la sonorità di questo spazio
dorato che riverbera parole
di azzurra grecità,
sparse nel vento
e ascolterò la voce del Poeta
che accende d’emozione
prepotente
la tua profondità di precipizi
e leggerò sul muro le sue
frasi:
“Tindari, mite…”
mite ti so e so di te più cose
di quelle che conosco e che
ricordo.
Noi siamo
ma soltanto in apparenza
il poco di memoria che ci
resta
e custodiamo inconsciamente al
fondo
dei nostri cromosomi
i miti radicati che ignoriamo.
Mi parlano le pietre
di grecità sedimentate a lungo
che il vento mi riporta,
travolgente.
Mi tornano alla mente, come un
canto,
parole greche.
“Tindari, mite..”
mite ti so e so di te ogni
cosa,
presente e assente.
Noi siamo niente
e siamo tutto ciò che abbiamo
amato.
Siamo le pietre modellate ad
arco
di queste gradonate di teatro.
Siamo la voce di chi è ormai
lontano
e quelle di un poeta che ha
sostato.
Tindari mite sa di me più cose
di tutte le parole che
conosco.
La voce sua di vento mi
racconta
di quello che non so
ma sono stato,
la magica leggenda del mio
viaggio
e del ritorno a questa luce
grande.
PENSO AL
DIVARIO
Penso al divario, all’impari
confronto
tra ciò che voglio ciò che
sono invece.
Mi immagino coerenze che non
ho
e la disparità che mi separa
da tante perfezioni
irraggiungibili
è la nevrosi della mia
stagione.
Mia madre mi ha cullato lungamente
come si fa coi figli
sfortunati
ed io le ho consentito di
cullarmi
per anni ed anni, quasi fino a
ieri.
Il viaggio va finendo a queste
sponde
ormai senza più alcuna
velleità.
La mia crociata ammaina le
bandiere
e lascia che si areni sulla
spiaggia
la volontà di fama e di
sapere.
Come tu fai che liberi parole
per dare voce a quello che ti
preme,
io porto a riva solo la catena
di un’ancora incagliata nel
fondale.
Non finirà col viaggio il mio
divario
e se la fine abitualmente
appiana
qualunque asperità, la mia
nevrosi
non colmerà lo spazio che
separa
il me che sono e l’altro che
non è.
Rodolfo Vettorello
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