lunedì 11 novembre 2019

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "OMBRALUCE" DI E. MALATESTA





Presentato il 9 novembre, all'HoraFelix di Roma,
Ombraluce di Egizia Malatesta (Dibuono Edizioni, 2018)

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

La poesia di Egizia Malatesta nasce da un magma incandescente di sensi e d'anima, da un innesto di sangue e spirito, da un grumo molto armonico, fatto di contraddizioni inestricabili fra finito ed infinito, assolutezze e precarietà. Tutto ciò può evincersi fin dal titolo dato a questa recentissima raccolta di liriche, Ombraluce (Dibuono Edizioni 2018), che racchiude in una sola parola il contrasto avvincente di luci e tenebre, di perdite e doni, di negazioni e affermazioni, di plenitudini e vacuità di cui la vita si nutre, in una poesia altamente simbolica (dal greco symbolon, che significa "connessione").
Si consideri, per esemplificare, l'angosciosa coscienza del limite suscitata dalla capinera mortalmente ferita che la poetessa tiene tra le mani, in una delle prime poesie del testo. Su quel batuffolo di piume lei maledice la propria impotenza, eppure è da questa instabilità che paradossalmente nascono i voli e gli slarghi dell'anima che la generosa poetessa propone. Armonia di contrari. Come quando, nel cuore caldo della notte, dichiara di poter finalmente viaggiare "anche senza partire mai". Può navigare restando ancorata agli scogli, volare restando radicata al suolo.
Il positivo non esiste senza il negativo, Il bianco richiama il nero, e viceversa, evocando il rovescio della medaglia in ogni situazione. C'è sempre bisogno del contrario e se esistono le gabbie, esiste pure la libertà. Identico discorso vale per la morte, in stretta relazione con l'immortalità. Se qualcosa o qualcuno ci manca, proprio per questo vuol dire che c'è: "Non c'è più la tua stanza / né il camino presso cui sedevi / a raccontare: come mi manchi, / come sei lontana!". Ma subito la poetessa aggiunge: "Amore amaro, amore che non muore / e intreccia ancora i tuoi capelli bianchi / sciolti per sempre tra la terra e il cielo".
Il dolore e la gioia stanno l'uno nell'altra. Non c'è giorno senza notte, né inverno senza primavera. Sono questi i momenti cari ad Egizia: i momenti del passaggio, del guado, della trasformazione, della ciclicità. Poesia del paradosso che, proprio per questo, è poesia della realtà. Si legga L'uomo dei palloncini: l'estate è finita, giunge la solitudine sul mare e nella pineta abbandonata mulina il vento. Tutto sta cambiando, "ma l'uomo dei palloncini / ch'è in fondo al viale / non si lascia ingannare: / c'è sempre un bimbo da far sognare / ... / ecco perché sorride / quando volano via: / egli sa / che sopra le nuvole / ritroveranno il sole". C'è qualcosa che non muore, qualcosa che torna a se stessa e si rinnova. Ed è la mutazione a illuminare l'immutabilità.
Ci troviamo nel labirinto dell'essere che si avventura dentro se stesso per tornare a se stesso: "fiume che scorre verso il mare / laddove il futuro / ritorna / verso il suo passato / in un eterno andare". E nulla si disperde nel viaggio: "Passerà... / anche questo inverno stanco / ... / ... allora tornerò / ad annusare il vento / per ritrovarmi ancora". Poetica dell'eterno ritorno: "E' il tempo / del tempo ritrovato", dice la poetessa. Il moto e la stasi, una situazione di stallo, di incertezza, mirabilmente descritta alla stazione, "sul marciapiede del binario 3". Egizia sogna una fuga verso il sole, ma poi, quando giunge il treno, pone la valigia sul primo vagone e resta "immobile / col bavero rialzato", mentre "il bar della stazione rimanda / un piacevole, caldo / profumo di caffè".
Nella seconda parte della raccolta lo sguardo si sposta dall'autobiografia verso vicende storiche e spaccati di attualità. L'intimismo viene superato, ammesso che possano definirsi intimistiche le atmosfere del primo tempo, legate all'interiorità. E qui una cosa bisogna dirla, lasciatemela dire: i territori dell'interiorità non coincidono con quelli dell'intimismo, dove l'io è ripiegato su se stesso, chiuso dentro di sé. Interiorità è sinonimo di universalità, e dunque di interscambio innanzitutto tra sé e sé. E anche se qui, in questo secondo tempo, lo sguardo si dirige direttamente verso il mondo, alla fine torna comunque all'interno di sé. E viceversa.
C'è sempre una dualità. Non un dualismo conflittuale, ma un rapporto armonico. Come ad esempio quello dell'umano col divino, che sempre confliggono, ma continuamente s'incrociano tra di loro. Affondando lo sguardo nel mito, ad esempio, Egizia si sofferma su Prometeo che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli umani. Viene punito per questo, ma infine perdonato e riaccettato al convivio delle deità. Armonia di contrari, bilanciamento, diastole e sistole, dualità. Come quella del bene e del male: "All'ombra dei papaveri rossi / il grano cresceva. / I corvi / appollaiati fra i rami / aspettavano". Finché, maturo il grano, "i corvi si levarono in volo / e sul campo dei papaveri / si fece notte".
E che dire di scene strazianti, come la frana? con quei "ciuffi di ginestra / ... / sopra le pietre / di marmo bianco / fiorite a sangue / a un metro dal cielo"? Dolcezze e crudezze in un solo respiro. Una pietas senza pietismo, un incanto fondato sul disincanto, un amore intriso di asperità. Aiutati che Dio t'aiuta, potremmo ben dire. Tutto è sudato e pianto. Nessuna prodigalità. Ed ecco, in un campo rom, tante Madri-bambine sorprese a giocare "all'ombra stentata di un pino". Nasce una piccolina nello "strillo feroce di un pianto" e "accorrono in tanti, si abbracciano", mentre la giovane mamma sogna per la sua bimba "la fortuna / di altri orizzonti, altri cieli / e perfino strade bianche / di latte e di miele, / e un sacchetto di polvere d'oro / da tenere di scorta / e poterci dipingere il sole".
Poesia del vissuto, della quotidianità. Dove fa capolino anche il mito, il mistero di un illo tempore perduto, tradito, ma pur sempre a portata di mano. Ed ecco, in Memorie d'estate, il ricordo di un'infanzia favolosa trascorsa nel mezzo di una natura vergine, tra i monti ed il mare, con l'"arancia del sole / che al tramonto si lascia guardare / inghiottita da un mare corallo", mentre "scintillano i sogni / all'incedere lento / dell'ostia bianca della luna". Potrebbe sembrare rimpianto, nostalgia del passato. Invece è evocazione dell'attimo sacro, quello delle origini, che non sono originarie ma originanti, ovvero perennemente attuali.
Le origini son qui ora, hic et nunc, nella nostra humanitas, nella nostra capacità di essere umani. Non è un ricordo l'innocenza, un reperto archeologico. E' un appello, un richiamo ad essere ora nuovamente innocenti, ora ricchi di valori e di forza morale-vitale. Appartiene all'uomo di sempre, l'innocenza, ai suoi archetipi che non possono sparire dal mondo. A Betlemme si rinnova il gioioso evento della nascita in uno scenario di violenze e di guerra dove la mamma questa volta è destinata a morire. Un cliché di nefandezze e di morte che si ripete in molte altre poesie, ma tutto viene redento alla fine dalla nascita di Lorenzo, il nipotino della poetessa, con il passaggio del testimone alla figlia, scorgendo nel "cerchio / di una vita che sempre si rinnova, la prova / di quell'eternità che ci appartiene".

Franco Campegiani
  




6 commenti:

  1. Sono stata catturata dal titolo della raccolta poetica Ombraluce, d E. Malatesta. Un titolo ossimorico che è un programma poetico manifesto, e che non poteva che stimolare l’attenzione critica di F. Campegiani, che ama riflettere e calarsi anche filosoficamente nel concetto di dualità “(che non è dualismo”), giacchè la carica simbolica del dualismo concettuale si fonde in questo caso di pensiero poetante nell’unicum ( anche grafico) che è sintesi armonica di concetti per sé oppositivi, così come mi è parsa illuminante la riflessione che “ i territori dell'interiorità non coincidono con quelli dell'intimismo, dove l'io è ripiegato su se stesso, chiuso dentro di sé”.. e si amplia e matura nella riflessione sulla poesia del vissuto, della quotidianità… Sono perciò ricorsa- e mi sembrava necessario- alla lettura diretta di tre poesie dell’Autrice(pubblicate su Leucade) che a suo tempo mi erano sfuggite e dove (ahimè!) non compaiono colpevolmente commenti né analisi.
    La prima- Milano stasera- mi ha commossa fino ai brividi cogliendo nella quotidianità di questa città monstre , che è la mia, la coesistenza di fatica e squallore col sogno di poesia e di luce (“Milano stasera ha il respiro/di un vecchio avvolto nel pastrano/ che odora di carbone, di treno/ e di scadente trinciato toscano…Ma sotto i lampioni/ infila paziente/ piccolissime perle di luce..”).La Milano meno seducente, quella quotidiana, stanca e affaticata, ma amata fino alla consunzione rivela la sua altra faccia: “Milano stasera/ha tra le mani una conchiglia/trovata chissà dove:/portandola all’orecchio/può può sentire il mare” e la terza- Come gli aquiloni- ci riconduce allo scenario orrifico di morte dei nostri tempi in luoghi eletti come luoghi di pace: “Joshua è rimasto sotto la trave,/ ha gli occhi chiusi/ ma non può sognare/ e Mjriam ha freddo, lo so,/ perché ha un buco nel petto/al posto del cuore… se n’è andato Joshua/ che da grande voleva volare”. Parole di poesia e di dolore misurato e profondo che portano con sé il dubbio intellettuale e umano : “Anche le parole/hanno smarrito il senso..sulla striscia di Gaza”.

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    1. Avevo già inviato un ringraziamento a caldo per questo magnifico commento della Ferraris, ma non vedendolo pubblicato e conoscendo la mia imperizia tecnologica (il p.c. per me è e resta un alieno), provo a riformularlo in altro modo, dal momento che non l'ho conservato. Sono molto lusingato dalle parole di Maria Grazia, laddove coglie l'inevitabile interesse del mio pensiero critico per il titolo "ossimorico" del testo di Egizia, giocato su una dualità da intendersi come "sintesi armonica di concetti per sé oppositivi". E ancor più per aver sottolineato la riflessione - per me fondamentale anche in sede filosofica - che "i territori dell'interiorità non coincidono con quelli dell'intimismo". Sono certo che anche Egizia sarà molto onorata da queste note critiche, così come lo è stata dalle riflessioni, alle mie congiunte, dell'altro relatore della serata, Sandro Angelucci. La manifestazione, svoltasi presso la libreria HoraFelix di Roma, con la brillante conduzione di Maria Rizzi, è da considerarsi un vero fiore all'occhiello del circolo Iplac romano.
      Franco Campegiani

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  2. La bellissima e toccante presentazione di Franco Campegiani (sopra pubblicata)in merito alla mia opera "Ombraluce", avvenuta a Roma il 9 Novembre, ha confermato, se pur ce ne fosse stato bisogno, una competenza ed una sensibilità non comune. Egli ha saputo, come pochi, leggere la mia anima! Grazie a te, Franco, a Sandro Angelucci e al suo splendido commento, a Maria Rizzi, a Loredana D'Alfonso e a Silvana Lazzarino per le loro parole, la loro accoglienza e la loro empatica partecipazione e che , con la loro bravura, hanno reso magica e speciale la serata. Un grande abbraccio a tutti! Egizia

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    1. Ripeto in pubblico quello che ho già detto ad Egizia in privato, grato io a lei per le emozioni autentiche e per le incredibili conferme poetiche alla mia visione dell'armonia dei contrari.
      Franco Campegiani

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  3. Carissimo Franco e carissimi tutti, ho avuto l'onore di presenziare all'evento di Egizia, donna e Artista che 'sente' le liriche in modo commovente e mi sono commossa con lei più volte. Franco ne ha tessuto un dipinto impressionante e, come sempre, lui e Sandro non hanno toccato gli stessi tasti, sono risultati complementari e
    straordinariamente vicini alla poetica di Egizia. Leggendo, con calma, l'esegesi del nostro poeta- filosofo Franco, resto ancora una volta incantata - nel senso etimologico latino, che deriva da in e cantare, ovvero 'recitare la formula magica' -, in quanto di magia si tratta... La Silloge di Egizia, sin dal titolo, si sposava perfettamente con gli assiomi dell'armonia dei contrari di Franco. Ne ero consapevole prima di ascoltarlo, in qualità di adepta, ma lui è riuscito a superarsi. Il lirismo dell'Autrice è stato definito: "Poesia del vissuto, della quotidianità. Dove fa capolino anche il mito, il mistero di un illo tempore perduto, tradito, ma pur sempre a portata di mano". E i versi, letti da Loredana D'Alfonso e dalla stessa Egizia, confermano in pieno l'analisi di Franco. Il mito è la linfa vitale di varie liriche contenute in "Ombraluce", mito inteso, ovviamente, come mitopoiesi, cioè come tendenza dello spirito umano a pensare e interpretare la realtà. Il richiamo all'innocenza al quale si riferisce Franco è qualcosa che lascia pensare al lampo del meraviglioso. Io ho citato "La canzone dei vecchi amanti" di Jacques Brel, che recita 'ce n'è voluto di talento per invecchiare senza diventare adulti'. E l'ombra e la luce quanto sono vicini ai concetti della necessità degli opposti? La luce esiste in virtù dell'ombra e l'ombra si rivela grazie all'esistenza della luce. La stessa Egizia lo ha confermato rispondendo a uno dei tanti interventi del pubblico. Il male è funzionale al bene in certe occasioni e viceversa. Una serata di poesia e di relazioni che ci ha regalato sogno, innocenza, impegno civile e soavi interpretazioni. Non dimenticherò mai la lirica "Olga dorme" e quelle dedicata da Egizia alla mamma e al nipotino Lorenzo. Nulla di retorico, di inflazionato. Loredana ha detto con la sincerità che la contraddistingue: "sono grata di ascoltare tanta purezza legata a un'autentica onestà intellettuale". Io sono grata a Egizia di avermi concesso emozioni così profonde e a Franco e Sandro per aver cesellato l'evento con la loro attitudine a rivelarsi pilastri della Cultura.
    Un abbraccio a tutti, compreso il nostro carissimo Nazario.
    Maria Rizzi

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    1. Ti ringrazio, Maria, per questa testimonianza appassionata e preziosa. Io sono affascinato dall'armonia dei contrari, ma molti altri lo sono e lo sono stati prima di me, artisti, poeti e pensatori di ogni tempo e luogo. Stupenda e molto appropriata la tua citazione del cantautore belga Jacques Breil: "Ce n'è voluto di talento per invecchiare senza diventare adulti". E' la filosofia delle origini che sono ancora qui, accanto a noi, e non ci hanno abbandonato mai. Concordo con te per ciò che dici nei riguardi di Loredana, sempre più brava, dolce ed incisiva nella sua veste di lettrice. E ovviamente mi associo al tuo abbraccio nei riguardi di Nazario.
      Franco Campegiani
      Franco Campegiani

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