Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
L’ultima
raccolta di poesie di Adriana de Carvalho Masi ( Asfodeli, ed. Europa
)comprende 68 poesie che l’Autrice dispone in rigoroso ordine alfabetico,
rinunciando volutamente ad altri criteri
espliciti di titolazione, estensione, scelta o di classificazione
tematica. Una scelta originale che induce a riflettere, quasi la Poetessa non
volesse stabilire né una gerarchia cronologica/ storica né una gerarchia tematica, e tantomeno
stilistica, il che permette al lettore di fare individuali scelte di lettura,
di seguire le proprie preferenza, di gusto e di stile. Una scelta libera e
coraggiosa.
Eppure una spia che possa articolare la nostra
lettura c’è, a cominciare dal titolo: Asfodeli (al plurale), i fiori
della vita oltre la morte, titolo che infatti la Poetessa spiega e commenta efficacemente in quarta di copertina: “ Ho
chiamato questa silloge Asfodeli da un verso in una delle poesie.
L’asfodelo è pianta ricercata e particolarmente utilizzata anche
nell’antichità, associata alla vita dell’aldilà con duplice valenza: rimedio
per i vivi e anche per la vita ultraterrena….”.
Il
tema della morte infatti compare con prepotenza in questa silloge: quello della
guerra, lontana, la seconda guerra mondiale, gli anni del 1940-45, che l’Autrice ricorda in modo vivido :
“la
seconda sirena!/ la bottiglia dell’acqua/la coperta, la borsa dei soldini/
Stai attenta ai gradini”.
È il
ricordo dei bombardamenti, dei rumori tragici
delle esplosioni, delle scale buie e paurose alla ricerca del rifugio antiaereo, in braccio alla mamma,
desiderosa di normalità e dei propri giochi quotidiani (la bambola, il
pinocchietto, le matite, il libro dei colori…)
Il
racconto si dipana preciso nelle pause e nelle alternanze delle paure e delle
speranze della protagonista, fino alla sperata liberazione finale:
“ la nostra casa è lì, solida e bella…
qualcuno disperato piange e invoca / mi abbraccia la mia mamma. Ci
inginocchiamo e ringraziamo Dio.”.
A tale
andamento rievocativo- narrativo si rifanno altre poesie calate nella
drammaticità disumana di quei momenti tragici, ad esempio: Com’era brava Miriam! …Una storia legata al dramma ebraico, alla disperazione
di chi cerca rifugio in una soffitta generosa per sfuggire a rastrellamenti e
morte, eppur si presta a lavorare, a provvedere a sé col cuore in tumulto…fino
al momento catastrofico finale:
“ sulle brande sfatte/ pezzettini di stoffa
colorata/ creavano un disegno / il rosso scuro, marcio, dominava / a terra,
rotto, il libro di preghiere”. Momenti incancellabili che hanno segnato la
crescita della bambina che sarà la poetessa di oggi, facendone una donna con
valori sicuri, ricordi indelebili, che
la grande capacità di sintesi sa rendere commuoventi nella dolorosa e mai
ridondante forza rievocativa. Una scelta
di emozioni, sentimenti, modalità espressive che si ripresentano anche nella
rievocazione di momenti più vicini ma altrettanto tragici, come il terremoto
(del 2016 di Amatrice, Accumuli, Ascoli Piceno), che ci viene narrato per
immersione in quella vitalità dirompente, anarchica, senza freno e disperante,
quasi il terremoto diventasse protagonista autonomo di una vita imprevista
e drammatica:
“ si
sveglia bruscamente,/fuori dal sonno stira gambe e braccia./ Dapprima
lentamente, sospirando/ ai massi sovrapposti le unghie aggrappa/ s’inarca la
squamosa gobba/ la pazza corsa inizia..da una vallata all’altra in
cerchio/…spaccando il travertino/… tremano le montagne… /vite spezzate, tonfi,
silenzio/ ricordo di civiltà
annientate.. Mai più certezze di case/ mai più certezze della terra
amata/…perfino al camposanto le pietre son divelte/, perfino là il silenzio fa
paura”
Ma è
ancora morte, quella dello spirito, la protagonista del nostro tempo , superficiale immemore
vivere quotidiano, ( Bambole sempre
giovani….Bello, ho mangiato bene…) , è morte della natura violata… gli
animali impazziti (“i gabbiani di posano sull’acqua/ come fiori sulla tomba
comune:/ e garriscono una musica triste/ che un grande pesce inghiotta il
dolore/ e si chiuda il cerchio dell’indifferenza”), perfino quella delle cose
che si sgretolano seguendo il destino comune (“ogni giorno si sgretola un
mattone/..arroccato nel crepaccio di un muro/un alberello stenta la sua
strada”)…
E a
suo modo, allargando il cerchio del vedere e del sentire è ancora la morte dell’umanità insipiente,
“sopravvissuta, che odia il mondo svuotato di pietà”, che riduce l’umanità a “
creature di cemento” che fa sentire la sua
drammatica voce, quella che vive di
egoismi, di ingordigia, non vede più i mali sociali che urlano la disperazione
, non sa cogliere il dramma delle angosce senza riscatto, i deliri
dell’umanità, le sofferenze sociali.
Il
mondo è ostile, indifferente, l’umanità smarrita:
“il
muro di gente avanza compatto/calpestando le spighe./Disperata la piccola
quaglia/ avvolge tra l’ali/ i suoi piccoli implumi tremanti/ nell’attesa
dell’inevitabile impatto finale.”
Assistiamo
nel proseguo a una maturazione dell’ars poetica, a una consapevolezza nuova nella scelta della parola poetica e del
suo ritmo. Una meditazione nuova, pregnante ,consapevole, sicura. Il nuovo
ritmo della parola poetica fa nascere così
le incisive bellissime poesie brevi.
“Carta
e parole si macerano/ nell’acqua/ vaghi pensieri rimangono/ sospesi nel tempo/
impressioni sfuggite/ al bailamme ingiurioso/ della vanità”
La poesia si fa portavoce ed espressione di un pensiero stanco ed
indignato, balenante, stremato, di estrema efficace sintesi:
“Sparano,
la fuori,/ ai conigli/ alle quaglie/ alle pernici./ Sparano per gioco/ per
sentirsi qualcuno.”
La
meditazione sconsolata assume un valore universale:
“ Mi
chiedo quante eclissi ci perdiamo/ che la notte e le nuvole nascondono/ e
quante cose non vediamo/ che la vista insufficiente non distingue/ e quanto
amore non assecondiamo/ che la coscienza assopita non rileva”.
Fanno
irruzione il tempo, la storia e la memoria: i motivi intriganti di questa
poesia che fatica a credere a se stessa, al pensiero poetante che non perde
lucidità: l’uno che cattura l’altro, confondendo i confini, i ritmi, i colori,
la musica, i significati…. ,chiedendosi e dandosi reciprocamente conforto nella
distinzione sempre più difficile, fino a non sapere più come dipanarsi e
ritrovare la propria individuale storica verità. Domande inquietanti:
“Che
cos’è il tempo?/ il tempo per che cosa?…di te conosco/ l’intensità del
momento…/parole non dette, silenzi e rabbie/ dell’attimo sfuggito…
La
pergamena delle rimembranze….le reliquie della storia….che ne sarà della
Memoria?”
E poi
compare, mai esibito, il canto personalissimo,
individuale che non può non farsi strada nella mente commossa e nei sentimenti
più profondi. Qua e là balenano con pudore, quasi reticenti cenni di vita privata, strettamente
personali, affettivi, preziosi:
“…com’è
fredda la neve/ quando gli anni son tanti/ e scende sulle croci/ di chi non
viaggia più/ con me”…. “..le dita sfiorano veloci la tastiera/ che non
sprigiona musica/ ma imprime fredde lettere/ senza personalità/ per la schermata che tu riceverai,/.. senza la
mia firma o un segno/ che ti conferma il
mio amore.” E la ribellione dolente:
“Mandami
una lettera/ scritta di tua mano/ nella busta che anticipi il mittente./ E
ch’io la stringa al petto!…mandami una lettera vera/ che abbia il tuo cuore
nella penna/ e che non le nasconda, le emozioni…”
Eppure l’illusione, la speranza, pur così messa alla
prova, nonostante tutto, riesce a
rinascere.
“Dimmi
che è rimasta/ una zolla di terra nel mondo /senza sangue di guerra/o macello
di povere bestie…”
“….Allora
l’hai capito?/ è proprio lì nel ritmo la nostra soluzione./ tu coi tuoi balli,
io stonato e inconcludente/ ognuno col suo passo/ e tutti con passione/ avvolti
nella musica di una stesa canzone.”
“….In
circolo, le mani allacciate,/ abbracciamo la quercia gigante/ del mondo di
pace/ che ascolta la nostra canzone/ e guarda benigna/ il girotondo di mani
colorate.”
Grande
pietas in questa poesia così segnata dal tempo. Messaggi sobri, ma sicuri, come
lanciati in una bottiglia, perché l’umanità finalmente li raccolga. Grande desiderio di chiudere
positivamente il bilancio della vita, in un quasi autoritratto conclusivo che serva da monito:
“Ti
insegno l’infinito di verbi/ che non so più coniugare/ perché il passato è
scritto sul sentiero/ cosparso di sterpaglie,/ il presente è una cacofonia assordante/
di suoni ed interessi/ incollati in costumi di cartapesta,/ e il futuro
frusciando avanza/ nello spiraglio dell’incerto passaggio/ a momenti infiniti
sconosciuti”.
Maria
Grazia Ferraris
Gavirate
29.X-2019
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