domenica 17 novembre 2019

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "OMBRALUCE" DI EGIZIA MALATESTA




LO SPLEEN CHE AIUTA A CREDERE

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade


       Ombraluce: così, Egizia Malatesta, titola la sua nuova raccolta poetica. Ed è proprio da qui, dall’intestazione, che voglio iniziare.
       Nella seconda strofa della lirica eponima si legge: “Funambola dei sogni / nascondo il buio / nel pugno di una mano, / l’altra dischiusa . . . docile / alle lusinghe della luce. . .”.
       Pochi versi, ma sufficienti – a mio modo di vedere – a farsi un’idea sul vertere dei contenuti che animano il florilegio di una poetessa che vive il suo tempo in una terra di demarcazione tra la Toscana e la Liguria.
       Un’indicazione geografica da non sottovalutare in merito a quanto mi appresto a dire.
       Già, perché – lo abbiamo appena rilevato dalla citazione – la Nostra si percepisce una “funambola dei sogni”; un’acrobata, dunque, che cammina sulla sottilissima fune della vita così come agevolmente si muove al confine tra la Lunigiana spezzina (dove è nata) e l’ultimo tratto di costa a ridosso della Versilia (dove risiede).
       Il tutto, senza perdere l’equilibrio, cercando di non sbilanciarsi né da una parte né dall’altra, né verso l’ombra – appunto – né verso la luce; celando il buio e tenendolo stretto nel pugno e palesando la luce sul palmo di ciascuna delle proprie mani.
       L’iconografia di copertina (una bella ed artistica immagine in bianco e nero) esprime il sopra citato concetto anche sul piano figurativo: due mani aperte - sul palmo dell’una l’ombra, su quello dell’altra la luce - in una posa anch’essa, in certo qual modo, contrapposta sia fisicamente parlando sia sul piano della lettura interpretativa del gesto.
       Sono in procinto di catturarla oppure l’hanno appena liberata la farfalla - io direi la falena - che vola poco più in alto? Un interrogativo al quale non è facile rispondere e neppure è giusto farlo.
       Deve restare in sospeso la domanda, come l’attimo che l’illustrazione riproduce. È tutta lì, in questa eternità, la vita. È nel non sapere se sta dirigendosi verso la luce oppure per essere chiuso nel cavo delle mani il volo del lepidottero.
       In un caso o nell’altro, ciò che conta è che le braccia si alzino, che lo seguano quel viaggio che, in un battito d’ali appunto, passa dal buio al chiarore e viceversa un’infinità di volte.
       L’esistenza è gaudio ed amarezza, afflizione e consolazione: ne abbiamo ogni giorno riprova, ma se non si accetta totalmente va a finire che il dolore ti schiaccia e la gioia non ha la forza necessaria a scendere nell’intimo dell’anima.
       È sotto gli occhi di tutti: il mondo è diviso in modo disuguale tra ricchi e poveri (con larga maggioranza dei secondi) ma, ancor di più, e ancora più veneficamente, dalla sperequazione tra felicità ed infelicità (anche in questo caso, con l’ago della bilancia che pende in favore di quest’ultima). Quello che, però, davvero sconcerta è che i cosiddetti felici, in realtà, non lo sono.
       Come mai? Qualcosa non torna. E qui si denuncia – con le povere armi della parola – questo stato di cose.
       Così, in Olga dorme (mi sia consentito reputarla la migliore del testo), l’autrice vede Olga Kogut (trentunenne ucraina) morire di stenti e di indifferenza, in un bosco alla periferia di Carrara, con un bimbo in seno di sette mesi. (legge Egizia l’intera poesia):


OLGA DORME

             Piove la luce dai rami
sul fragile nido di coperte e cartone,
non basta l’azzurro del telo:
porta il freddo da fuori
quell’inganno di cielo.
Intorno soltanto silenzio
e l’ostinata compassione dell’erba
che avvolge il riparo
consegnato ogni giorno
alla periferia degli sguardi ed al vento.

Olga dorme.
Il figlio nel grembo riposa,
è un boccio di rosa
ma ha il silenzio negli occhi
e il respiro è una nube leggera,
un velo da sposa…nel gelo.

Olga dorme,
l’Ucraina è lontana,
lontane le voci, trasparente il dolore:
e il respiro si perde,
nel buio…finisce l’attesa.
China il capo la rosa,
nel grembo appassisce,
non nato lo stelo.

Per i mercanti di sconfitte
e i venditori di rose senza odore,
sarà festa domani.
Porteranno all’occhiello quel fiore
ostentando un dolore
di poche recitate parole
racchiuse nel titolo
con foto in quarta pagina
di storia senza nome e senza memoria,
né colore…né patria…né terra…
né giustizia…né croce: senza più voce.

Soltanto l’ostinato lavoro dell’erba
Continua ad avvolgere il nido
abitato dal vento.
Olga dorme: intorno
soltanto silenzio.

       Giunti a questo punto - se mi è consentito - vorrei momentaneamente abbandonare l’esposizione ponendo all’Autrice la seguente domanda: “In che modo, secondo te, Egizia, il male di vivere aiuta a credere? Precisandoti che non mi riferisco soltanto a chi, come Olga, sperimenta sulla propria pelle il dolore del mondo ma anche a coloro che lo assorbono, come a te è capitato scrivendo la poesia che abbiamo appena ascoltato.”.
       Desidero, nondimeno, insistere sull’aspetto malinconico di questa scrittura: non è uno spleen fine a se stesso ma del tutto soggettivo e circostanziato quello della Malatesta.
       C’è una lirica – di nuovo – che può rivelarlo forse meglio di altre: mi riferisco a Un albeggiare lontano, dove la mestizia, oltre a non degenerare in amarezza e sconforto, neppure sconfina in quell’infelicità, artefatta e retorica quanto il benessere, di cui ho già precedentemente parlato.
       “Chiudo gli occhi / e ritorna / la mia età migliore / nascosta dentro / un’altra età / . . . . / Eppure mi sorride / un albeggiare lontano / di fiume che scorre / verso il mare / laddove il futuro / ritorna / verso il suo passato / in un eterno andare.”.
       Ecco, è in questo sovvertimento che mi piace scovare la cifra più alta della poetica che propone Ombraluce.
       L’immagine del fiume che risolve la sua corsa sfociando nel mare è chiara allegoria della vita: il ciclo dell’acqua non ha termine – di più – non si sa dove nasca né dove muoia l’acqua; evapora dal mare per alimentare la sorgente e, dalla stessa, sgorga per cercare il pelago salato.
       In modo analogo, Egizia, si rimette all’esistenza con fiducia, con la fede autentica di chi crede nella natura spirituale della realtà.

Sandro Angelucci 

5 commenti:

  1. Lettore finissimo, di grande sensibilità, empatia e condivisione il nostro Sandro Angelucci che sa commentare, aprendo nuove intriganti prospettive di lettura: “Desidero, nondimeno, insistere sull’aspetto malinconico di questa scrittura: non è uno spleen fine a se stesso ma del tutto soggettivo e circostanziato quello della Malatesta…”
    Complimenti vivissimi a lui e all’autrice di Ombraluce E. Malatesta cui porgo i miei complimenti più vivi.

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  2. Leggere le note di Sandro Angelucci è sempre un approfondimento che offre nuove chiavi interpretative dell'opera in oggetto. La capacità di leggere oltre il significato dei versi con un opera di scavo e di correlazione, aiuta i lettori a intraprendere l'atto della lettura con strumenti idonei a rendere più fruibile il dettato poetico. L'incisività del commento risiede anche nella capacità di sintesi, che permette di esprimere in poche righe la summa dell'opera poetica. Se a questo articolo associamo il saggio breve di Franco Campegiani apparso qualche giorno fa su questo blog, che ha sviluppato i rimandi filosofici delle alternanze presenti in "Ombraluce" ci permette di entrare nella poetica dell'autrice senza aver letto il libro, amplificandone però la curiosità di attraversare con la lettura questo affascinante confine tra ombre e luce.
    Complimenti all'autrice e ai due critici Sandro e Franco per le stimolanti note critiche.
    Un caro saluto

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  3. Sono d'accordo con la cara Maria Grazia e con Francesco. Sandro Angelucci, prezioso amico, spalanca finestre di luce sui testi di cui tesse l'esegesi. Ero presente a quest'evento, in qualità di semplice moderatrice e, come ha già asserito commentando Franco Campegiani che lo coadiuvava, i due per l'ennesima volta si sono rivelati complementari. Sandro è l'essenza dei testi che legge, ne coglie l'anima e la porge con una semplicità che incanta. La relazione dedicata a Egizia Malatesta ne è la testimonianza. La parentesi dedicata alla lirica "Olga dorme", che Sandro ha definito una delle più belle del libro è stata una dei momenti più alti della serata. Olga è una ragazza ucraina ed Egizia nel leggerla ha pianto. E il suo cuore viaggiava nella sala, si toccava, palpitava con ognuno di noi. Sandro ha presentato la Poetessa asserendo: "la Nostra si percepisce una “funambola dei sogni”; un’acrobata, dunque, che cammina sulla sottilissima fune della vita così come agevolmente si muove al confine tra la Lunigiana spezzina (dove è nata) E ci ha già donato Egizia, la si vede attraverso le parole, la si immagina sul filo sottile dei Sogni, divisa tra Amori, intimismo e impegno sociale. Ringrazio Sandro e Franco per la totale dedizione alla causa del nostro Circolo. Si prodigano gratuitamente per tanti Autori rendendo loro l'omaggio di analisi critiche delle loro opere che, come questa, spiccano il volo.
    Ringrazio infinitamente Sandro e lo abbraccio con affetto antico...
    Maria Rizzi

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  4. Rileggere l'intervento di Sandro Angelucci relativo alla presentazione della mia opera "Ombraluce", di cui ha curato anche la prefazione, è stato per me un'ulteriore intensa emozione. Sandro possiede la rara capacità di penetrare a fondo l'anima degli autori che presenta attraverso la cura di una critica puntuale, sentita, profonda. Grazie Sandro, grazie a tutti per la gioiosa accoglienza. Egizia Malatesta

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  5. Ringrazio di cuore Maria Grazia, Francesco, Maria e Egizia per le loro testimonianze che mi onorano in quanto rese da cultori della poesia e della letteratura e mi spingono a proseguire nella "critica", intesa come avvicinamento all'autore/autrice per una comunicazione senza filtri, proprio perché veicolata dall'espressione artistica.
    Con stima e riconoscenza,

    Sandro Angelucci

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