Giuliana Piovesan,
Le immagini dell'aria.
Le immagini dell'aria.
Biblioteca
dei leoni, Castelfranco Veneto (Tv),
2017.
Grazia e intelligenza, sono queste le
tracce entro cui è racchiuso questo piccolo resoconto dei giorni di Giuliana
Piovesan, autrice velletrana di nascita ma veneta d'adozione alla quarta
pubblicazione. Grazia per la forza che ha nella levità della parola di saper
sollevare ansie e legami del cuore ai segni, alle remissioni di un tempo che
insieme ci scioglie e ci disputa, permane ed assolve. Intelligenza allora per
la cura dello sguardo alle intermittenti letture
di una passione mancata, di una ragione ancora viva perché mutila e sospesa
nella memoria dei suoi motivi. Nella forza di un procedere nella misura di
piccoli evocati richiami, è un dire classico questo suggerire per partecipate
assenze, per mancati ma eppure più forti ritorni nella stretta di una passione
che ancora confida ma che pure, certo, sa sorridere e spesso risolvere
felicemente in commedia le proprie epifaniche separazioni. Così ciò che è stato
e che ora non è e che ritorna da ciò che sopravvive perché nell'aria nella nota
di accensione di una terra che si nutre anche delle nostre vibrazioni, è un
discorso oltre che sull'amore sulla nostra capacità di restare e di risalire
all'interno di un mistero che per condizione ci supera ma che pure nella
carnalità e nella sensualità del legame abbisogna anche delle nostre umanissime
fragilissime confidenze. Di questo sembra farsi forza, come per reciproca fede,
la Piovesan nell'accordo della parola alle segrete intimità degli spazi e delle
ombre cui per ricordanza sa dialogare e
riconoscersi nel circolo di una corrente cui nulla di ciò che ci appartiene
sembra escluso, ma rimesso, rimontato nel dire di ogni storia l'esclusiva
sacralità dei suoi elementi. Ed allora in questo copione come da short, da
cortometraggio delle illusioni, com'è forte ancora quest'amore così carezzato e
vezzeggiato nel trasalire dei frammenti, di luoghi, figure e parole come
salde nell'immutabilità delle promesse
di un dire che al cuore, nelle sue finzioni, è per sempre... E come lo invidiamo
di tanta attesa, tanta custodita e rincorsa veglia tra letterarietà e stizza
nemmeno dichiarata ma che in qualche modo si intreccia e pigola nell'aerea
distanza tra contorni e sogno ("come quando, come se, come mai più"). Perché forte di una scrittura che non può
trattenere le incisioni della passione e del tempo nel suo purgatorio (e che
dall'alba si leva al pensiero di quelle
mani), il patire sa ricucirsi nella trasfigurazione accesa e trasparente
della sua accettazione sciogliendosi nella trasparenza di una più alta e
discesa, continua incarnazione che nell'incontro col mondo sa esserne trama
nella forma di un comune desiderio, di un comune cercarsi. E che ha nell'opera
della camelia l'interloquire riuscito delle sue figurazioni:"Risplende a
filo dell'esile disegno/il punto pieno di quel ricamo//- trama dell'indicibile
smalto/racchiusa nel puro cristallo del cielo// (Alla finestra il lieve azzurro
dell'opale/trattiene nel suo respiro il caro segno").
GIAN PIERO STEFANONI
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