martedì 5 novembre 2019

NAZARIO PARDINI PREFAZIONE A "BORGO FRAINE" DI DUILIO MARTINO


Raccolta dedicata al borgo Fraine: di Duilio Martino

Ai giovani direi:
gli scudi deponete e ripudiate
l'armi; senza umiliare il suolo poi
muovetevi leggiadri e riguardosi
volando se potete
come se quel selciato
sacro bruciasse sotto ai vostri passi.

Fate luce su tenebre dei vivi
le più oscure inquietudini scrutatele
senza agitare ignobili sonagli.

Assumete il silenzio quale voce
che il solo esempio l'urlo vostro sia
per scavare la roccia
così come con flemma fa la pioggia
e goccia dopo goccia
col sorriso plasmate l'universo.

Fate del vostro vivere Poesia
e abbracciando educate
con operoso esempio e cortesia...
vite verdi svezzate
offrendo ai figli fresca melodia
(Fate del vostro vivere poesia).

Metapoesia: melodia, giovani, ripudiare le armi, fare luce, questi sono i messaggi di un’anima tutta volta all’amore, alla pace, al ricupero di valori di cui la nostra società è carente. Iniziare da questo incipit testuale significa andare da subito a fondo  nella densa poetica di Duilio Martino; nei suoi palpiti focali, nelle sue proposte apologetiche, ove niente è costruito a caso, ma tutto esce con ardore e spontaneità da un cuore cotto a puntino per un poièin snello, armonioso, ontologicamente indagatore, dove il verso, con euritmica scansione, si dona per reificare patemi  esistenziali. La vita c’è tutta con le sue contaminanti vicissitudini; con tutti i suoi élans verso l’azzurro: realtà e evasione: panismo esistenziale, memoriale, coscienza del tempo che fugge, amore, fuga verso l’oltre, al di là delle ristrettezze del quotidiano. Ma quello che emerge è il profondo afflato spirituale, il parenetico invito ai giovani a nutrirsi di poesia, dacché è l’arte delle arti, il richiamo dello spirito a impolparsi di se stesso, di tutto ciò che porta al bello, alla speranza, al bene, all’amicizia; ad un mondo lontano dalla materialità invadente. Proprio nella poesia testuale, si legge il valore che ha per il poeta l’incontro con il canto, con il verso, teso ad unire, in uno stretto vincolo, le anime, dacché la sua funzione è quella di esaltare il buono della vita. Diverse le chiavi di lettura di questo spartito musicale: naturalistica, autobiografica, psicologica, religiosa, umana. Ed è la natura con le sue cromatiche immagini intrise ora di melanconia ora di ritorni alle radici che accompagna il distendersi dei versi con vincoli di sinestetiche addizioni, di figure simboliche che danno valore  ai significati e ai significanti. Il fattore emotivo compatta con interventi di plastica icasticità l’opera. D’altronde dalla lettura del “poema” emergono  fasi emozionali che si traducono in contorni vitali dell’esistere; l’intento di evasione da tutto ciò che svincola negativamente; da tutto ciò che slega dagli affetti più sacri. Pur rendendosi conto il poeta che la vita è breve, e che il tempo fugge irreparabilmente, mai scivola in decadenti soluzioni, ma sa reggere sempre la barra a dritta, affidandosi ad un costrutto capiente e solido nell’arginare eccessi di sentimentalismo.  Anzi il fatto che l’autore scandagli ogni aspetto dell’esistere non fa altro che rassodare la plurivocità dell’analisi. E qualora la realtà non lo soddisfi empaticamente, ricorre all’onirico con voli che lo portano ad un’alcova di edenica valenza. Quindi opera polimorfica, proteiforme questa di Martino, dove la combinazione giusta tra forma e contenuto dà luogo ad un insieme compatto e organico. Ma il leitmotiv di questa silloge, e ciò che la tiene unita e che vince e convince è la parola giusta nel verso giusto. Quando c’è il verbo il resto viene da sé, direbbe il poeta: “Quand il y a le verbe…”. Vengono da sé i vari stadi emotivi di un lirismo schietto dove il presente si persuade di passato; e dove tutto concorre all’armonia e all’umano sorprendersi dinanzi al bello:

da   L’eco del vespro al mio paese
E’ nel crepuscolo
più che in altri spiragli di tempo
che cerco in affanno improbabile verso
- compagno un ciliegio -
consumando la valle con occhi ammaliati
e vermigli frangenti su grigie scogliere…
(…),

dove è netta la fusione tra l’io meditativo e la natura  medicatrix, in cui il poeta rinviene la quietudine di un silenzio che riposa in braccio a crepuscoli, ciliegi, valli, e frangenti su grigie scogliere;

a
Progresso
(…)
Agli sterpi si arrendono
le tamerici - l’olmo ha i rami morti -
non si salvano i cervi avvelenati
da rigagnoli torbidi,

dove appare netta la critica verso un progresso che non tiene di conto dell’uomo e della sua humanitas;

da                
L’anima nel borgo
(…)
Ti troverò anima mia
nel grembo consumato d’una madre
nelle sue vene abrase dall’assenza
nel borgo
in quello sguardo che non ha cessato
di vegliare sui figli
manco quando
sapeva d’abbandono la quiescenza.

Verrò a cercarti nel vento di maggio
tra i vividi vermigli novembrini
nell’armonïa d’un silenzio saggio
nell’aspro mosto che ribolle in tini,

dove si fa impellente la poesia dell’home, delle radici, cella casa, dei padri;

a
Servono lampi
(…)
Ma serve il lampo che sappia incendiarci
la luce fresca che squarci la coltre
quell’acuto capace di strapparci
a un sonno che ha il sapore della morte.
(…),

dove il poeta incita a reagire all’indifferenza, al sonno che ha il sapore della morte;

da                
Amarcord infinito (a Giacomo Di Pasquale)
(…)
A te mio caro amico
che hai saputo spronarmi e supportarmi
tenendoti la rabbia dentro al petto
a te che mia rabbia l’hai spuntata
sferrando frasi senza far difetto,

dove amicizia, memoriale, sentimento, si fondono in un afflato di avvolgente liricità;

a
Preludio d’autunno
(…)
Si sveste anche una rosa
che i petali percossi ora li posa
sopra al vento; il preludio dell’autunno
ancora mi sorprende,

dove è il panismo con tutto il suo effetto simbolico, antropico, metamorfico, a suscitare sorpresa nell’animo poetico dell’autore;

da                
Ti cercherò mio Dio
(…)
Ti cercherò Signore...

tra le pietre dei borghi diroccati
sotto il velo che ammanta un bianco crine
nel raspare degli arti trascinati
e in chi ogni giorno annusa la sua fine.

Ti ascolterò Signore in fredde sere
nel crepitio dei ciocchi nel camino
e bisbigliando l’ultime preghiere
berrò la feccia ch’è rimasta in tino,

dove la ricerca della fede e l’escatologico effluvio interiore esplodono in una composizione dagli alti toni meditativi;

a
Primavera
(…)
La freschezza di azzurri,
sfrusci tra fronde, gli effluvi dei gigli,
tante (a frotte) le tortore
a rallegrare gli orti...
ad arrangiare l'agio che già piglia,

dove fruscii, azzurri, gigli, tortore, orti… si donano a luce e rinascita, a spiritualità e amor vitae.

Fino all’ode conclusiva alla madre in un immortale empito di eternità:

Madre

Ti sento
- oh Madre -
ora che osservo il mare
e del mare l'onda che s'infrange e torna
a dar misura dell'essere
- immortale -

Silloge, quindi, ben nutrita, folta, plurale, che tratta i diversi àmbiti del vivere e del sentire ma che affida tutta la sua energia ad una natura polivalente che si fa messaggio concreto, reificazione di stati d’animo sul morire, rinascere, amare, vivere; sul provare, insomma, che la vita è quella unica e sacra esperienza che ci capita tra le mani e di cui bisogna tenere di conto soprattutto donandosi ai suoi policromi inviti di fede e di speranza. 

Nazario Pardini                      

1 commento:

  1. RICEVO E PUBBLICO

    E' una emozione leggere questa bellissima prefazione del Professor Nazario Pardini
    che coglie perfettamente il mio sentire disvelando le più intime sfumature.
    Una analisi attenta e puntuale di un illustre Poeta e Critico che mi lascia senza parole e nel contempo mi dà la carica per andare avanti.
    Pur avendo scritto i versi spinto da passione profonda per la mia terra natia, non so se davvero merito così tanto onore ma certamente, nel porgere il mio sentitissimo grazie, queste sue parole le custodisco gelosamente ed orgogliosamente.
    Un grazie sincero per la sua disponibilità e sensibilità verso l'arte e la Poesia
    anche a nome del mio minuscolo borgo che mai mi ha privato del suo prezioso supporto.

    Duilio MARTINO

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